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SINTESI IN PRIMO PIANO – 17 dicembre 2019

In evidenza sui maggiori quotidiani:
– Dal Senato l’ok alla manovra
– Salvataggio PopBari, l’Ue pronta a dire sì
– Di Maio in Libia
– India rabbia nelle piazze per la legge contro i musulmani

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Repubblica 
Autore:  De Marchis Goffredo 
Titolo: “Fare i pazzi non serve” – Conte: “La responsabilità paga” Ma i leader boicottano la verifica
Tema: vertice di maggioranza
Giuseppe Conte punta a strappare un vertice vero. Con i leader della maggioranza seduti per la prima volta intorno a un tavolo. Zingaretti, Di Maio, Renzi e Speranza. In modo da saldare la coalizione, ma soprattutto allontanare il senso di vuoto post-Finanziaria che già si comincia ad avvertire e quindi della crisi. Obbligare tutti alla responsabilità e lanciare il cronoprogamma cioè l’agenda 2023. Sul suo tavolo il premier ha i risultati di una mega-ricerca Ipsos. Tra le cento tabelle una dice che Conte riguadagna posizioni e stacca di 13 punti Salvini tra politici più graditi. Un’altra, speculare, mostra come i partiti più collaborativi nei confronti del governo guadagnino fette di elettorato mentre la corsa ai distinguo e alla visibilità di Italia Viva, per esempio, non viene premiata. «Si cresce se ci si dimostra responsabili — osserva Conte commentando i dati col suoi collaboratori — Fare i pazzi non serve». Dopo una serie di appeal caduti nel vuoto Conte si toglie dunque una piccola soddisfazione. «È utile a tutti dare un’immagine di compattezza», dice. Il sondaggio è stato realizzato prima dello scontro sul salvataggio della Banca Popolare di Bari. Ma a Palazzo Chigi non hanno dubbi: il trend aiuta chi si muove in maniera leale e responsabile. Anche la tabella sulla lotta all’evasione dimostra che non ha appeal giocare sul filo del rasoio con la materia fiscale. Il 70 per cento degli intervistati si dichiara a favore di un maggior contrasto a chi fa il nero. Ecco perché il governo può andare avanti (e trova una prima missione del nuovo anno nella lotta agli evasori) ed ecco perché un vertice dei leader, non più dei capidelegazione, «sarebbe importante ed utile», secondo l’opinione del premier. Non c’è nessuna intenzione di staccare la spina. Ma le condizioni di questa riunione salvifica e necessaria alla causa se si crede nel futuro giallo-rosso, non ci sono. Per il momento. Anzi. Il gioco di questi giorni, mentre la legge di bilancio fila via liscia e segna più di una semplice tenuta (166 sì alla fiducia in Senato), sono le grandi manovre intorno alla legge elettorale, alle scelte in Banca d’Italia, alle nomine in Rai.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Perrone Manuela 
Titolo: Il vertice di maggioranza non smorza le tensioni – Vertice, pressing Pd sull’autonomia Sullo sfondo la tenuta della maggioranza
Tema: vertice di maggioranza

Gli scogli del Mes e della manovra sono stati faticosamente superati, ma sul terreno si contano le vittime, soprattutto in casa pentastellata Ai tre senatori transitati alla Lega si potrebbe aggiungere l’espulsione di Gianluigi Paragone, che ieri ha votato no alla manovra. Altri quattro M5S non hanno partecipato al voto: Mininno, Di Nicola, Giarrusso e Ciampolillo. La maggioranza, al primo vertice in tarda serata a Palazzo Chigi dopo la lunga marcia che ha portato al disco verde del Senato sulla legge di bilancio con 166 sì, prova a fare una prima sintesi. «Nessuna verifica di Governo», si affrettano però a precisare fonti di maggioranza sin dal mattino per raffreddare la temperatura: soltanto un confronto sul dossier dell’autonomia differenziata, con il ministro Francesco Boccia che perora la causa della sua proposta di legge quadro al premier e ai capidelegazione, forte del via libera di tutte le regioni sia del Nord che del Sud. Ma al confronto il M5S di Luigi Di Maio arriva con la volontà di prendere tempo per approfondire, come sollecitano i gruppi parlamentari. L’intento è togliere dal tavolo i temi più spinosi, dalla prescrizione, su cui si lavora a un’intesa tra M5S e Pd e su cui lo stesso Matteo Renzi getta acqua sul fuoco, alla legge elettorale, su cui si temporeggia per non esacerbare gli animi. Giuseppe Conte è il primo a chiarire che il vertice non sarà una resa dei conti né un incontro sul cronoprogramma delle riforme da qui al 2023, di cui si parlerà soltanto a gennaio: «Sono qui per dare una prospettiva migliore al Paese, non per staccare la spina». A chi si rivolge? In primis a Renzi, tornato in pressing. «Il Govemo ora deve decidere cosa fare da grande», afferma il leader di Italia Viva, che invoca un «cambio di passo». Ma a preoccupare di più gli alleati sono le sue aperture a Matteo Salvini.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cremonesi Marco 
Titolo: Il retroscena – L’appello di Salvini non decolla Lui insiste: al tavolo insieme
Tema: governissimo

«Quando la casa brucia, non stai a guardare: per prima cosa, la metti in sicurezza». Matteo Salvini spiega ai suoi (non tutti l’hanno capita) la sua proposta di confronto con 5 Stelle e centrosinistra. L’idea, ribadita ieri su Facebook, è quella di trovare un largo accordo su «cinque priorità» del Paese: «Se crollano viadotti, se falliscono le banche, se chiudono le aziende evidentemente c’è qualcosa che non funziona a livello strutturale». E dunque, «sediamoci attorno ad un tavolo e troviamo un accordo su risparmio, politiche di crescita, giustizia, infrastrutture e salute, prima che sia troppo tardi. Poi si toma a votare». Non è che la proposta sia stata accolta da cori di giubilo, non da destra e tampoco da sinistra. Con Matteo Renzi che però lo invita a collaborare sul decreto Sblocca cantieri: «Se Salvini vuole dare una mano, lo faccia, anziché lanciare strane ammucchiate». Per l’ex premier quella che ha portato la Lega a «immaginare un governo di unità nazionale guidato da Draghi — idea rilanciata da Giancarlo Giorgetti — è una simpatica tarantella che merita di essere approfondita». In realtà, però, Salvini i cori nemmeno se li aspettava. È quella che lui chiama «operazione responsabilità», la voglia di scrollarsi di dosso l’immagine di pierino inaffidabile che gli è stata confezionata in Italia ma anche (e secondo lui soprattutto) in Europa. Addirittura, a chi ieri gli chiedeva commenti su Giorgia Meloni, la più severa nel respingere la proposta salviniana, il leader leghista ha risposto con toni inediti: «Alla fine, ci sta… Se perdiamo un voto a favore della destra e ne prendiamo tre al centro, va bene così». Senza contare, spiega un salviniano di stretto rito, che «la proposta resterà a futura memoria. E chi la boccia se ne assumerà la responsabilità». La leader di Fratelli d’Italia ieri sul Corriere era stata secca: «Proposta incomprensibile». Poi, durante un comizio a Bari, è tornata sul tema: «Io sono una persona abituata a dire le cose come le pensa, i rapporti seri si costruiscono così. In questo caso io non sono d’accordo con qualunque cosa che possa a mio avviso allungare il brodo di una legislatura che prima finisce, meglio è».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Martini Fabio 
Titolo: Governissimo, Renzi lancia l’esca a Salvini “Vedremo se sono seri” – Governissimo con la Lega, Renzi getta l’esca a Salvini
Tema: governissimo

Definire, come Renzi ha fatto in Senato, i leghisti, almeno potenzialmente, «seri e responsabili» è un’espressione tutto sommato irrituale in una maggioranza che considera Salvini come l’uomo nero, come il male assoluto. Una piccola gentilezza e un’esca che preludono a future intese, sia pure nel segno dell’emergenza tra i due Matteo? Dopo i loro contatti diretti e informalissimi e dopo l’apertura di Salvini a un’intesa bipartisan sulle regole da riformare, si può davvero immaginare che il fantasioso laboratorio italiano possa produrre un governissimo tra opposti? Giorgetti, che nella sua intervista alla Stampa, ha ripetuto le stesse parole di Pierluigi Bersani nel 2011, quando decidendo di non chiedere le elezioni anticipate e dando il via libera al governo Monti, disse: «Non si governa sulle macerie». Ma fa sul serio Salvini? Siamo davanti a una proposta capace di sparigliare di nuovo i mobilissimi assetti della politica nazionale? O siamo al tatticismo puro? E Renzi, potrebbe essere interessato a dare una mano? Magari immaginando un governissimo come subordinata della subordinata? Lui non si nasconde e dice: «Diciamo la verità in questo momento tutta la politica è debole e quando la politica è debole può succedere di tutto. E infatti chiunque se ne può rendere conto: da una settimana all’altra tutto cambia». Ma appena qualcuno disegna scenari per un futuribile governissimo, sostenuto da Salvini, Berlusconi Renzi, Di Maio e i renziani ancora dentro il Pd e magari un big bang dei 5 stelle, l’ex premier fa una smorfia di incredulità: «Di politica riparliamo dopo le elezioni in Emilia». Eppure, il simbolo di una politica emotiva, secondo Renzi, è proprio Salvini: «È passato nel breve volgere di qualche mese dal Papeete a Draghi premier». Renzi ha anche il sospetto di indagini della magistratura mirate su alcuni leader e anche se si guarda bene dall’esplicitarlo, sospira: «Che dire? Leggo articoli su interventi “pesanti” sulla Lega e quanto a noi eravamo in ascesa, potenzialmente verso il 7-8% e ora quell’ascesa si è fermata dopo l’indagine della magistratura…».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – Il salvini bipartisan e Renzi che cambia passo
Tema: governissimo
Ci sono due versioni del «comitato di sicurezza nazionale» su cui ancora ieri insisteva Salvini. Quella del leader leghista e quella di Giancarlo Giorgetti che è stato il primo a parlarne. Giorgetti si fa portavoce di quel Nord che resta il nocciolo dei consensi leghisti e che da Salvini vuole una proposta contro la paralisi. A questo umore si è agganciato il Capitano con la sua offerta bipartisan, consapevole che a lui manca un tema economico ora che l’immigrazione è scesa nella graduatoria delle emergenze. Dunque deve attrezzarsi per vivere una fase politica diversa, che non ha gli sbarchi tra primi titoli ma piuttosto la banca popolare di Bari o l’Ilva. Salvarle o no? Questo gli chiedono i suoi elettori. Allora, l’idea di creare un terreno comune di confronto diventa un pezzo di soluzione anche se poi c’è soprattutto la sostanza che interessa ai partiti: la discussione sulla legge elettorale. Parlare solo di regole elettorali non dà consenso ma è quello a cui tutti pensano dopo il taglio dei parlamentari. Dunque, nel pacchetto di Salvini c’è un’esca gettata a Di Maio sul proporzionale, c’è l’intenzione di creare un dialogo con il Pd – che infatti non gli ha sbattuto la porta in faccia – c’è l’appiglio offerto a Renzi. Ieri il leader di Iv ha chiesto un «cambio di passo» al Governo parlando della crescita zero, che diventa un punto di sintonia con la Lega. Così come il rilancio dei cantieri. Per adesso, si tratta solo di allusioni che tengono in sospeso la proposta Salvini-Giorgetti così come è in sospeso tutto il resto. Tra l’altro, per il leader leghista è anche un modo per non essere spiazzato dall’iniziativa dei “responsabili” – se davvero alcuni parlamentari di Forza Italia andranno in soccorso della maggioranza – dopo aver “strappato” a Di Maio tre senatori.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Folli Stefano 
Titolo: Il punto – La finta tregua di Natale
Tema: tenuta governo
Non è il tempo delle sorprese nel finale d’anno del governo Conte-2. Tutto scorre su binari scontati e soprattutto senza traccia di un’emozione civile. La manovra di bilancio scivola in porto dopo un dibattito asfittico che mortifica soprattutto Montecitorio, ma così almeno limita l’assalto delle mille corporazioni alle casse pubbliche. Il nuovo vertice di maggioranza non produce né una rottura né un accordo, proprio come previsto: un incontro abbastanza piatto — in attesa delle future “verifiche” di gennaio — e non perché il presidente del Consiglio avesse adombrato il giorno prima le sue dimissioni, secondo un rituale che si ripete di tanto in tanto senza che nessuno vi presti troppa attenzione e soprattutto senza che ne derivi una più salda coesione dell’alleanza Pd-5S-Italia V iva-LeU. Il caso della Banca di Bari viene affrontato più o meno con i medesimi strumenti che Renzi aveva usato a suo tempo perla Banca Etruria e le popolari venete che furono la sua condanna. Allora i Cinque Stelle erano scatenati all’opposizione, oggi sono al governo e applicano ricette analoghe per salvare l’istituto pugliese (forse ancora più penalizzanti per il contribuente). Inoltre polemizzano con la Banca d’Italia ricorrendo ad argomenti altrettanto pretestuosi di quelli che furono rimproverati al presidente del Consiglio dell’epoca. Il quale ha ragione di dolersene, se non fosse che ha contribuito in modo decisivo, pochi mesi fa, a portare al governo il partito “grillino”. Lo stesso partito, o movimento che sia, intenzionato a riesumare la Commissione sulle banche al fine di usarla come arma demagogica e bandiera mediatica. Per giunta con l’idea di affidarne la presidenza a una figura controversa come poche. Così finisce l’anno. Con l’impressione che la maggioranza sia inesistente e il governo si affidi all’astuzia (il «crono programma»…) per sopravvivere da una settimana all’altra.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Breda Marzio 
Titolo: Il no di Mattarella ai sovranismi: proteggersi da soli è un’illusione
Tema: l’incontro con il corpo diplomatico
Abbiamo alle spalle un 2019 di «conflitti, tensioni e crescente instabilità», mentre si affaccia «la tendenza a invertire la gerarchia tra valori universali e pretesi interessi nazionali». Un capovolgimento di prospettiva fermentato dalle politiche sovraniste che dilagano ovunque. Anche in Europa e in Italia. Sergio Mattarella ne è allarmato, ma rifiuta di accodarsi ai soliti requiem sul multilateralismo perché, per quanto «la governance mondiale appaia affievolita», ci ha garantito a lungo dialogo e comprensione, integrazione e libertà nel commercio. Così, per rilanciare quel metodo ne fa il cuore del discorso d’auguri al corpo diplomatico. Si spiega con qualche esempio che ci riguarda da vicino, il presidente. Ricorda che il voto per l’Europarlamento ha visto «una partecipazione mai avuta in precedenza e una campagna elettorale che ha toccato, per la prima volta, in modo diretto il rapporto tra cittadini e istituzioni Ue». Ecco perché sarà il «ciclo istituzionale appena avviato il banco di prova del livello d’ambizione dell’Unione». Una sfida che partirà dal negoziato sul «bilancio pluriennale, strumento di coesione e vicinanza ai cittadini», su cui sono cresciuti molti attacchi delle forze euroscettiche. Come la Lega, che su questo nodo gioca con una fuorviante contabilità. Invece, dice il presidente, lungi dall’essere «un esercizio tra chi contribuisce e chi riceve risorse, ovvero tra Est e Ovest d’Europa», il bilancio «serve a sostenere un progetto d’integrazione del quale tutti siamo stati, siamo e saremo beneficiari netti».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Manconi Luigi 
Titolo: Lasciamo in pace le sardine
Tema: sardine
La prima lezione politica suggerita dalla manifestazione romana di sabato è così riassumibile: “lasciamo in pace le sardine”. È questa la condizione preliminare perché l’attuale mobilitazione possa conquistare una sorte diversa da quella di altre mille avventure precedenti. Basta un po’ di memoria e una verifica su Google per ricostruire una sequenza, probabilmente parziale, di novità che via via hanno fatto irruzione sulla “terra desolata” del nostro scenario politico. Dunque, per limitarci all’ultimo quarto di secolo: La Rete, Boicottiamo il Biscione, Donne in nero, Disobbedienti, Girotondi, Lenzuoli Antimafia, Agende Rosse, Popolo Viola, movimento Arancione, Vaffa Day, Forconi, Madamine di Torino. Tutte queste esperienze hanno suscitato via via curiosità e insofferenza, aspettative di catarsi e frustrazioni deprimenti. Di esse, quasi nulla è restato, se non — cosa non trascurabile — impreviste aperture di spazi per forme inedite di partecipazione, transitorie ma tutt’altro che inutili. Ma, sul piano politico e istituzionale, è rimasto solo quanto di più convenzionale è stato prodotto da quei movimenti: ovvero alcuni dirigenti, leader o capetti, che hanno saputo trasferire negli apparati dei partiti ciò che avevano appreso nell’azione di piazza. E invece, c’è qualcosa tra le sardine che può essere in grado di esorcizzare questo eterno ritorno alla normalità dei codici politici tradizionali. Le sardine, più che un movimento costruito sul modello classico dell’azione collettiva come si è sviluppata negli ultimi due secoli, possono definirsi innanzitutto uno stato d’animo. In democrazia contano i voti e il numero di voti ottenuto da ciascun partito. E tuttavia conta in misura rilevantissima tutto ciò che precede il gesto finale di infilare la scheda nell’urna: sentimenti e risentimenti, interessi materiali e morali, condivisione e comunanza con i prossimi e i sodali, senso di appartenenza e voglia di incontro, conversazioni e scambi. È questo lo spazio dove le sardine garantiscono una presenza e un orientamento, e una forma di continuità.
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Testata:  Giornale 
Autore:  De Feo Fabrizio 
Titolo: Il retroscena – Carfagna smonta i rumors: «Non mollo»
Tema: Forza Italia

«Lasciare Forza Italia? No, assolutamente. Voglio stroncare con chiarezza ogni suggestione di questo tipo. Mi spinge il desiderio di mettere insieme le tante voci libere e qualificate che ci sono in Italia, per aiutare la politica a trovare soluzioni concrete. Gli italiani sono stufi dei parolai». Mara Carfagna, intervenendo a Radio 24, prova a lanciare acqua sul fuoco delle polemiche innescate dall’imminente varo della sua associazione Voce Libera. «Chi non si rassegna al ruolo subalterno di Forza Italia, come noi, decide di combattere e difendere quelle stesse ragioni della discesa in campo di Berlusconi di 25 anni fa». Nessuna critica diretta, però, verso il Cavaliere. «Berlusconi non si è rassegnato. Forza Italia è sempre stata il perno della coalizione di centrodestra e non credo proprio che lui si sia arreso a questa situazione». Il clima dentro il partito resta elettrico. «Dopo la parentesi di “Cambiamo”, ora spunta dal nulla l’associazione “Voce Libera”. Come nel primo caso, a parole si giustifica la nascita di questa nuova realtà con una esigenza di riorganizzazione interna al partito e con il bisogno di dare nuova forza al pensiero di Forza Italia. Nel primo caso sappiamo come è andata a finire e non vorremmo che si profilasse una lacerante diaspora consumata dall’interno del partito per logorarlo. Sinceramente non ne abbiamo bisogno, lo diciamo da parlamentari tutti di prima legislatura: siamo stanchi che si ponga il personalismo dei pochi, davanti agli interessi di Forza Italia» scrivono in una nota Paolo Zangrillo, Roberto Pella, Roberto Rosso e Diego Sozzani rispettivamente coordinatore e vicecoordinatori degli azzurri in Piemonte.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bartoloni Marzio – Mobili Marco – Paris Marta – Rogari Marco 
Titolo: Ultime correzioni, ecco la manovra – Altri 70 ritocchi ma la manovra resta Iva e cuneo
Tema: manovra

Un alleggerimento della stretta sulle auto aziendali e delle micro tasse (plastic e sugartax); la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia fiscali Iva e il taglio del cuneo fiscale. Pur salvaguardando i saldi, la geografia contabile della manovra subisce gli effetti del restyling a vasto raggio operato dal Senato quasi fino al momento della votazione della fiducia sul maxiemendamento finale del Governo ieri sera (166 sì,128 no). Il primo via libera arriva dopo un percorso tormentato dai litigi della maggioranza, che hanno portato a 15 marce indietro rispetto agli annunci: dalla rimodulazione dell’Iva al tetto sul contante, dalle auto aziendali alla stretta su partite Iva e regimi forfettari.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mobili Marco – Rogari Marco 
Titolo: Plastic tax ridotta a un decimo Auto aziendali, solo un milione
Tema: manovra

Pur salvaguardando i saldi, la geografia contabile della manovra subisce gli effetti del restyling a vasto raggio operato, sotto la spinta di oltre 330 modifiche, dal Senato quasi fïno almomento del “sì”,con 166 favorevoli e 128 contrari, alla”fiducia” sul maxi-emendamento del Goverro. Che nella volata finale ha subìto, tra stop della Ragioneria e stralci della presidente di Palazzo Madama, Casellati, un ulteriore maquillage su un centinaio di commi. E ricadute, seppure quasi impercettibili, ci sono state anche sul ricorso al deficit. Che, nel confronto tra il maxiemendamento e la versione iniziale del Ddl di Bilando, diminuisce di 31 milioni nel 2020 e di quasi 300 milioni nel 2021. Alcuni dei capitoli chiave del testo originario sono comunque rimasti invariati. A cominciare dal taglio del cuneo fiscale, per il quale resta la dote di partenza: 3 miliardi il prossimo anno, altri 5 miliardi rispettivamente per il 2021 e per il 2022. Nessuna novità anche sul fronte del taglio del Fondone per la riduzione della pressione fiscale: oltre 5,3 miliardi nel 2020 e altri 8,5 miliardi nel biennio successivo. Cambiano invece sensibilmente le cosiddette tasse ambientali, con un dietro-front rispetto alla manovra approdata a Palazzo Madama, dovuto anche all’aspra discussione che si è aperta nella maggioranza. La plastic tax, con lo slittamento a luglio e la riduzione del prelievo da un euro a 45 centesimi il chilo, vede ridurre il suo impatto in termini di gettito atteso nel 2020 a poco più di un decimo rispetto al miliardo e 79 milioni indicati nella relazione tecnica originaria. Un “dimagrimento”di quasi 990 milioni, che sale a1,67 miliardi nel 2021 e 1,7 miliardi l’anno successivo. Di fatto quasi azzerata è poi la stretta sulle auto aziendali. Le entrate attese si fermano il prossimo anno a quota 1 milione: 331,6 milioni in meno di quelle preventivate due mesi fa. Diversa lasituazione della sugar tax. Che per effetto dello slittamento a ottobre, subisce una contrazione di 175,3 milioni delle entrate previste (233 milioni) ma mantiene l’invarianza di gettito nel biennio successivo.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Trocino Alessandro 
Titolo: Manovra, fiducia tra gli attriti – Si alla manovra, ma Renzi pressa Sulla cannabis lite M5S-Casellati
Tema: manovra

Il disegno di legge di bilancio con la manovra riceve il via libera con 166 Si e 128 no e ottiene il sì del Cdm, che approva la nota di aggiornamento del Bilancio. Ora passerà alla Camera blindato, perché eventuali modifiche farebbero tornare il testo a Palazzo Madama e non c’è tempo se si vuole evitare l’esercizio provvisorio. Un iter con tempi stretti che hanno lasciato poco spazio al Parlamento, esattamente come avvenne lo scorso anno. Tanto che Matteo Renzi a fine seduta interviene per «chiedere scusa alle opposizioni e al presidente della Repubblica, che ci aveva richiamati». Ma il leader di Italia viva dice anche altro: «Non neghiamo la fiducia al governo perché per noi il bicchiere è più che mezzo pieno. Ma non è stato un anno bellissimo. Chiediamo un cambio di passo affinché il 2020 sia l’anno della ripartenza. Ne riparliamo il 7 gennaio». In mattinata si consuma lo scontro tra i 5 Stelle e la presidente Casellati, che dichiara inammissibile la norma sulla canapa industriale insieme ad altre misure, tra le quali la tobin tax e lo slittamento da luglio 2020 al primo gennaio del 2020 della fine del mercato tutelato per l’energia. La presidente dice no alla cornmercializzazione della cannabis light, vale a dire con principio attivo thc inferiore allo 0,5%. Motivo: è una norma che innova, consentendo non solo la coltivazione ma anche il consumo, e quindi andrebbe in un ddl a parte. I 5 Stelle insorgono. Giuseppe Brescia chiede le dimissioni della Casellati. Per Matteo Mantero si dà un grave colpo agli agricoltori del settore. Meno dura Chiara Gribaudo (Pd), che chiede alla presidente solo di «fugare i dubbi di imparzialità». Anche il ministro per i rapporti con il Parlamento Federico d’Incà si dice «amareggiato» e spiega che l’emendamento «avrebbe colmato un vuoto normativo». Duro Riccardo Magi: «E una decisione politica, perché la norma prevedeva l’introduzione di un’imposta, quindi era ammissibile».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Colombo Dario 
Titolo: PopBari, Bankitalia: liquidarla costa circa 4,5 miliardi – Bankitalia: la liquidazione costerebbe 4,5 miliardi
Tema: PopBari

Una liquidazione della Banca Popolare di Bari sarebbe impraticabile. Non solamente per l’impatto che avrebbe su azionisti, creditori chirografari e depositi sopra i 100mila euro. Il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) dovrebbe in questo caso rimborsare i correntisti protetti con un esborso di 4,5 miliardi. E per farlo, avendo una dotazione di 1,7 miliardi, dovrebbe attivare subito il finanziamento per 2,75 miliardi sottoscritto ad agosto da un pool di banche. Ma una liquidazione sarebbe impraticabile anche perché provocherebbe il blocco di una banca che copre il 10% del mercato creditizio di Puglia, Basilicata e Abruzzo. Per non parlare del destino dei 2.700 dipendenti e del consistente aiuto di Stato a fondo perduto comunque necessario per coprire l’eventuale sbilancio di cessione, come avvenne nel caso delle liquidazioni venete. Sono queste le conclusioni cui giunge Bankitalia sulla crisi che ha portato al commissariamento della banca barese. Conclusioni pubblicate al termine di una lunga e puntuale ricostruzione dell’attività di Vigilanza che via Nazionale ha pubblicato ieri sul suo sito istituzionale. Un documento che rimette in fila tutte le tappe di una vicenda partita da lontano, quando nel 2010 Bankitalia vietò alla Bari di espandere le proprie attività imponendo un requisito patrimoniale specifico, e che è proseguita fino agli ultimi mesi, con l’aggravarsi di una situazione segnalata al ministero dell’Economia con quattro missive tra febbraio e novembre. La cronistoria di Bankitalia ricostruisce tappa per tappa tutte le iniziative messe in campo dalla Vigilanza sulla BpB: dalle prime ispezioni con esito «parzialmente sfavorevole» alle successive sanzioni per«carenza di controlli sull’attività di credito» fino alle ripetute richieste di «rafforzamento dei presidi a fronte dei rischi di liquidità e compliance». Un’azione portata avanti con intensi scambi informativi con la Consob (nel documento si parla di una ventina di lettere formali) e con la magistratura. Dal documento di Bankitalia si comprende che gli scontri di inizio an no tra l’ex presidente della Popolare di Bari, Marco Jacobini, ed altri esponenti della famiglia da un lato e l’amministratore delegato da lui scelto poco tempo prima, Vincenzo De Bustis, e il presidente del Collegio sindacale dall’altro, sono stati solo l’ultimo capitolo della vicenda che porta al commissariamento.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Davi Luca – Serafini Laura 
Titolo: PopBari, parte la conta dei danni
Tema: PopBari

II piano di salvataggio di Banca Popolare di Bari non potrà prendere forma rapidamente. I due commissari nominati dalla Banca d’Italia, che dovrebbero essere affiancati da un direttore generale per la gestione operativa, sono chiamati da subito a scavare nei bilanci, nella classificazione dei crediti e nelle varie operazioni poco chiare decise dalla gestione uscente, per avere contezza di quale sia la reale entità delle perdite e il livello di erosione dei requisiti patrimoniali. Una della ragioni dell’amministrazione straordinaria, decisa come per Carige prima della fine dell’anno è proprio quella di evitare la chiusura di un esercizio di bilancio sul quale c’è invece necessità di fare chiarezza. L’allungarsi dei tempi si intravede anche nel decreto-legge varato domenica sera (e firmato ieri sera dal presidente della Repubblica), una sorta di quadro di riferimento che deve essere attuato e chiarito attraverso decreti del ministero per l’Economia. I contributi in conto capitale devono essere attivati con appositi decreti, che in qualche modo dovranno indicare le modalità e le finalità dell’intervento anche per non incappare in procedure per aiuto di Stato da parte dell’Antitrust di Bruxelles. Quel che è certo è che un innesto di capitale potrà arrivare solo a valle della definizione di un piano industriale articolato che dovrà fare luce sui molti risvolti dell’operazione. Ieri a Roma c’è stato un primo vertice tra gli uomini di Bankitalia, i vertici del Fondo interbancario, Mcc e i Commissari. L’incontro è stato l’occasione per una prima presa di contatto tra le diverse parti e per tracciare una prima road-map. Di certo l’attesa è tutta per i dettagli dell’intervento che dovranno arrivare dal governo.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  D’Argenio Alberto 
Titolo: Popolare di Bari, l’Europa pronta a dire sì al salvataggio della banca – L’Europa pronta a dire sì al salvataggio “Ma concordato con noi”
Tema: PopBari

«Prendiamo nota dell’adozione del decreto, siamo in contatto con l’Italia e restiamo pronti a. discutere la disponibilità e le condizioni degli strumenti presenti nell’ambito delle norme europee». La Commissione Ue non si sbilancia sulla fattibilità del piano per la Popolare di Bari varato dal governo. Ma fa capire che tra il bail-in e una condanna di Bruxelles per aiuti di Stato, esiste una terza strada percorribile per evitare un intervento contrario alle regole europee. Insomma, un salvataggio è possibile senza coinvolgere creditori, obbligazionisti o correntisti sopra ai 100mila euro. La soluzione però deve essere costruita in stretto contatto coni servizi dell’Antitrust europeo guidato da Margrethe Vestager. E lascia ben sperare il fatto che il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, abbia già discusso il caso con la liberale danese e abbia dato mandato ai tecnici del Tesoro di seguire le linee guida europee – delle quali conosce le virgole essendosene occupato da eurodeputato – per portare a casa un risultato che consentirebbe un salvataggio indolore dell’istituto pugliese. Per ora a Bruxelles non esiste un dossier vero e proprio sulla Pop Bari in quanto di per sé il rafforzamento del patrimonio di Mediocredito centrale fino a 900 milioni tramite Invitalia non costituisce un’operazione rilevante dal punto di vista comunitario. Ad essere osservati saranno però i prossimi passi, che Roma dovrà intraprendere in stretto contatto con la Commissione. D’altra parte Bruxelles dopo le polemiche su Tercas, Venete, Monte dei Paschi e Carige è cosciente della sensibilità del dossier e non intende usare l’accetta. Inoltre il recente via libera Ue all’intervento pubblico per ricapitalizzare la tedesca NordLB potrebbe giocare a favore del Tesoro, che difenderà con la Commissione l’idea di un intervento simile.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Graziani Alessandro 
Titolo: L’analisi – Come evitare una nuova Cassa del Mezzogiorno – I nodi da chiarire per evitare la nuova Cassa del Mezzogiorno
Tema: Banca del Sud
Il progetto per la Banca del Sud che dovrebbe partire dal salvataggio-riassetto della Popolare di Bari ha molti punti oscuri che necessitano di chiarimenti. Pochi italiani, quasi nessuno, hanno da obiettare su un intervento che vada a tutela dei risparmiatori coinvolti nella crisi dell’ultima banca privata di rilievo del Sud. Ma molti dubbi avvolgono il progetto. Il primo riguarda la fattibilità del progetto in base alle regole europee sui salvataggi bancarie gli aiuti di Stato. I futuri azionisti di maggioranza di Popolare Bari dovrebbero essere Mcc-Invitalia e il sistema bancario italiano attraverso il Fitd. Chi dei due avrà la maggioranza del capitale? Se sarà la società pubblica Mcc, c’è già stato un parere favorevole della Ue o si rischia la solita bocciatura? Se invece il controllo sarà del Ftid (che già è proprietario pro-tempore di Carige), il sistema delle banche italiane pensa davvero di trasformare il fondo in una holding? E con quale tutela della concorrenza in Meridione, dato che i maggiori contributori del Fondo sono le grandi banche che già dominano raccolta e impieghi nell’area? Agli interrogativi sull’assetto azionario, ne fa seguito un altro sulla filosofia del progetto di cosiddetta banca d’investimento. ll riferimento pare rivolto, non alle investimento banks americane alla Goldman Sachs come già si ironizza sui social network, ma alla recente realtà francese voluta nel 2013 dalla presidenza Hollande di Bpi France, controllata pariteticamente dalla Caisse des Depots (la Cdp francese) e dall’agenzia per gli investimenti. Il riferimento all’esperienza di Bpi France, che ha come mission l’erogazione del credito alle Pmi e che coinvolge anche il fondo strategico di partecipazioni statali transalpino, era presente nel programma elettorale di M5S. Se quello è il modello, va detto che BpiFrance sta provando a realizzarlo con una nuova attività in proprio – e con risultati tutti da esaminare – ma senza comprare o salvare banche a rischio default. Il vero nodo da sciogliere in Italia è proprio questo.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Giliberto Jacopo 
Titolo: Energia, il mercato libero arriva al 50% dei consumatori di gas
Tema: mercato energia

La liberalizzazione di luce e gas fa paura a molti ma piace a molti altri. L’autorità dell’energia Arera ha censito quanti consumatori hanno lasciato le sicure tariffe aggiornate ogni tre mesi e sono passati ai prezzi fissi o variabili proposti dalle compagnie energetiche: nel 2019 che sta per finire hanno lasciato la “maggior tutela” il 46,5% dei clienti domestici di corrente (circa 13,7 miliom) e già il 59,1% delle piccole imprese (circa 4,1 milioni). Nel gas già a dicembre 2018 sul libero si trovava il 50% dei domestici. E fra tutti i contratti liberi, le famiglie vanno pazze per quelle a prezzo fisso. I dati sono contenuti nel documento “Monitoraggio del mercato retail” che l’organismo pubblico sull’energia, sulle reti e sull’ambiente conduce ogni anno per fare il punto del processo di liberalizzazione dell’energia, processo che è fra i compiti di promozione del mercato dell’authority milanese. Tutto ciò avviene mentre più in là, a Roma nel Senato, c’è un dibattito forte se fare slittare di nuovo la liberalizzazione di tutti i consumatori. Fino a ieri si parlava di rinviare la liberalizzazione piena dal luglio 2020 al 1° gennaio 2022, ma l’ipotesi del rinvio per ora è sfumata.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Barberi Leonard 
Titolo: Lufthansa: in Alitalia, ma con lo «spezzatino»
Tema: Alitalia
Una proposta di Lufthansa per Alitalia arriverebbe non prima di giugno 2020, sarebbe in un primo tempo commerciale e soltanto al verificarsi di alcune condizioni: una ristrutturazione significativa e un’ulteriore liquidità (pubblica) per far fronte alle spese extra indifferibili che per l’anno prossimo richiedono almeno un miliardo di euro. E’ quanto si apprende da quattro fonti governative e tedesche che sottolineano come i 400 milioni di euro di ulteriore prestito non basterebbero. Anche perché a fine novembre la cassa è scesa a 270 milioni (erano 315 milioni il mese prima). «Per un futuro di lungo termine per Alitalia è importante avere la giusta ristrutturazione e il giusto partner», ha detto il presidente e ceo di Lufthansa, Carsten Spohr, ai giornalisti nel quartier generale a Francoforte. «Questa è la mia logica quando ho par,lato con le autorità italiane. E anche importante ricordare che una non può andare senza l’altra». All’interno dell’esecutivo Conte — spiegano le fonti — c’è una parte che tifa apertamente Lufthansa. Ma sia al premier, sia al ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli i vertici tedeschi hanno manifestato l’interesse soltanto per la parte «aviation» (trasporto passeggeri e cargo), non per i servizi di terra (3.400 dipendenti) e la manutenzione (1.300). Richiesta che costringerebbe il commissario Giuseppe Leogrande a lavorare allo spezzatino. Quanto alla flotta Lufthansa pensa che debba essere ridotta a 90 aerei (dagli attuali 113) da accompagnarsi a un taglio delle rotte in perdita. Per il colosso di Francoforte i costi di Alitalia sono troppo alti, il modello di business non funziona e i partner non sono quelli giusti. Ecco quindi la «ricetta»: ristrutturazione, liquidità adeguata e alleanze. Più si abbattono i costi, più le rotte diventano profittevoli, meno esuberi ci saranno. Toccherà a Leogrande e ai sindacati decidere quanto deve essere grande il vettore tricolore.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cremonesi Lorenzo 
Titolo: Doppia missione per Di Maio in Libia Da Haftar e Sarraj – Libia, doppia missione per Di Maio Vola a Tripoli, poi vedrà Haftar
Tema: Di Maio in Libia

Appare tutta in salita la visita di Luigi di Maio oggi in Libia. Due tappe complicate: in mattinata a Tripoli e nel pomeriggio a Bengasi. Lo scontro tra le due parti è talmente duro che il volo ministeriale dovrà uscire dallo spazio aereo della Tripolitania per poi rientrare in quello della Cirenaica da dove ripartirà in serata per Roma. Come fossero due Paesi diversi: un volo che anche negli aspetti logistici segna il muro di ostilita e sospetti trionfanti. L’Italia vorrebbe in questo caso funzionare da apripista europeo, ma soprattutto cerca di evitare l’irrilevanza in cui rischia di cadere ormai da mesi. La Libia è sempre più in guerra, con le forze militari di Khalifa Haftar, noto come l’uomo forte della Cirenaica, che grazie in particolare all’arrivo di contractor russi a settembre — il numero varia a seconda delle fonti da 200 a un paio di migliaia — sta stringendo l’assedio su Tripoli e guadagnando terreno. Sull’altro fronte, la pletora di milizie che sostiene il governo di Accordo nazionale guidato da Fayez Sarraj a Tripoli conta ormai sulle armi turche. «Una pericolosissima guerra per procura che marginalizza gli europei, mentre avvantaggia altri attori come Egitto, Emirati, Russia e Turchia. Persino il tradizionale braccio di ferro tra Italia e Francia adesso è stato superato dai fatti sul terreno», continua a ripetere apertamente persino il tradizionalmente molto riservato inviato speciale dell’Onu per gli affari libici Ghassan Salamé. Tra gli obbiettivi della missione Di Maio, così come vengono spiegati dagli ambienti diplomatici italiani e dagli osservatori libici a Tripoli e Bengasi, in primo luogo «ridare alla crisi libica una dimensione mediterranea riproponendo con forza il peso degli argomenti europei». Il ministro degli Esteri italiano viaggia legittimato anche dal recente vertice tra Giuseppe Conte, Emmanuel Macron e Angela Merkel, durante il quale si è ribadito l’impegno di una politica comune europea.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Di Feo Gianluca 
Titolo: Italia, è l’ultima chance In Libia può trattare con i due contendenti
Tema: Di Maio in Libia
La missione di Di Maio in Libia è l’ultima occasione offerta all’Italia e all’Europa per impedire che le strade di Tripoli diventino un campo di battaglia infernale. O che Mosca e Istanbul si accordino per una spartizione della Libia, cambiando la storia del Mediterraneo. La missione del ministro degli Esteri in Tripolitania e Cirenaica è stata preceduta da un intenso lavoro degli emissari dell’Aise, la nostra intelligence esterna. L’obiettivo è semplice: trasformare la debolezza della posizione italiana in punto di forza. Siamo gli unici ad avere sempre mantenuto il dialogo con entrambi gli schieramenti e i soli a potere garantire una trattativa neutrale, senza imporre protettorati di sapore coloniale. II messaggio per i due governi rivali è chiaro: i libici sanno che Roma è sempre stata un partner affidabile, mentre mettendosi nelle mani di russi e turchi rischiano un futuro soggiogato. Anche Francia e Germania si sono rese conto di quanto sia pericolosa la situazione: almeno per ora, hanno messo da parte calcoli e gelosie per sostenere l’iniziativa italiana. Lo ha dimostrato Angela Merkel che ieri ha telefonato a Vladimir Putin proprio per affrontare la questione libica. Un colloquio – secondo il Cremlino – in cui si è «sottolineata l’importanza di evitare un’ulteriore escalation e la necessità di riprendere il dialogo di pace. Putin ha riconfermato la volontà di continuare ad agevolare gli sforzi di mediazione della Germania e dell’Onu». Bisognerà capire quali saranno le mosse di Mosca. Negli ultimi mesi l’avanzata delle forze di Haftar verso la capitale è stata resa possibile dai mercenari russi della Wagner, una compagnia privata strettamente legata al Cremlino, che hanno frantumato le linee di resistenza. La reazione è stata gettare il debole governo di Tripoli nelle braccia di Erdogan, che domenica ha ribadito di essere pronto a entrare in campo con i suoi soldati ma nello stesso tempo ha avviato trattative con Putin. La prospettiva è una replica dei patti siriani, con il nuovo Zar e il nuovo Sultano che si accordano per dividere influenza e risorse petrolifere. C’è un punto che però i dignitari libici d’ogni fazione hanno ben presente: né la vittoria militare, né un’intesa turco-russa potranno dare stabilità al Paese. Ed ecco la chance per l’Italia di costruire un percorso diverso, con l’avvio della mediazione tra libici sotto la supervisione dell’Europa e dell’Onu da concretizzare nella prossima conferenza di Berlino.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Iannuzzi Francesco 
Titolo: India, rabbia nelle piazze per la legge contro i musulmani – La legge anti musulmani infiamma l’India
Tema: India
La tensione in India tra la comunità musulmana e il governo Modi continua a salire. Dopo gli scontri e le violenze per l’abolizione dell’autonomia in Kashmir a infiammare le proteste è stata la legge sulla cittadinanza che di fatto penalizza le persone di fede musulmana. Il bilancio degli scontri è di almeno 6 morti, centinaia di feriti e di arresti, soprattutto nello Stato dell’Assam. Il focolaio del malcontento che nel weekend ha visto gli studenti contrapporsi con la polizia nel campus Jamia Millia Islamia di Delhi, si sono estesi a tutto il Paese. Con l’opposizione a fare da sponda ai manifestanti. La leader del Bengala occidentale, Mamata Banerjee è scesa in strada a Calcutta alla testa di un massiccio corteo mentre Priyanka e Sonia Gandhi, si sono sedute sotto l’India Gate in un sit-in pacifico. Il portavoce delle opposizioni in Parlamento, Ghulam Nabi Azad, ha detto che non solo il suo partito, il Congresso, ma tutte le opposizioni sono unite nella condanna alle azioni della polizia. L’intrusione violenta nel campus della Jamia Millia Islamia ha visto gli agenti lanciare lacrimogeni, picchiare coi manganelli studenti e studentesse, insultare le ragazze barricate nei bagni, dove era stata fatta saltare la luce, e devastare una biblioteca e una sala adibita a moschea. Almeno un centinaio di feriti sono stati ricoverati negli ospedali, qualcuno anche colpito da pallottole. Fondata nel 1931 la Jamia è una delle università più prestigiose del Paese. L’irruzione di ieri pomeriggio documentata da video rilanciati immediatamente sui social, è stata uno choc per il campus, con il vice rettore che ha denunciato la polizia, e per l’India intera. L’intento degli agenti era chiaro: reprimere la protesta a tutti i costi.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Bultrini Raimondo 
Titolo: Una legge anti musulmani scatena la rabbia in India
Tema: India

Le prime sanguinose rivolte erano cominciate la settimana scorsa nello Stato nordorientale dell’Assam dopo l’entrata in vigore I’11 dicembre della legge che consente a qualunque induista, sikh, giainista, buddista, cristiano o parsi di diventare – a differenza degli islamici – cittadino dell’India anche se è giunto nel Paese appena 5 anni fa, giustificando il privilegio con la necessità di dargli asilo per i rischi di discriminazioni in Paesi come l’Afghanistan, il Bangladesh o il Pakistan. L’esclusione dei musulmani è stata giudicata incostituzionale e – secondo le Nazioni Unite – “di natura fondamentalmente discriminatoria”, un atto di voluta rottura con l’etica fondante dell’India basata sul secolarismo e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Domenica i cortei spontanei degli studenti all’interno dei campus universitari di New Delhi sono stati brutalmente attaccati dalla polizia che ha ferito centinaia di giovani con manganelli e lancio di gas lacrimogeni. L’opinione comune, specialmente nel nord-est dell’India e in particolare in Assam e Tripura, è che la legge intende cambiare radicalmente la composizione religiosa ed etnica della regione privilegiando gli hindu a discapito non solo dei musulmani ma anche dei 230 gruppi indigeni che abitano queste regioni da tempi immemorabili. Alcune delle etnie oggi preoccupate delle possibili conseguenze dell'”induizzazione” si sono battute nel passato anche contro la presenza degli immigrati musulmani e negli anni ’80 ci furono centinaia di vittime lungo le strade e nei villaggi dell’Assam. Nell’agosto scorso al termine di un primo contestato censimento della popolazione sono state escluse dalla lista degli aventi diritto alla cittadinanza quasi 2 milioni di persone, che oggi rischiano di venire espulse o internate in appositi “centri di detenzione”.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Mastrolilli Paolo 
Titolo: “Ha tradito la nazione” Atto di accusa a Trump in 658 pagine – Impeachment, in 658 pagine l’atto di accusa contro Trump
Tema: Impeachment
Il presidente Trump «ha tradito la nazione, abusando del suo potere per ingaggiare una potenza straniera allo scopo di corrompere le elezioni democratiche». E’ l’accusa centrale con cui la Commissione Intelligence della Camera ha chiesto di approvare l’impeachment del capo della Casa Bianca, nel rapporto di 658 pagine sull’inchiesta pubblicato ieri. Il testo però accusa Trump di aver commesso anche «molteplici crimini federali», inclusa la corruzione e la frode, per sottolineare che quello in corso non è un procedimento unicamente politico. Quindi sollecita un rapido voto, che dovrebbe avvenire già domani, per poi passare la pratica al Senato, in modo da poter avviare il processo all’inizio di gennaio. L’urgenza nasce dal fatto che il capo della Casa Bianca è ancora in carica, e quindi nella sua posizione di vantaggio potrebbe tornare a commettere gli stessi reati per favorire la propria rielezione l’anno prossimo. «Il presidente Trump – recita l’atto di accusa – ha posto i suoi interessi politici personali al di sopra della sicurezza della nostra nazione, le nostre elezioni eque e libere, e il nostro sistema di checks and balances». I primi due punti riguardano la richiesta al collega ucraino Zelensky di aprire un’inchiesta sulle attività del figlio di Joe Biden nella compagnia energetica di Kiev Burisma, usando la minaccia di paralizzare le relazioni blaterali e congelare gli aiuti militari per circa 400 milioni di dollari, già stanziati dal Congresso. Così ha messo il suo interesse personale di colpire un avversario politico davanti a quello della nazione di avere buoni rapporti con l’Ucraina, allo scopo di contenere la Russia. In ciò rientra anche il sospetto di corruzione e frode. Il secondo punto, ossia l’accenno al sistema dei checks and balances per controllare le azioni del potere esecutivo, si riferisce invece agli sforzi compiuti per ostacolare l’inchiesta della Camera, a cui la stessa Costituzione affida il compito di gestire le indagini iniziali dell’impeachment.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Degli Innocenti Nicol 
Titolo: L’impegno di Johnson: investiremo nel Nord
Tema: Brexit
Avanti tutta verso Brexit: nel primo giorno del nuovo Governo Boris Johnson ha confermato che la sua priorità è uscire dall’Unione Europea il prima possibile. Con questa promessa il premier britannico ha accolto ieri i deputati neo-eletti 365 Tories,109 dei quali “matricole” – arrivati a Westminster. I deputati presteranno giuramento oggi e domani, mentre giovedì ci sarà l’apertura formale del Parlamento e il tradizionale discorso della Regina, che presenterà il programma legislativo del Governo. Venerdì l’accordo di recesso che Johnson ha concordato con la Ue verrà presentato ai deputati in prima e seconda lettura e ci sarà un primo round di votazioni. La schiacciante maggioranza di 80 deputati che Johnson ha ottenuto nelle elezioni della settimana scorsa rende certa l’approvazione dell’accordo e quindi l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue entro la data prevista del 31 gennaio. Il programma di Governo che verrà presentato giovedì prevede anche una novità: un impegno stabilito per legge a spendere di più per il servizio sanitario nazionale (Nhs). Gli investimenti aggiuntivi raggiungerebbero i 34 miliardi di sterline all’anno entro il 2023. Johnson ha voluto rassicurare i “nuovi” elettori Tory, dichiarando che intende meritare la fiducia che hanno riposto in lui e investire in servizi pubblici e infrastrutture soprattuto nel Nord spesso trascurato da Londra. A concedere la maggioranza al partito conservatore sono infatti state le circoscrizioni tradizionalmente laburiste del Nord dell’Inghilterra, il cosiddetto “muro rosso” che si è sgretolato a causa di Brexit. Il premier intende anche modificare la struttura del Governo. Il ministero dello Sviluppo internazionale verrà abolito e incorporato nel ministero degli Esteri, mentre il ministero del Commercio Internazionale verrà fuso con il ministero del Business e dell’Innovazione. Il ministero per l’uscita dalla Ue, infine, verrà eliminato e sarà il Cabinet – quindi Johnson in persona – ad occuparsi di Brexit. Una volta approvato l’accordo di recesso dalla Ue entro gennaio, si passerà alle trattative per definire i rapporti futuri con la Ue, che dovranno concludersi entro il 31 dicembre 2020.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ippolito Luigi 
Titolo: La classe operaia va a Westminster (sull’onda di Boris)
Tema: Brexit
È la «Boris Generation»: una nuova leva di deputati conservatori eletti sull’onda della valanga creata da Johnson. In molti casi persone giovani e con un umile retroterra personale e familiare: che riflette la nuova composizione dell’elettorato tory, pescato a mani basse tra la classe operaia del Nord che aveva votato laburista da sempre. Il premier li ha incontrati ieri al loro arrivo a Westminster, da dove hanno postato una cascata di foto festanti su Twitter. Sono ben 109, ossia quasi il 30 per cento del totale, i deputati conservatori freschi di conio. E forse il simbolo di questo rinnovamento è Jonathan Gullis, il 29enne insegnante di liceo eletto a Stoke-onTrent Nord, una circoscrizione «rossa» fin dalla sua creazione nel 1950: perché lui è un rappresentante sindacale il cui padre faceva il bidello e la madre è cresciuta nelle case popolari. Quanto di più lontano si possa immaginare dallo stereotipo del conservatore «upper class», con l’accento alla Downton Abbey e gli abiti di sartoria. Un altro tory improbabile è Chris Loder, eletto nel West Dorset con la più alta maggioranza mai registrata in quella circoscrizione: e lui è uno che per 20 anni ha fatto il bigliettaio sui treni. Il nuovo gruppo parlamentare johnsoniano non è soltanto il più «working class» visto finora: è anche quello con la maggiore rappresentanza femminile. Le donne sono infatti balzate da 67 a 86 (anche se rappresentano ancora meno di un quarto dello schieramento tory). Una di loro è Dehcnna Davison, 26 enne di origini proletarie che ha aiutato Boris a sfondare la «muraglia rossa» facendosi eleggere a County Durham, ex città mineraria e bastione laburista nel Nord per ben 134 anni.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Simoni Alberto 
Titolo: Paese paralizzato dagli scioperi Via il commissario per le pensioni
Tema: scioperi in Francia

Da dodici giorni ormai  la Francia è paralizzata dagli scioperi contro la riforma delle pensioni in un lungo braccio di ferro fra sindacati. E ieri è arrivata l’ultima tegola sul governo: si è dimesso il super commissario, Jean-Paul Delevoye, travolto dallo scandalo di conflitti di interessi e incarichi non dichiarati. Ora Macron – contrario a un rimpasto – dovrà scegliere il successore, secondo Bfmtv, ci sono due ipotesi allo studio, quella di un ministro e quella di un esterno al governo, ad esempio un parlamentare. Nel frattempo lo sciopero dei sindacati continua a paralizzare il Paese, con oltre 600 chilometri di code accumulate solo nella regione della capitale. Il timore è che il braccio di ferro possa protrarsi fino a Natale, rovinando le tanto attese vacanze a milioni di francesi. Il 55% degli intervistati in un sondaggio definisce «inaccettabile» che si blocchi il paese durante le festività di fine anno ma la prospettiva sembra ora dopo ora farsi più concreta. Delevoye, da sempre poco gradito ai sindacati, è finito nel loro mirino dopo aver ammesso nel weekend di non aver menzionato 13 suoi incarichi nel settore privato, sia pagati che non pagati, in una recente dichiarazione patrimoniale. In uno di questi, come presidente del think-tank sull’istruzione di Parallaxe, è stato pagato quasi 5.400 euro al mese in aggiunta al suo stipendio ministeriale, denaro che non gli spetterebbe in base a una legge sulla trasparenza politica del 2013.
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IL SOLE 24 ORE
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CORRIERE DELLA SERA
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LA REPUBBLICA
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LA STAMPA
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IL MESSAGGERO
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IL GIORNALE
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LIBERO QUOTIDIANO
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IL FATTO QUOTIDIANO
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