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SINTESI IN PRIMO PIANO – 3 gennaio 2020

In evidenza sui maggiori quotidiani:

– M5S: espulsione di Paragone e ipotesi di scissione;
– “Caso Gregoretti”: Salvini deposita oggi in Senato la memoria;
– Autostrade, pronto il dossier: mancata manutenzione;
– Quota 100: frenata sui costi;
– Libia: le truppe di Erdogan a sostegno di Serraj;
– Spagna: nasce il Governo di coalizione rosso-viola.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica 
Titolo: Il Movimento e l’ipotesi della scissione – Venti di scissione nel Movimento
Tema: M5S

Dire che il Movimento rischia l’implosione è ormai un eufemismo. L’addio di Lorenzo Fioramonti e la cacciata di Gianluigi Paragone rivelano quanto profonda sia la piaga che si è aperta nel cuore, nell’anima e nella pancia del M5S. La scissione tanto paventata sembra essere già in atto. Per averne conferma basta leggere le parole con cui Alessandro Di Battista spezza il ritrovato asse con il capo politico e si schiera a tempo di record dalla parte dell’amico «eretico», espulso dal probiviri: «Gianluigi è infinitamente più grillino di tanti che si professano tali». Dove la scelta del termine «grillino», poco gradito a Luigi Di Maio e compagni, è il tentativo di mettere in fuorigioco il capo politico. Giorgio Trizzino su Affaritaliani.it dà voce a dubbi e sospetti: «Di Battista non pensa tanto alla ricostruzione del M5S, quanto alla sua demolizione». La spaccatura sembra insanabile, la posta in palio non è mai stata così alta. «E sbagliato espellere gli anticorpi – contesta Di Maio la senatrice Barbara Lezzi, da mesi sul piede di guerra – Paragone è e resta un mio collega». Sul piatto della bilancia c’è la tenuta dei gruppi parlamentari e quindi del Conte bis, c’è la leadership del ministro degli Esteri e c’è l’identità stessa dei 5 Stelle. Messo alla porta, Paragone rischia di diventare un’altra potente calamita dello scontento e di attrarre, oltre che molti attivisti delusi, anche qualche senatore al secondo mandato, pronto a fare i bagagli pur di garantirsi un terzo giro di giostra.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica 
Titolo: Intervista a Gianluigi Paragone – Il senatore va alla guerra: io da qui non mi muovo Con Salvini? Cretinate
Tema: M5S

Costringere Luigi Di Maio a riaccoglierlo a braccia aperte, con tanto di scuse e «bentornato a casa». Ecco la mission che Gianluigi Paragone si è dato, da quando il collegio dei giudici del Movimento ha formalizzato la cacciata del «rompicoglioni», come il senatore ribelle si definisce. «Io da qui non mi muovo, resto incollato al mio scranno di Palazzo Madama, dovranno buttarmi fuori con la forza», è il ritornello con cui l’ex direttore della Padania ed ex conduttore televisivo respinge il benservito e prepara le carte bollate. Al mattino registra un video in cui gesticola, batte i pugni nell’aria e rimarca come una furia le parole: «Cari falsi probiviri, cari uomini del nulla, voi avete paura di me perché io ho quel coraggio che voi non avete più. Contro la meschinità del vostro arbitrio mi appellerò». Farà ricorso e poi, se gli gira, si rivolgerà alla giustizia ordinaria: «Avete paura? Allora andatevene fuori voi, perché io vi verrò a cercare nelle aule di giustizia… Sarete condannati a dirmi “scusa, rientra”». Si racconta come un rivoluzionario, come colui che si batte per aprire gli occhi ai compagni di un tempo, i «cosiddetti capetti, burocrati, uomini grigi» che avrebbero tradito i valori delle origini e il programma del 2018. «lo non sono il distruttore del Movimento. Anzi, vorrei fosse ancora l’ariete contro il sistema. Contesto solo l’eccessiva timidezza».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Arachi Alessandra 
Titolo: I 5 Stelle si spaccano su Paragone Di Battista: è più grillino lui di tanti
Tema: M5S

Alessandro Di Battista non ha usato mezzi termini ieri sul suo profilo Facebook: «Io sono sempre d’accordo con lui», quando per lui intendeva Gianluigi Paragone, senatore, espulso dai probiviri del Movimento cinque stelle, proprio il primo giorno di quest’anno. E’ convinto Di Battista, il carismatico leader dell’ala più movimentista dei Cinque stelle: «Vi esorto a leggere quel che dice e a trovare differenze con quello che dicevo io nell’ultima campagna elettorale che ho fatto, quella da non candidato, quella del 33 per cento. Paragone è più grillino di tanti». Un sasso lanciato nelle acque già piuttosto agitate del Movimento Cinque stelle, dove si rumoreggia sempre di più di scissione e dove, comunque, si fa fatica a tenere il conto delle correnti politiche. Paragone è stato cacciato e il pretesto è stato anche il voto sfavorevole alla legge di Bilancio. Ma lui ha protestato vivacemente sostenendo di essere vittima di una «truffa» perché è stato mandato via lui e non i parlamentari che hanno trattenuto i rimborsi. A difenderlo anche la senatrice, già ministro, Barbara Lezzi che ieri non ha esitato a dare seguito alle parole di Di Battista: «Paragone è e resta un mio collega. Fino a quando – e sono certa che continuerà così – lavorerà senza sosta per i deboli, per assicurare un salario minimo decente, per fare in modo che le multinazionali osservino le leggi del nostro Paese, resterà un mio collega».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Folli Stefano 
Titolo: Il punto – Disgregati verso la meta – M5S, disgregati verso la meta
Tema: M5S
Non è quasi più una notizia la progressiva frantumazione del Movimento Cinque Stelle. Nel senso che ormai appare irreversibile e la questione semmai riguarda i tempi e i modi. Tuttavia l’addio, volontario o forzato poco importa, di Fioramonti prima e Paragone subito dopo introduce un elemento interessante: i due se ne vanno insieme, ma in direzioni diverse. Entrambi denunciano lo snaturarsi irrimediabile dei 5S, ma sembrano trarne conclusioni differenti. L’ex ministro dell’Istruzione, l’uomo che ha pur sempre rinunciato alla poltrona, sembra destinato a creare un gruppetto di dissidenti da collocare in un angolo della maggioranza che sostiene Conte. Obiettivo prioritario, evitare a tutti i costi le elezioni anticipate e nel frattempo dar vita a un grillismo governativo più credibile di quello in cui si è smarrito Di Maio: un grillismo filo-Conte, utile forse a rastrellare consensi in territori contesi, come il mondo della scuola. Il secondo, ex leghista sempre pronto a mostrarsi nemico irriducibile del sistema, potrebbe a sua volta riunire qualche amico, ma non certo per puntellare un presidente del Consiglio ormai entrato nell’orbita del Pd. Su questo l’asse con Di Battista si annuncia molto solido, soprattutto nella denuncia del «nulla» in cui è precipitata – e non da oggi – la leadership di Di Maio. Quanto al futuro dell’epurato e dei suoi eventuali compagni di strada, si vedrà: nessuno si stupirebbe se fosse quello di “quinta colonna” del salvinismo, pronta ad attivarsi come una mina per far inciampare il governo.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Lombardo Ilario 
Titolo: Il retroscena – Conte: attenti, rischiamo la fine del governo Prodi – Conte: “Se andiamo avanti così finirò per avere più partiti di Prodi”
Tema: Conte su M5S

Giuseppe Conte è diviso tra vanità e pragmatismo. Fino a qualche giorno fa le voci, che ormai si rincorrono da quasi tre mesi, di gruppi pronti a nascere per stabilizzare il suo governo e neutralizzare le possibili minacce di Matteo Renzi e Luigi Di Maio, lo riempivano di un orgoglio malcelato. Un primo embrione di esercito sul quale edificare il proprio futuro politico sembrava giungere al momento opportuno. Ma Conte è uomo che non rinuncia al realismo e, seppur con ironia, si è lasciato andare a una battuta che dice molto del quadro sempre più frammentario che incornicia il suo governo all’alba del nuovo anno. Si fa dire di quanti partiti si componeva la ormai mitologica coalizione del governo di Romano Prodi nel 2006 e scherza: «Quanti? Dieci? Se andiamo avanti così rischio di raggiungerlo e di superarlo». Quel governo durò due anni. Due anni di tensione, di fibrillazioni quotidiane, di Le preoccupazioni di Palazzo Chigi: “Chi la fa la finanziaria con tutti questi?” equilibrismi estenuanti. Conte li ricorda bene. E, nonostante accolga da sempre con piacere le similitudini con il professore di Bologna, vuole evitare di fare quella fine. «Ulteriori scissioni del M5S – sostiene molto più seriamente – produrrebbero ulteriori partiti. Ogni partito chiede un posto e vuole essere considerato e accontentato. Non riesco a immaginare come fare la prossima legge di Bilancio in queste condizioni».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Malaguti Andrea 
Titolo: Dibba-Di Maio scontro fratricida
Tema: M5S
Nel dramma shakespeariano in cui si è trasformata la precipitosa parabola del grillismo-pentastellato, l’atto apparentemente finale è un grande classico politico letterario: la sfida all’ultimo sangue tra i principi ereditari. Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, dopo anni di sbandierata, complicata e chissà quanto sincera amicizia, si dichiarano guerra per contendersi le spoglie mortali di un Movimento incapace di trovare una sintesi tra l’anima dilettantisticamente governativa e quella ostinatamente abbarbicata a un’idea di purezza salvifica che nessun Palazzo del potere è in grado di preservare. Banalmente, perché non esiste. Siamo di fronte a un ipnotico scontro tra due debolezze, che l’espulsione di Gianluigi Paragone, decretata da Luigi Di Maio, ha spietatamente messo a nudo. E il post con cui Alessandro Di Battista commenta la decisione del suo Capo politico è il manifesto di un disastro annunciato. ianluigi è infinitamente più grillino di molti che si professano tali. Non c’è mai stata una volta che non fossi d’accordo con lui. Vi esorto a leggere ciò che dice e a trovare differenze con quel che dicevo io nell’ultima campagna elettorale che ho fatto. Quella da non candidato, quella del 33%».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ciriaco Tommaso 
Titolo: Il retroscena – Conte: la maggioranza è questa Ma un summit dei ribelli di Forza Italia prepara il sostegno al governo
Tema: Forza Italia

La riunione era stata convocata per giovedì 9 gennaio, ma la lunga coda di vacanze natalizie la potrebbe far slittare al 13 gennaio. Quel che conta è che Mara Carfagna incontrerà prestissimo i suoi parlamentari e proverà a tracciare una strategia per il 2020. Lei vuole muoversi con cautela. Consolidare Voce Libera. Evitare strappi. Osservare la tenuta del governo a gennaio per poi decidere cosa fare nei mesi successivi. Ma gli sms che ha ricevuto in queste ore dicono altro. Raccontano della vecchia guardia di Forza Italia in fibrillazione, «è inutile restare, Mara!». Di senatori meridionali pronti a spingere per lanciare un nuovo partito, «non possiamo perdere altro tempo». Di contatti riservatissimi tra Palazzo Chigi e alcuni di loro. Dell’attivismo di Renata Polverini, pontiere tra Carfagna e la maggioranza. Di lunghe telefonate con Dario Franceschini, il più governista tra i governisti giallorossi. Molti dissidenti vogliono dire addio a Silvio Berlusconi e al centrodestra di Matteo Salvini. Per andare al centro e tifare Giuseppe Conte. Il premier, appunto. A Repubblica ha spiegato che resterà in politica. E ai parlamentari moderati che sono riusciti a raggiungerlo – e pare siano più di uno – avrebbe detto: «So bene cosa fare – almeno così riferiscono questi azzurri – vedrete…». Prima però c’è da scavallare gennaio, mese giudicato infernale proprio da Conte. L’avvocato è informato del fatto che a Palazzo Madama il leader leghista promette l’impossibile per tentare la spallata.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Cottone Sabrina 
Titolo: Elezioni e nuove nomine Berlusconi non molla il timone di Forza Italia
Tema: Forza Italia

L’ intervista a Repubblica con cui Silvio Berlusconi ha aperto il nuovo anno, sotto la scritta «Protagonisti», non lascia spazio a dubbi su quali siano le intenzioni del fondatore di Forza Italia: mantenere la guida del partito. «Un passaggio di testimone non è all’ordine del giorno» taglia corto. La metafora scelta dal quotidiano per sintetizzarlo, «non mollo il timone», ricorda il periodo di maretta che ha attraversato Fi, tra addii come quello di Giovanni Toti e richieste di una più chiara identità politica nel caso di Mara Carfagna, che ha scelto di restare azzurra. Ma Berlusconi minimizza i cambi in corsa come «episodi assolutamente marginali», perché «quando si cambia, qualcuno rimane scontento». Gli esodi, cioè, sono dovuti al tentativo di rinnovamento. «Noi non rottamiamo nessuno» e «l’esperienza va valorizzata quanto il cambiamento», dice tra l’altro il presidente azzurro, che in questi giorni è al lavoro sul programma per le elezioni del 26 gennaio in Emilia Romagna e in Calabria, ma anche per completare i cambi ai vertici dei coordinamenti regionali. Insomma, nuovi volti in arrivo e l’intenzione di occuparsi direttamente della campagna elettorale per le regionali ormai alle porte. Dare spazio a sindaci e amministratori locali, ripartire cioè dal territorio, è una delle linee guida del futuro azzurro secondo il Cavaliere. Ma d’altra parte il «non rottamiamo» è un segnale politico lanciato per tranquillizzare i dirigenti storici di Forza Italia, che nelle ultime settimane hanno assistito a una tornata di nomine di giovani amministratori ai vertici di Fi.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Labate Tommaso 
Titolo: La Lega strizza l’occhio ai ribelli M5S Meloni tra le donne più influenti
Tema: Lega

«Le porte della Lega sono sempre aperte per le persone oneste e di buona volontà, che non vogliono morire col Pd ma vogliono cambiare l’Italia». A 24 ore esatte dall’espulsione di Gianluigi Paragone dal MES, si apre un piccolo spiraglio tra i vertici della Lega e il senatore-giornalista, che annuncia il ricorso alle carte bollate, forte anche del sostegno di Alessandro Di Battista. Matteo Salvini, ufficialmente, si tiene a debita distanza dalla scissione in corso tra gli ex alleati di governo. Eppure, a supporto della «linea» concordata al telefono col gotha leghista ieri pomeriggio l’ex vicepremier mette il timbro su una posizione di netta apertura verso tutti coloro che potrebbero erodere i numeri della maggioranza, soprattutto al Senato. Paragone è tra questi, e non per sua volontà. Nella sua vita precedente è stato vicino agli ambienti della Lega e conserva ancora grandi amicizie nel Carroccio, soprattutto tra i maggiorenti della provincia di Varese, Giancarlo Giorgetti compreso. Difficile, per non dire impossibile, che un ritorno di fiamma di questa portata si materializzi plasticamente in tempi così brevi. Però la rottura tra il Movimento e l’ex vicedirettore di Rai Uno e Rai Due ha avuto l’effetto di riaccendere anzitempo quei radar parlamentari del centrodestra che parevano sintonizzati esclusivamente sulle vacanze natalizie. «Vedrete», commentava ieri pomeriggio il portavoce di FI Giorgio Mule, «è solo una questione di tempo.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarzanini Fiorenza 
Titolo: Gregoretti, difesa di Salvini «L’esecutivo era con me» – Ecco la memoria di Salvini sul caso Gregoretti: il governo decise con me
Tema: Salvini – “Caso Gregoretti”

Per difendersi Matteo Salvini proverà a trascinare con sé il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l’intero governo gialloverde, primo fra tutti Luigi Di Maio che era vicepremier come lui. E lo farà con la memoria sul “caso Gregoretti” depositata questa mattina alla giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato, che dovrà decidere se accogliere la richiesta del Tribunale dei ministri di Catania intenzionato a sollecitare il rinvio a giudizio dell’ex titolare dell’Interno. Ribadirà di aver «agito per difendere il mio Paese», ma soprattutto sosterrà che «ogni decisione è stata presa in maniera collegiale, condivisa anche nelle trattative con gli altri Stati dell’Unione europea per la distribuzione dei migranti». E così tenterà anche di spaccare la maggioranza, visto che Di Maio ha annunciato il voto favorevole del M5S alla richiesta dei giudici mentre Italia viva di Matteo Renzi potrebbe dire no. L’accusa è sequestro di persona per aver tenuto a bordo della nave della Guardia costiera italiana Gregoretti 131 migranti soccorsi nel Mediterraneo il 25 luglio scorso e fatti sbarcare 6 giorni dopo nel porto siciliano di Augusta. Durante il comizio di ieri a Bormio il leader della Lega è tornato a battere sul tasto della propaganda di quando era al Viminale: «Mi sento Silvio Pellico, “Le mie prigioni”. Rischio fino a 15 anni di carcere perché ho bloccato degli immigrati e difeso íl mio Paese. Ma che memorie difensive vuoi produrre? Lo Stato è come casa mia, devi usare il campanello, se non hai il permesso di entrarci ti rimetto sul barchino e ti rispedisco a casa tua».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lopapa Carmelo 
Titolo: Gregoretti, le carte di Salvini: “Conte sapeva” – Gregoretti, Salvini accusa Conte “Il suo sostegno era implicito”
Tema: Salvini – “Caso Gregoretti”
Punto primo. Nessun atto è stato compiuto da Matteo Salvini in quei cinque drammatici giorni di luglio per trarre vantaggio o lucrare politicamente dalla vicenda dei 131 immigrati a bordo del pattugliatore della Guardia Costiera Gregoretti. Tutte le decisioni sono state adottate nella sua qualità e nei suoi poteri di ministro dell’Interno. Punto secondo. Delle sue determinazioni in tal senso sono stati sempre tenuti al corrente il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e i ministri competenti. A conferma, ed è il terzo punto, ci sarebbe il fatto che pur essendo di dominio pubblico lo stallo della nave al largo di Catania e poi di Augusta, non è giunto alcun ordine in direzione opposta da parte di Palazzo Chigi. Tesi che sarebbe suffragata, secondo la difesa del leader leghista, dalla copia delle “interlocuzioni scritte” avvenute in quei giorni tra il Viminale, la Presidenza del Consiglio, il ministero degli Affari esteri (guidato fino ad agosto da Enzo Moavero Milanesi) e organismi comunitari. Infine ci sarebbe il precedente del caso Diciotti, che ha portato alla respinta della richiesta di processo per una vicenda analoga. Sono i quattro pilastri sui quali si basa la memoria difensiva predisposta, anche in questo caso, dall’avvocato e senatrice ed ex ministra leghista Giulia Bongiorno. Entro oggi pomeriggio sarà depositata negli uffici della Giunta per le immunità di Palazzo Madama. La richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dal Tribunale dei Ministri di Catania per sequestro di persona sarà discussa già a partire da mercoledì 8, in vista del voto finale del 20 gennaio da parte dell’organismo presieduto da Maurizio Gasparri.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Palazzolo Salvo 
Titolo: Mafia e politica Il presagio di Piersanti Mattarella – L’intreccio mafia-terrore negli appunti segreti di Piersanti Mattarella
Tema: Piersanti Mattarella

«16 marzo», evidenziava con una freccia. È la data del sequestro di Aldo Moro. E poi: «Violenza mafia». Piersanti Mattarella, il presidente della Regione Siciliana che voleva cambiare la politica, aveva compreso la posta in gioco in quell’Italia di fine anni Settanta. Aveva compreso soprattutto il rischio che correva: il percorso delle riforme, da Roma a Palermo, aveva tanti nemici. Quarant’anni dopo l’omicidio del giorno dell’Epifania, è una terribile premonizione quella che riemerge dagli appunti del presidente Mattarella, custoditi da uno dei suoi più “Le sue parole spaventavano i clan e prepararono una seconda via Fani” stretti collaboratori, Salvatore Butera, che oggi ha 82 anni. La premonizione di un’escalation e di un intreccio, fra mafia e terrorismo, che è lo scenario su cui adesso si muovono le indagini della procura di Palermo per dare un volto a quel sicario – «con gli occhi di ghiaccio e l’andatura ballonzolante», come lo descrisse la vedova di Piersanti – che fermò il cammino dell’erede di Aldo Moro, il presidente della Dc ucciso dalle Brigate Rosse. «Piersanti scriveva continuamente – racconta Butera – anche in auto. E poi ci scambiavamo gli appunti, perché ogni discorso era il risultato di una lunga elaborazione, fondata su analisi e numeri». Amava le liste, Mattarella, uomo di grandi sorrisi e politico appassionato. In un appunto segnava le “priorità”: «Bilancio poliennale, sanità, decentramento, funzionalità amministrativa regionale, enti pubblici». E poi: «Enti economici, abusivismo».
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Carli Andrea 
Titolo: Il dossier: mancata manutenzione Pronto il rapporto su Autostrade – Mit: mancata manutenzione, dossier su Autostrade a Conte
Tema: Autostrade

Il Governo, spiega una fonte del ministerodelle Infrastrutture e dei trasporti, prenderà a breve una decisione sulla revoca delle concessioni autostradali ad Autostrade per l’Italia (gruppo Atlantia, la holding dei Benetton). E il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Paola De Micheli del Pd, in un’intervista a “24 Mattino” su Radio24 fa intendere che il dossier elaborato dai tecnici del dicastero, redatto sulla base di quanto emerso dalle verifiche effettuate da società esterne sui 1.943 ponti e viadotti della rete Aspi – il documento verifica se il concessionario ha adempiuto agli obblighi – è chiuso, pronto per essere sottoposto al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dei colleghi di governo. Insomma dopo il pressing M5S di inizio anno, messo in campo dopo la pesante relazione della Corte dei Conti e il crollo in una galleria sulla A26 Genova-Gravellona Toce – ancora ieri Luigi Di Maio è tornato alla carica in un post su Facebook, ricordando che «ora il prossimo passaggio cruciale sarà togliere le concessioni ai Benetton. Riusciremo anche in questo» – il fascicolo registra un’accelerazione. Accelerazione che trova conferma, in primo luogo, nelle parole di una fonte vicina al ministero di Via XX Settembre. «I documenti sono acquisiti e l’istruttoria è terminata – chiarisce la fonte -. Il confronto su tutto il tema avverrà quanto prima». E «la decisione» sul futuro della gestione della concessione autostradale «sarà presa all’interno di un consiglio dei ministri».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Fubini Federico 
Titolo: Il retroscena – La trattativa segreta tra governo e Autostrade – Autostrade, trattativa segreta per un maxi-risarcimento
Tema: Autostrade
Costa fra sei e otto miliardi di euro allo Stato una eventuale decisione del governo di revocare la concessione firmata dodici anni fa con Autostrade per l’Italia (Aspi). E’ questo l’effetto implicito di una norma nel decreto «milleproroghe» di Natale che, di fatto, modifica le clausole di rottura dell’accordo del2007 fra il governo di allora e Aspi. Queste ultime prevedono l’indennizzo totale dei ricavi previsti dall’azienda fino alla fine della concessione nel 2038, in ogni caso: sia che il governo intervenga nell’interesse pubblico, che per inadempienza del concessionario come è il caso per il crollo del ponte Morandi. Anche dopo un «indennizzo» da parte dell’azienda per i propri errori, il conto della revoca sarebbe dunque astronomico: per toglierle la gestione di quasi tremila chilometri di autostrade, lo Stato dovrebbe versare alla società del gruppo Atlantia 23 miliardi. Con il decreto «milleproroghe», invece, la situazione cambia, ma solo in parte. Una rottura dell’accordo non funzionerebbe infatti come previsto due giorni fa dal capo dei 5 Stelle Luigi Di Maio, secondo il quale «si perdono solo i profitti dei Benetton» (la famiglia che controlla Aspi attraverso una quota del 30,2% nella holding Atlantia). Lo Stato dovrebbe comunque rimborsare Autostrade per le opere già realizzate e altre penali: secondo stime affidabili, appunto, fra sei e otto miliardi. Di sicuro si aprirebbe poi un contenzioso legale, perché Atlantia chiederebbe l’intero risarcimento di 23 miliardi e un pagamento per i danni alla reputazione della holding quotata.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Brillo Nicola 
Titolo: Il retroscena – Autostrade, piano d’emergenza “due mesi di controlli ai tunnel”
Tema: Autostrade

“E’ evidente a tutti, che in questi anni qualcosa è successo, o meglio temo che qualcosa non sia successo: abbiamo troppe evidenze, ahimè concrete, di situazioni di mancata manutenzione, di ritardi o di manutenzioni fatte secondo criteri non oggettivi”. Così il ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli ha ribadito ieri a Radio24, che il dossier relativo alle concessioni ad Autostrade per l’Italia (gruppo Atlantia) è pronto. Ma «prima sarà presentato nel Consiglio dei ministri. Le conseguenze – ha puntualizzato – le decidiamo con i colleghi, è una responsabilità collettiva». Tra gli scenari probabili una risoluzione delle concessioni autostradali (o parte di esse) e il contestuale passaggio ad Anas. Scenari che ieri hanno contribuito al crollo in Borsa del titolo Atlan tia, che ha ceduto il 3%. Le mosse dei Benetton Da Ponzano Veneto (Treviso) nessun commento ai ripetuti attacchi ricevuti nelle ultime settimane da parte di esponenti di peso del governo giallorosso, in primis Luigi Di Maio («Si avvia un percorso che ci permette di revocare le concessioni ai Benetton»). Stessa linea adottata da Autostrade per l’Italia. L’ultimo documento ufficiale della società è chiaro e rimane valido: la lettera scritta prima di Natale e indirizzata al Consiglio dei ministri. Messi da parte i «rilevanti profili di incostituzionalità e contrarietà a norme europee» dell’articolo contenuto nel Milleproroghe, Aspi ha fatto sapere che se il governo intende giungere alla risoluzione del contratto di concessione, dovrà mettere mano al portafoglio.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Baroni Paolo 
Titolo: Intervista a Giancarlo Cancelleri – “A breve la decisione: la revoca della concessione è l’unica strada”
Tema: Autostrade

«La decisione è attesa a breve» sari presa dal Consiglio dei ministri nella sua interezza, conferma il viceministro alle Infrastrutture Giancarlo Cancelleri. Secondo il quale «occorre dare un segnale forte: occorre revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia e dare così dimostrazione che in Italia chi sbaglia paga». La decisione è attesa a giorni. «Il dossier ormai è chiuso – spiega Cancelleri – ma prima di procedere il ministro De Micheli vuole avere un confronto politico con tutte le quattro forze che costituiscono la maggioranza. Per quanto ci riguarda, come Movimento 5 Stelle, rimaniamo fermi sulla nostra posizione, perché a questo punto gli ingredienti per la revoca delle concessioni ci sono tutti». Lo Stato dopo il Milleproroghe ora è più forte, si dice. Ma non si rischia un contenzioso miliardario? «Col Milleproroghe il rischio contenzioso è assolutamente escluso. Ma quella inserita nel decreto non è una norma contro Aspi, si tratta piuttosto di un articolo a favore della sicurezza stradale. Tra l’altro questo provvedimento si è reso necessario perché dovevamo superare un problema sulla Ragusa-Catania, tant’è che c’è un passaggio sull’acquisto dei progetti da parte di Anas. Poi, una volta che eravamo in quel campo lì, ci siamo però soffermati a ragionare a tutto tondo di quello che doveva essere anche lo status proprio delle concessioni».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Colombo Davide 
Titolo: Costi in calo per Quota 100: 5,2 miliardi nel 2020 – Frenata sui costi per Quota 100: 5,2 miliardi nel 2020
Tema: Quota 100

L’ultima stima al ribasso sulla nuova spesa per pensioni legata a “Quota 100” è arrivata a poche ore dalla fine del 2019 con il Bilancio preventivo Inps approvato dal Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ). Le maggiori uscite coperte dalla fiscalità generale per chi si pensionerà con i requisiti minimi di 62 anni e 38 di contributi si fermerebbero quest’anno a 5,2 miliardi, oltre 600 milioni meno di quanto indicato nella relazione tecnica al Ddl di Bilancio. Ma anche con ritiri minori delle attese la corsa della spesa complessiva per pensioni non rallenterà. Numeri da leggere con cautela, perché le classificazioni non sono sempre allineate nei diversi documenti contabili dell’Istituto. Ma confermano le dimensioni “monstre” raggiunte da questo aggregato della spesa corrente. Le uscite a carico della fiscalità generale passeranno quest’anno da 115,4 a 121,7 miliardi (+5,4%). Oltre al peso di “Quota 100″ ci sono gli 11miliardi per coprire i disavanzi delle gestioni pensionistiche o i 16 miliardi per gli interventi pensionistici assistenziali. Mentre fuori dal perimetro previdenziale si aggiungono i 7,1 miliardi per reddito e pensioni di cittadinanza (+62% rispetto ai 4,4 spesi nel 2019) o i 18 miliardi perle disabilità di origine non professionale (+1,3%). Ma torniamo a”Quota 100”. Chi coglierà quest’anno questa finestra di anticipo? Secondo l’UpB potremmo arrivare a circa 246mila soggetti, il 19% in meno rispetto ai 300 mila previsti dal governo giallo-verde al lancio della sperimentazione.
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Testata:  Giornale 
Titolo: È già caos su quota 100 Rischio di nuovi esodati Ma il governo è spaccato
Tema: Quota 100

Tra i numerosi rebus che la traballante maggioranza giallorossa dovrà risolvere nel corso del 2020 c’è anche quello relativo al capitolo previdenziale. La fase «sperimentale» di quota 100 si concluderà, infatti, il 31 dicembre dell’anno prossimo e già il dibattito è aperto su come evitare un nuovo «scalone» determinato dalla sempre vigente legge Fornero. Con quota 100 ci si può ritirare dal lavoro a partire dai 62 anni con 38 anni di anzianità contributiva, mentre le norme montiane prevedono il pensionamento di vecchiaia con 67 anni e quello di anzianità con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne). Evitare nuovi casi di esodati è comunque imprescindibile, tant’è vero che sono state stoppate le intemerate renziane per la sua abolizione già a partire da quest’anno. Le strategie di M5s e Pd, però, divergono. Innanzitutto, nessuno dei due partiti si vuole più intestare la misura cara al leader leghista Matteo Salvini. Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha già da tempo accennato alla possibilità di sviluppare una flessibilità in uscita à la carte, cioè fissata per sempre in base alla gravosità dell’occupazione (e non inferiore ai 60 anni) e sempre prevedendo un ricalcolo contributivo dell’intero monte pensionistico. I costi legati ai maggiori flussi di pensionamento dovrebbero essere in parte supportati dai risparmi sulla stessa quota 100 che nel triennio 2019-2021 dovrebbe costare circa 4,5 miliardi in meno rispetto a quanto preventivato. L’Ufficio parlamentare di Bilancio, tuttavia, ha manifestato dubbi sull’effettiva disponibilità di queste risorse in quanto la fine di quota 100 potrebbe determinare una sorta di «corsa all’oro» generale.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Patucchi Marco
Titolo: Industria italiana in declino stime ai minimi dal 2013
Tema: Industria

C’è anche chi si spinge a monitorare il Baltic Dry Index, l’indicatore del traffico mondiale delle navi portacontainer, per ricavarne l’auspicio dell’economia. Ma senza esagerare nell’arte divinatoria è sufficiente un’occhiata ad uno dei termometri più affidabili sulla salute della manifattura, per farsi una prima (allarmante) idea di che anno ci attende: a dicembre l’indice Pmi dell’Italia è sceso ai minimi degli ultimi sette anni, calando da quota 47,6 di novembre a 46,2. Uno scivolone oltre le aspettative, con gli economisti che avevano stimato l’asticella a quota 47,2. L’indice Pmi (Purchasing managers’index) è costruito sondando migliaia di direttori acquisti, figura chiave per misurare non solo l’andamento di un’azienda ma anche la situazione dei relativi mercati di approvvigionamento e di vendita. «La produzione si è contratta al livello più veloce degli ultimi sette anni – si legge nel report di IHS/Markit – mentre i nuovi ordini sono diminuiti notevolmente e il tasso di contrazione occupazionale è stato il più veloce da maggio 2013». Insomma, la conferma nei freddi numeri del declino industriale italiano, non bastassero le emergenze più eclatanti (come la siderurgia con il caso Ilva) e gli oltre 150 tavoli di crisi aperti al Mise senza un barlume di soluzione.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Cappellini Micaela 
Titolo: Intervista a Ivano Vacondio – «L’industria alimentare è il vero petrolio dell’economia italiana»
Tema: Industria

E’ diventato presidente di Federalimentare esattamente un anno fa, Ivano Vacondio. E a un anno di distanza traccia il bilancio di tutto quello che è stato portato a casa dalla seconda industria più importante del Paese. Ma anche di quello che le spetterebbe di diritto e non le è stato ancora riconosciuto a dovere. Qualeèil suo cruccio, presidente? Tra Natale e Capodanno sono rimasto in famiglia e ho sentito tanto parlare di cibo. A casa, per strada e sui giornali. Ma mai una volta che abbia sentito parlare di chi sono veramente gli artefici, di questo cibo made in Italy. Tutto merito delle materie prime? Non è assolutamente così! Non ho mai visto un suino finire direttamente sulle tavole. Né degli italiani né del resto del mondo. Sono i salumi, a finirci. Il made in Italy non sono le materie prime, è la capacità delle imprese italiane di miscelare le materie prime e di crearne ricette uniche, in grado di avere successo in tutto il mondo. Dovremmo tutelare le ricette, non le materie prime. Ecco cosa vorrei che si facesse, nel 2020. II settore primario però è un segmento importante, dell’alimentare italiano… Nella comunicazione ci facciamo sovrastare dal settore primario. Ma i numeri parlano chiaro, su chi sia a detenere veramente il primato del made in Italy. Nel 2019 l’industria della trasformazione alimentare che io rappresento ha messo a segno un fatturato di 145 miliardi di euro, il settore primario solo di 57. II nostro export, come industria, è stato di 325 miliardi, ed è cresciuto del 6% rispetto al 2018: le esportazioni agricole sono state pari a 7,7 miliardi e, rispetto all’anno prima, sono diminuite del 4,5%.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Forte Francesco 
Titolo: Il commento – Così la politica rossa deindustrializza l’Italia – Conte vero anti-industriale (come il Pd)
Tema: Industria

Il Pd, che ha guidato Torino alla de-industrializzazione, si appresta a farlo con il Conte bis in Puglia e Liguria. Il modello con cui Torino e la sua area metropolitana sono andati in declino, è basato su una ideologia in cui campeggiano le tasse e le manette, insieme alla preferenza per le spese correnti rispetto agli investimenti, e la diffidenza per le grandi opere e le procedure semplificate, per attuarle. Un pizzico di anti capitalismo e la nostalgia per lo statalismo completano il quadro. La grande area metropolitana torinese, che arrivava sino ad Ivrea e ad Alba, era una realtà industriale di economia avanzata, con Fiat nel Torinese, Ferrero ad Alba e il polo elettronico a Ivrea. L’Olivetti aveva inventato il primo computer e produceva macchine elettroniche per ufficio. Italtel, guidata da Marisa Belisario, operava nella telefonia avanzata con i primi cellulari. Torino era la centrale del Pci, diventato Pds e poi Pd, che aspirava a dominar l’Italia. Michele Ferrero nel 1997 venne processato per presunta esportazione di capitali all’estero e, dopo la tortuosa vicenda, spostò la sede della multinazionale all’estero. Le privatizzazioni distrussero Italtel. L’incidente mortale alla acciaieria ThyssenKrupp ha dato luogo alla teoria giuridica del «dolo eventuale» per cui i cda hanno una responsabilità penale. Sarebbe servito uno scudo penale, ma al Pd non era gradite. Torino grazie al collegamento ad alta velocità con la Francia stava per diventare una capitale industriale europea.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Onida Fabrizio 
Titolo: L’innovazione da perseguire e i tesori nascosti della Ue – Come sfruttare i tesori nascosti dell’europa
Tema: Tesori nascosti della Ue

Un recente rapporto del Ceps dal titolo accattivante («Hidden Treasures. MappingEurope s sources of competitive advantage in doing business»), a cui ha contribuito anche l’italiano Andrea Renda con lunga esperienza negli Usa e a Bruxelles, cerca di contrastare il diffuso europessimismo generato dalla deludente performance dell’Europa (confrontata con gli Usa) in termini di produttività e crescita nell’ultimo quarto di secolo. nnanzi tutto fa riflettere il dato (pag. 78) per cui la quasi totalità delle imprese statunitensi che fanno parte della classe avanzata StandardePoor 500, se togliamo i giganti FAANG (Facebook, Apple, Amazon, Netflix, Google) nell’ultimo decennio non hanno registrato aumenti di produttività, a differenza dai principali gruppi medi e grandi a controllo europeo. Una proiezione del Conference Board sulla crescita della cosiddetta TFP (Produttività Totale dei Fattori), che statisticamente cerca di misurare la capacità dei paesi di accrescere efficienza e innovazione nell’utilizzo delle risorse primarie (capitale, lavoro, materie prime), segnala che l’Europa potrebbe recuperare nel 2026 i livelli di questo indice antecedenti alla crisi del 2007-08.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bongiorni Roberto 
Titolo: I nemici diventano partner nel petrolio
Tema: Libia

“Ricordo a tutte le parti che i giacimenti di petrolio e gas sono una fonte vitale di entrate che va a beneficio di tutti. Non devono essere trattati come obiettivi militari. Quando la produzione si interrompe,a perderci sono tutti i libici”. L’avvertimento lanciato di recente da Mustafa Sonallah, presidente della compagnia petrolifera di Stato della Libia (Noc), riflette davvero la realtà sul terreno. In Libia, in questo momento, il petrolio serve a tutti. E per gli tutti gli scopi. Serve al generale Khalifa Haftar, il padre padrone della Cirenaica, per continuare la sua offensiva militare contro Tripoli lanciata in dicembre. Ma serve anche al suo nemico, Fayez al-Sarraj, premier di quell’ormai poco rappresentativo Governo di accordo nazionale (Gna) riconosciuto dall’Onu e insediatosi nel 2016 nella capitale della Tripolitana. Da nemici sul campo di battaglia, i due leader vivono una situazione quasi paradossale. Per convenienza, devono essere partner energetici. Eppure da inizio anno Haftar controlla quasi tutti i giacimenti petroliferi del Paese e gran parte dei terminali sulla costa per esportarli. Gli idrocarburi rappresentano il 90% delle entrate governative. Perché, allora, rinunciare all’unica fonte di entrate disponibile? Perché non ha scelta.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cremonesi Lorenzo 
Titolo: Il sì della Turchia all’invio di truppe riaccende il fronte libico – Erdogan invia le truppe in Libia
Tema: Libia

La Turchia tira diritto e la guerra cresce d’intensità alla periferia di Tripoli. Con 325 voti favorevoli e 184 contrari il parlamento di Ankara ha approvato ieri pomeriggio la mozione fortemente voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan per inviare truppe in Tripolitania a sostegno del governo di Accordo Nazionale guidato da Fayez Sarraj contro l’assedio sempre più serrato delle forze militari agli ordini dell’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar. Non ci sono cifre ufficiali, ma negli ultimi tempi lo stesso Erdogan aveva accennato alla disponibilità di spedire almeno 5.000 soldati regolari. Potrebbero affiancarsi 1.600 volontari-mercenari siriani arruolati tra i miliziani sunniti emigrati a partire dal 2011 in Turchia per fuggire alla repressione di Bashar Assad e già utilizzati come elementi combattenti da Erdogan per affrontare i curdi nelle enclave siriane di Afrin e Rojawa. Per ora il mandato della forza di spedizione è limitato ad un anno. Ma in ogni momento potrebbe venire prorogato. «Una Libia il cui governo legale è sotto assedio minaccia i nostri interessi», spiegano da Ankara. Non sono invece chiari i tempi e le modalità dell’invio delle truppe.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Nigro Vincenzo 
Titolo: La mossa di Erdogan “Sì a truppe in Libia” Ma Trump dà l’altolà
Tema: Libia

A questo punto soltanto Erdogan potrebbe fermare se stesso nella sua marcia verso la Libia. Il Parlamento turco ha votato ieri (318 voti contro 184) l’intervento militare in aiuto del governo di Tripoli proposto dal presidente. E saranno soltanto i piani del leader a dettare i tempi, le modalità della missione. Un’operazione che certo rischia di far salire ancora di livello la guerra di Libia. Ma in cui la Turchia gioca con velocità le sue carte. Un unico freno potrebbe venire da Vladimir Putin, il presidente russo che Erdogan prevede di incontrare l’8 gennaio a Istanbul. Per il resto sia le proteste dell’Egitto che quelle degli altri Paesi arabi al momento non sembrano essere un vero freno per i piani della Turchia. E la stessa missione dei ministri Ue a Tripoli proposta da Luigi Di Maio si sgonfia: un membro del Consiglio presidenziale ha detto al ministro degli Esteri tedesco: «Se venite a Tripoli senza idee, senza proposte per bloccare l’assalto militare al nostro governo è inutile che ci veniate…». Dopo l’accordo di difesa del 27 novembre fra Ankara e Tripoli, il governo di Fayez al Serraj aveva chiesto ufficialmente alla Turchia sostegno militare contro l’attacco del generale Khalifa Haftar. Erdogan ha risposto all’appello: ha così deciso di tenere un dibattito in Parlamento, e di farsi votare una mozione che autorizza una missione di un anno.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Di Feo Gianluca 
Titolo: Libia, ultima chiamata
Tema: Libia

Nella primavera del 2016 lo Stato maggiore italiano studiava una grande operazione con quattromila soldati per stabilizzare la Libia e fermare l’Isis. Nell’estate 2017 schieravamo la flotta per impedire che il già fragile governo di Tripoli venisse travolto. Nel gennaio 2018 spedivamo un contingente di 400 militari per formare il nuovo esercito nazionale. Prove di forza per ribadire che i nostri interessi lì erano strategici: dal petrolio all’immigrazione e alle minacce terroristiche, la sicurezza dell’Italia passava dalla Libia. Era ancora “la quarta sponda”, una zona di influenza italiana riconosciuta a livello mondiale con tanto di investitura americana a guidarne la pacificazione. Poi la nostra politica estera si è dissolta ed è calata un’amnesia collettiva: ministri e partiti hanno cancellato la questione dall’agenda. Due anni di silenzio, mentre sull’altro lato del Mediterraneo cambiava tutto e noi uscivamo di scena. E adesso che il Sultano ristabilisce il protettorato sulla Cirenaica, il Parlamento riscopre la Libia. Ieri esponenti di tutti i movimenti politici hanno espresso dichiarazioni preoccupate. Un coro unanime, da Fratelli d’Italia a Leu, nel denunciare la gravità della situazione creata dalla mossa di Ankara, quasi un ritorno al grido “Mamma li turchi” che secoli fa terrorizzava le nostre coste. «Una volta eravamo protagonisti, ora siamo scomparsi», ha detto Matteo Salvini dalle nevi di Bormio.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Ottaviani Marta 
Titolo: Erdogan sfida l’Occidente La Turchia approva l’invio delle truppe in Libia
Tema: Libia

Il presidente della Repubblica turca, Recep Tayyip Erdogan, è riuscito nel suo intento di velocizzare il più possibile l’approvazione dell’invio di truppe in Libia. E ora è pronto a riscuotere il suo bottino di influenza in tutto il Nord Africa. Il parlamento turco ha approvato il dispiegamento di sold ati nel Paese per un anno, senza però fissare una data perla loro partenza. Con questa mossa il rais ha incassato un altro successo sullo scacchiere internazionale, che si aggiunge all’intervento nel Nord della Siria e aumenta potenzialmente la sua sfera di influnzea nella regione mediterranea. Anche la votazione, seppure accompagnata dai media con l’enfasi patriottica che richiedeva il momento, è stata veloce, relativamente tranquilla, su un documento di appena due pagine. Tutto il procedimento è avvenuto coerentemente all’accordo firmato da Erdogan e il capo del Governo di conciliazione nazionale, Fayez Al Sarraj lo scorso 27 novembre. Adesso potrebbe arrivare il peggio. Ma secondo gli esperti difficilmente la Turchia sceglierà di inviare soldati già nel breve termine e sulla mozione manca la data dell’intervento. Tutti particolari che fanno pensare che Erdogan abbia fretta di mettere in chiaro il proprio ruolo nei negoziati, per arrivare al tavolo in una posizione di forza e poter espandere l’influenza dell’Islam politico nell’arca il più possibile.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Frattini Davide 
Titolo: Netanyahu ad Atene Accordo per portare gas israeliano in Europa L’Italia (per ora) non c’è
Tema: Netanyahu ad Atene

EastMed si chiama il progetto energetico ed East Med si chiama la legge che il Congresso americano ha approvato pochi giorni fa. Perché dentro gli oltre 2 mila chilometri di tubi che verranno posati nel Mediterraneo non viaggia solo gas naturale, si muovono anche gli equilibri e le sfide tra nazioni. Benjamin Netanyahu è volato ieri da Israele ad Atene dove ha incontrato il premier greco Kyriakos Mitsotakis e il presidente cipriota Nicos Anastasiades: insieme hanno messo quello che dovrebbe essere l’ultimo timbro per dare il via alle operazioni. Un piano che unisce i tre punti — geografici e strategici – del triangolo nel Mediterraneo orientale e crea un’alleanza che secondo il primo ministro israeliano – in campagna elettorale e sotto pressione dopo l’incriminazione per corruzione — «ha un’importanza enorme e contribuisce all’equilibrio nella regione». È la stessa visione espressa dai deputati e senatori a Washington quando hanno votato l’Eastem Mediterranean Security and Energy Partnership Act: fiducia ridimensionata verso la Turchia e pieno sostegno alla neonata coalizione energetica. I tecnici hanno già definito i dettagli finanziari e ingegneristici di quella che sarà la conduttura sottomarina più lunga al mondo e che dovrebbe costare 7 miliardi di dollari.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Rosaspina Elisabetta 
Titolo: Svolta nella politica spagnola La prima coalizione è rosso-viola
Tema: Spagna

Sarà il regalo dei Re Magi a Pedro Sánchez per essere stato buono con la Catalogna. Dopo oltre 4 anni di instabilità, 250 giorni di tira e molla e due elezioni generali in meno di 7 mesi, sta per nascere in Spagna il primo governo di coalizione della storia post franchista. L’unione rosso-viola, non del tutto idilliaca, fra i socialisti di Sánchez e i «podemisti» di Pablo Iglesias dovrebbe mettere fine così al lungo periodo di stallo, con l’appoggio del Pnv, il partito nazionalista basco, e il (sofferto) nulla osta di Erc, Esquerra Republicana de Catalunya, la sinistra repubblicana della Catalogna. Il cui leader-eroe, Oriol Junqueras, potrebbe tornare libero dopo 26 mesi di carcere (sui 13 anni di condanna per la tentata secessione del 2017) e occupare il suo seggio nel Parlamento europeo. Dove lo aspetteranno l’ex presidente della Generalitat, Caries Pulgdemont e l’ex ministro Toni Comin, cui la Corte europea di giustizia ha riconosciuto l’immunità dopo la loro elezione. Pullman di sostenitori sono in partenza per Strasburgo. Il contratto prematrimoniale tra Sánchez e Iglesias, 50 pagine negoziate riga per riga, prevede aumenti delle tasse per i più ricchi e per le grandi imprese, e l’innalzamento del salario minimo a 1.200 euro. Il tutto si regge su una risicata maggioranza relativa grazie alla costosa astensione degli indipendentisti catalani, al quali il candidato presidente avrebbe garantito in cambio l’agognato referendum sul distacco da Madrid e l’apertura di un tavolo bilaterale entro 15 giorni.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Olivo Francesco 
Titolo: Via libera dei catalani In Spagna ora può nascere il governo di Sánchez
Tema: Spagna

Per restare al palazzo della Moncloa Pedro Sánchez ha pagato un prezzo alto: un accordo con i rivali a sinistra di Podemos e soprattutto un patto, impensabile fino a poco fa, con gli indipendentisti catalani di Esquerra. A meno di novità clamorose, il premier uscente potrà formare presto il suo secondo governo, interrompendo una paralisi nella quale la Spagna era precipitata da molti mesi. L’ultimo ostacolo è stato superato ieri: Esquerra Republicana ha deciso di astenersi nel voto di fiducia previsto tra domani e martedì, in cambio di una serie di impegni, tra cui quello di un referendum dai contorni ambigui («non sarà sull’indipendenza», assicurano i socialisti). Il premier che si era candidato promettendo di riportare in Spagna l’ex presidente Puigdemont rifugiatosi in Belgio, ha finito per firmare un patto con l’altro partito indipendentista, quello guidato da Oriol Junqueras, attualmente rinchiuso in una cella, condannato a 13 anni per il tentativo di dichiarare la secessione nell’autunno del 2017. È stato proprio Junqueras a dare l’ok definitivo dalla prigione di Lledoners. Se tutto andrà come sembra, la Spagna avrà il suo primo governo di coalizione della sua storia democratica. Il vice di Sánchez sarà Pablo Iglesias, il leader di Podemos. Altro socio chiave, ma fuori dall’esecutivo, sarà il partito nazionalista basco, di linea moderata ed europeista, ma di ferme convinzioni autonomiste. La presenza degli ex indignados e i voti decisivi delle forze territoriali più ostili a Madrid provocano nella destra reazioni durissime: «I socialisti hanno venduto la Spagna», attacca il Partito Popolare. Ancora più aggressivo il commento di Vox: «Sánchez si inginocchia davanti ai golpisti». Mentre la nuova leader di Ciudadanos, Inés Arrimadas, fa un appello ai colonnelli del Psoe affinché «fermino questa follia».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Tito Claudio 
Titolo: Il Sinodo italiano voluto da Francesco fa litigare i vescovi
Tema: Sinodo italiano

La guerra sembrava sopita. O almeno che fosse stata siglata una sorta di tregua armata. Ma tutto rischia di esplodere di nuovo. E ancora una volta l’epicentro è la Curia Romana. Il detonatore, però, potrebbe essere piuttosto inaspettato: la Cei. La Conferenza episcopale italiana. Tra i vescovi italiani, infatti, da qualche tempo iniziano a emergere segnali evidenti di insofferenza rispetto alla linea del Pontefice. L’ipotesi avanzata negli ultimi mesi di un Sinodo italiano ha creato più di un malumore. L’idea non è stata riproposta direttamente dal Papa, ma è stata sollecitata a più riprese dai suoi sostenitori più fermi. E ha creato qualche dissapore nell’episcopato italiano. Che ha vissuto come una sorta di “commissariamento” se non addirittura come (“archiviazione” di una storia, l’ipotesi sinodale. Al punto che alcuni dei vescovi più influenti avrebbero accennato negli ultimi giorni alla possibilità di un atto netto da parte del presidente della Conferenza episcopale, Gualtiero Bassetti. Ossia l’interruzione anticipata del suo mandato che per statuto si concluderebbe nel 2022. La decisione, in realtà, non è stata ancora assunta. E nessun passo ufficiale e ufficioso è stato compiuto. Si tratta soprattutto di una aspirazione di alcuni prelati che trae origine dalle riflessioni svolte nelle sale della Cei dai chi è sempre stato critico nei confronti di Francesco e da chi che lo è diventato in una sorta di eccentrica saldatura.
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Testata:  Il Fatto Quotidiano 
Autore:  Reguitti Elisabetta 
Titolo: Armi nucleari in Italia Bonelli: “Fare chiarezza”
Tema: Armi nucleari

Anche nel profondo nord tutto cambia per non cambiare. Aerobase di Ghedi in provincia di Brescia: anno nuovo bombe nuove, ma intanto si comincia dai lavori di adeguamento per i nuovi cacciabombardieri F-35. La notizia parte da lontano: l’ex generale Charles Chuck Wald della UsAir Force all’agenzia Bloomberg a novembre annuncia il trasloco dalla Turchia all’Italia. Il motivo? Troppo rischiosa l’infedeltà politica di Erdogan. La notizia ripresa dal Gazzettino viene smentita dal dicastero della Difesa. Intanto Angelo Bonelli coordinatore dell’esecutivo dei Verdi pone la questione : “Continua il silenzio del Governo sull’arrivo in Italia delle 50 armi a testata nucleare provenienti dalla base turca di Incirlik. Nessun cenno, nessuna reazione anche dai gruppi parlamentari di fronte alla trasformazione del nostro paese nel più grosso arsenale di armi nucleari di Europa”. Secondo il bando di progettazione del ministero della Difesa nella località bresciana nuovi hangar potranno ospitare fino a 30 caccia F-35 con 60 bombe nucleari B61-12, il triplo delle attuali B-61. Velivoli che andrebbero a sostituire l’attuale dotazione di caccia Tornado IDS – configurati per l’attacco nucleare in gergo tecnico: “con capacità aerea non convenzionale”, armamentario Lep (Life Extension Program) B61 – già presenti. Nella bassa bresciana quindi tutto procede in modo spedito, nel silenzio generale.
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IL SOLE 24 ORE
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CORRIERE DELLA SERA
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