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SINTESI IN PRIMO PIANO – 16 gennaio 2020

In evidenza sui maggiori quotidiani:

– Gregoretti, stallo sul processo a Salvini. La Lega in pressing: niente rinvio;
– Prescrizione, lite Renzi-Pd. Caos sulla giustizia;
– Caccia ai fondi verdi, l’Italia riceverà fino a 4,8 miliardi;
– Dazi, Usa e Cina firmano l’intesa. Ora l’Europa rischia ritorsioni;
– Libia, il piano italiano per Berlino: «Tregua tra le fazioni e confronto»;
– Putin cambia la Costituzione. Al governo l’uomo del Fisco;
– Svolta Bergoglio: una donna sottosegretario in Vaticano.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Piccolillo Virginia 
Titolo: Prescrizione, lite Renzi-Pd – Renzi vota con FI, caos sulla giustizia
Tema: Legge Bonafede

«La legge Bonafede è un obbrobrio e il Pd sta inseguendo il populismo giudiziario di Bonafede e di M5S». Al termine di una giornata di accuse incrociate tra Pd e Iv, Matteo Renzi rivendica la scelta dei suoi deputati in commissione giustizia, che ha spaccato la maggioranza. Al voto, ieri, c’era un emendamento dei 5 Stelle per sopprimere la proposta di legge formulata dal responsabile giustizia di Forza Italia, Enrico Costa, che elimina il blocco della prescrizione ma fa esplodere le contraddizioni interne al governo. E così è stato. I due deputati di Iv hanno votato contro con FI, Lega e FdI. E l’emendamento è passato per un solo voto: quello della presidente della commissione Giustizia, Francesca Businarolo (M5S). Tenta di sanare la ferita, il Guardasigilli Alfonso Bonafede: «Prendo atto della bocciatura. Nei prossimi giorni presenterò la riforma del processo penale. Dopo l’ultimo vertice ci sono tutti i presupposti per dare finalmente una risposta concreta». Ma lo scontro interno alla sinistra di governo è ormai aperto. Con i renziani all’attacco del Pd, considerato «a rimorchio» dei Cinque Stelle. «Il Pd schierato col giustizialismo M5S lascia senza fiato», twitta Teresa Bellanova. E, a Porta a Porta, Renzi rimarca: «Abbiamo votato per riportare in vigore la legge del governo Renzi fatta dal ministro Orlando. Per dire: non è possibile che ci sia un processo senza fine. Paradossalmente, Lega e FI hanno votato con noi, il Pd con Il M5S. Un abbraccio di solidarietà ai riformisti Pd che stanno inseguendo i grillini». Respinge ogni «maldestra accusa» il responsabile giustizia dem Walter Verini. E contrattacca: «Noi non andremo mai a rimorchio di Salvini, la nostra è una scelta di campo».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Sorgi Marcello 
Titolo: Il taccuino – L’inizio di un percorso terzista dell’ex premier
Tema: Legge Bonafede

La prima, dichiarata uscita parlamentare centrista di Renzi, nel campo che l’ex-leader del Pd vede in prospettiva lasciato libero dal suo successore Zingaretti, è finita in una sconfitta. I membri di Italia Viva della commissione giustizia hanno votato contro l’emendamento 5 stelle che puntava a bocciare la proposta del forzista Costa di cancellare l’abolizione della prescrizione voluta dal ministro Bonafede. E sono stati battuti insieme all’opposizione di centrodestra. L’emendamento è passato con i voti grillini, del Pd e di LeU, e senza quelli renziani, che pure in teoria avrebbero fatto parte della maggioranza e sono invece finiti all’opposizione. Di una votazione del genere si parlava già dall’anno scorso. Il Pd, pur di non trovarsi a favore della proposta Costa, ne aveva presentata una sua, abbastanza simile. Un modo di premere, ma senza troppa convinzione, su Bonafede, per fargli capire che non avrebbe accettato la cancellazione della prescrizione a partire da Capodanno, senza un preventivo accordo sulla riforma del processo penale, per fissarne tempi certi che in pratica avrebbero fatto rientrare i termini della stessa prescrizione. Perché allora Renzi ha voluto infilarcisi lo stesso, pur sapendo che i numeri erano a favore del governo e che il Pd non si sarebbe smarcato? Proprio perché, secondo l’ex-premier, la svolta per un “partito nuovo” annunciata di recente da Zingaretti e confermata nel seminario nell’abbazia reatina, sposterebbe il Pd a sinistra, aprendo nuovi spazi al centro che Italia viva intende occupare.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Zurlo Stefano 
Titolo: Intervista a Carlo Nordio – La riforma di Bonafede? Un mostro incostituzionale»
Tema: Legge Bonafede

L’ex pm Carlo Nordio boccia le norme sulla durata dei processi: non serve la Consulta per dire no, basta il buonsenso. La prescrizione? «Un mostro». Sospiro. Carlo Nordio spara con precisione millimetrica il secondo colpo: «La nuova legge è un mostro incostituzionale». Vuol dire che la Consulta la butterà giù? «No, basta molto meno: il buonsenso. Con le nuove norme il cittadino resta impigliato in un procedimento per un tempo indefinito, ma tendente all’infinito. E tutto questo confligge con il principio costituzionale della ragionevole durata dei processi». Mai giudici sono chiamati ad accelerare i tempi. «Come? Oggi almeno se dichiarano la prescrizione sono costretti a motivare, in futuro no». Che cosa accadrà? «Si darà la precedenza ai casi più gravi, a esempio quelli con detenuti. E gli altri, pensiamo agli incidenti stradali con vittime, slitteranno. Tanto non c’è più fretta. In ogni caso con l’obbligatorietà dell’azione penale c’è sempre un fascicolo più urgente degli altri». Meglio la discrezionalità? «Certo, ma ci vuole un po’ di coraggio per riformare il sistema. Invece non si vuole nemmeno sfiorare l’obbligatorietà. Ma alcuni procuratori hanno scritto circolari per decretare le precedenze. Solo che queste scelte sono politiche e dovrebbe farle il parlamento».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cremonesi Marco 
Titolo: Stallo sul processo a Salvini La Lega in pressing: niente rinvio
Tema: Caso Gregoretti

Non si sblocca l’impasse sulla data in cui la Giunta per le immunità del Senato dovrà votare sì o no all’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini per la vicenda della nave Gregoretti. L’interessato non si scompone: «Non sono preoccupato, sono orgoglioso di quello che ho fatto. E se mi mandano a processo vi aspetto tutti…» dice ai militanti emiliani. La conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama ieri ha visto ancora contrapposti i due fronti. Da una parte la maggioranza, che chiede uno slittamento del voto della Giunta (previsto per lunedì 20) a dopo le elezioni Regionali, visto che le Camere sono chiuse dal 20 al 24 per permettere la campagna elettorale; dall’altra l’opposizione, che pretende invece che la riunione si tenga e si decida, visto che «la Giunta è organo giurisdizionale diverso dalle commissioni». La sostanza è tutta politica: Lega, Fdl e FI sono convinti che la maggioranza voglia «processare Salvini ma solo dopo le Regionali, perché sanno che è una decisione impopolare e che la pagherebbero nelle urne». Alla fine Pd, M5S, Iv e Leu hanno affidato alla presidente Elisabetta Casellati il mandato di «tentare di convincere» il presidente della Giunta Maurizio Gasparri a spostare la data, ma l’azzurro finora si detto contrario. E se dall’opposizione oggi in Aula sarà chiesto un pronunciamento della Giunta per il regolamento, l’esito del braccio di ferro resta aperto: i tempi sono stretti, i possibili assenti tanti, ed è possibile che la Giunta slitti. La situazione resta in evoluzione.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lopapa Carmelo 
Titolo: Gregoretti, oggi in Senato prove generali del voto sul processo all’ex ministro
Tema: Caso Gregoretti
Due ore di scintille in conferenza dei capigruppo al Senato non bastano a sciogliere il nodo più controverso che inchioda da giorni il primo ramo del Parlamento. Far votare o no la giunta per le immunità sull’autorizzazione al processo per sequestro di persona a carico di Matteo Salvini prima del voto in Emilia Romagna e Calabria? Una battaglia – questa sulla vicenda della nave Gregoretti consumata tra il 25 e il 31 luglio – che questa mattina potrebbe trascinarsi perfino in aula. A quel punto, sul rinvio o meno del voto potrebbe cristallizzarsi la stessa maggioranza (Pd-MSS-Leu) che tra un mese potrebbe decretare la definitiva autorizzazione al processo. Nella riunione dei presidenti dei gruppi di maggioranza la tensione è stata altissima. Da una parte Andrea Marcucci del Pd e Gianluca Perilli del M5S, dall’altra gli avversari di centrodestra, Massimiliano Romeo della Lega e Isabella Rauti di Fdi. Nel mezzo, è il caso di dire, la presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati, che ha deciso per il momento di non decidere, non assumendo cioè l’attesa scelta finale sul da farsi. Consentire o no che sul processo chiesto dal Tribunale dei ministri di Catania si voti in giunta lunedì 20 gennaio, come si ostina a sostenere il presidente dell’organismo chiamato a pronunciarsi, Maurizio Gasparri. Battaglia campale terminata a Palazzo Madama solo in serata e con un rinvio a stamattina.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Meli Maria_Teresa 
Titolo: Zingaretti: «Asse con il M5S? No, si apre una fase nuova»
Tema: Pd-M5S

Zingaretti appare sinceramente stupito per le accuse di subalternità al M5S che gli sono state rivolte, anche all’interno del suo partito, durante la due giorni all’ex abbazia di San Pastore. Però sono stati proprio i massimi dirigenti dem in quel seminario a insistere sull’alleanza con i grillini: perché sorprendersi? «Contigliano – spiega il segretario – è stata l’occasione per aprire una fase nuova, esattamente l’opposto del rilancio del rapporto con i 5 Stelle. Piuttosto, un altro passo di una strategia di rafforzamento del Pd». Eppure è passato, in parte, un altro messaggio. «Con la decisione di andare avanti con il proporzionale, il tema dell’alleanza con i Cinque Stelle per le elezioni non c’è più. C’è invece nell’ambito delle Regionali». E allora l’insistenza sull’alleanza con i grillini? «Noi vogliamo ribadire ovunque la necessità che questo deve essere un governo di alleati e non avversari. E questo il senso delle nostre affermazioni». Già, il ritorno del proporzionale. C’è chi teme che coincida con un ritorno all’antico. In parole povere, bipolarismo addio. Ma Zingaretti è convinto che questo non avverrà: «L’Italia è e rimarrà bipolare. La Lega e il Pd sono i pilastri di questo bipolarismo. Del resto il nostro è l’unico partito della maggioranza di governo che si presenta ovunque in alleanze contro Salvini». A Contigliano, però, è rimasto sullo sfondo un altro tema. Quello del rinnovamento del Partito democratico. E già stato archiviato? «No. Occorre un rinnovamento del Pd e una sua massima apertura. Lo Statuto del partito dopo 12 anni è cambiato molto. Però non basta, ora occorre un’innovazione del Pd. E’ necessario innescare un processo nuovo che allarghi e aggreghi intorno al Partito democratico, perché noi siamo gli unici che parlano con quello che si muove nella società».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Trocino Alessandro 
Titolo: Gli anti-Di Maio spaccati, solo in pochi al summit E sulla Calabria è scontro
Tema: M5S

Ora si attende. Che Luigi Di Maio decida se mettere in piedi un nuovo direttorio per ripararsi dalle «pugnalate» (come le ha chiamate lui stesso). Che i ribelli prendano in mano la situazione e affrontino la questione della leadership e il rapporto con Davide Casaleggio. Che Lorenzo Fioramonti crei il suo nuovo gruppo. Che arrivino le elezioni in Emilia-Romagna e in Calabria. E che si celebrino gli Stati Generali, titolo ancora da riempire di contenuto. Nel frattempo Di Maio, pressato dai gruppi, prova a strappare qualche altra concessione a Casaleggio: per la prima volta i due non sono in perfetta sintonia. Intanto il Movimento subisce un lento smottamento. Ieri in Transatlantico Fioramonti era attivissimo, circondato da capannelli di deputati. Si dice che ne siano in arrivo quattro, pronti all’abbraccio parlamentare. Ma si parla di traslochi in molte direzioni. Al Senato c’è una senatrice in trattative con la Lega, alla Camera si parla di una deputata in partenza per Fratelli d’Italia e di due in direzione di Matteo Renzi. Nemesi, per un avversario storico. Altri restano ma sono furibondi. Vedi Nicola Morra che ieri ha attaccato frontalmente Luigi Aiello, candidato M5S per la Calabria definito «inaccettabile».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Magri Ugo 
Titolo: Referendum a favore del maggioritario Consulta in bilico, lotta all’ultimo voto
Tema: Lega

Stamane la Consulta deciderà se ammettere il referendum elettorale della Lega, e la posta in gioco è talmente elevata che – prima volta nella storia della Repubblica – le arringhe degli avvocati si sono svolte sotto gli occhi vigili dei partiti. A marcare strettamente i giudici c’erano il padano Roberto Calderoli e il capogruppo di Leu al Senato, Federico Fornaro. In passato i politici evitavano di assistere alle udienze per un finto riguardo nei confronti della Corte costituzionale; stavolta, nemmeno più quello. Del resto, ieri è stato tutto un tambureggiare di appelli, avvertimenti e velate minacce. Soprattutto da destra, con Salvini e Meloni in prima linea, quando si è sparsa la voce che la bilancia della Corte stava pendendo lievemente dalla parte del no al referendum. Circola addirittura una stima, pallottoliere alla mano: 6 sarebbero i giudici decisi ad ammettere il quesito referendario e 8 invece quelli orientati a bocciarlo, più uno molto autorevole ma tuttora una Sfinge. Fossero numeri esatti, basterebbe che stanotte qualcuno avesse cambiato opinione per ribaltare gli equilibri della vigilia. Ma l’attenzione dei Palazzi ormai è altrove, tutta rivolta ai contraccolpi che il verdetto potrà avere sulla durata della legislatura, sulla stabilità del governo e anche sulle prossime elezioni in Emilia Romagna. Già, perché se il centro-destra vincesse nella regione “rossa” per antonomasia, quel voto potrebbe innescare una reazione a catena dentro la maggioranza. E nel caso di bocciatura del “suo” referendum, Salvini si consolerebbe facendo la vittima e denunciando le manovre dell’establishment
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Barlaam Riccardo 
Titolo: Dazi, Usa e Cina firmano l’intesa Ora l’Europa rischia ritorsioni – Cina e Usa firmano il patto di distensione commerciale
Tema: Usa-Cina

Guerra dei dazi, gli Usa e la Cina hanno firmato la tregua. Pechino comprerà 200 miliardi di beni e servizi americani in più e promette maggiori tutele sulla proprietà intellettuale. Washington dimezza i dazi su 120 miliardi di export cinese. Adesso è l’Europa a rischiare. Nel mirino degli Usa i sussidi ad Airbus, le tariffe sull’auto europea e i governi Ue che applicheranno la web tax. L’accordo contiene capitoli dedicati alla protezione dei brevetti e dei marchi, con regole più stringenti per combattere la contraffazione e la tutela della proprietà intellettuale. Pechino si è impegnata a garantire l’accesso al mercato alle società straniere e a eliminare i vantaggi nazionali, così come sono previste norme contro il trasferimento forzoso delle tecnologie. Nel capitolo dedicato alle valute, la Cina si è impegnata a non utilizzare la svalutazione del cambio per avvantaggiarsi negli scambi commerciali. Un punto che per anni Pechino si è rifiutata di accettare. Gli Usa a loro volta hanno eliminato lo yuan dall’elenco delle divise accusate di manipolazione del cambio. L’accordo prevede un meccanismo di controllo per evitare le violazioni degli impegni sulle valute. Sulla stessa linea prevista dal nuovo accordo siglato da Usa con Canada e Messico che prevede un monitoraggio mensile dei dati valutari e delle riserve e la possibilità di interventi sui mercati valutari internazionali. Nel settore dei servizi la Cina ha acconsentito infine l’apertura del suo mercato e l’accesso delle aziende americane del settore bancario, assicurativo, finanziario, delle società di consulenza e di rating eliminando tutte le barriere di accesso esistenti.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Stati Uniti e Cina firmano la tregua sul commercio – Dazi, l’accordo vale 200 miliardi
Tema: Usa-Cina

I cinesi si impegnano ad acquistare merci americane per un controvalore di 197 miliardi di dollari nei prossimi due anni. In cambio gli Usa allentano la stretta sulle importazioni cinesi, rinunciando a far scattare da domenica 19 gennaio i dazi sull’ultima tranche di beni rimasti liberi, dai giocattoli agli articoli elettronici, per un ammontare di 156 miliardi di dollari. L’amministrazione di Washington, inoltre, riduce dal 15 al 7,5% le tariffe applicate dal i settembre 2019 su altri 120 miliardi di dollari. Resterà in vigore, invece, il prelievo aggiuntivo del 25% su un monte di 250 miliardi di dollari che, come precisa il Segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, gli Stati Uniti useranno come strumento di pressione per la seconda fase della trattativa. Questa è la sostanza del protocollo «Fase uno» firmato ieri, 15 gennaio, alla Casa Bianca da Donald Trump e dal vicepremier Liu He. Il testo ufficiale resta, almeno per ora, segreto, pare su richiesta del governo cinese. Si ragiona, dunque, sul sommario diffuso dal governo Usa. Già di prima mattina Trump ha cominciato a esaltare «l’intesa fenomenale», con l’attenzione rivolta soprattutto ai farmer, i suoi elettori del Midwest: «Comprate nuovi trattori, è in arrivo una grande stagione per il business».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: L’analisi – Trump: “Patto epocale” E spera nell’aiuto di Xi per rivincere le elezioni
Tema: Usa-Cina

«Accordo gigante, epocale, mai visto nella storia». Con enfasi Donald Trump vende ai suoi elettori una vittoria sulla Cina, una svolta nei rapporti commerciali. Si presenta come il primo presidente americano capace di difendere l’interesse nazionale, bilanciando un rapporto commerciale che era eccessivamente squilibrato a favore dei cinesi. Paradossalmente, offre a Xi Jinping un ruolo da arbitro nell’elezione del 3 novembre prossimo. Se Pechino manterrà davvero la promessa di raddoppiare i suoi acquisti di prodotti “made in Usa”, 200 miliardi di dollari di ordinativi cinesi in più in un biennio potrebbero prolungare l’attuale ripresa economica americana. Giunta al suo decimo anno di età (di cui sette durante i mandati di Barack Obama), questa crescita-record dell’economia Usa è uno degli argomenti forti per la rielezione di ‘Frump. Il mega-accordo di cui favoleggia Trump è in realtà una tregua armata, fra due contendenti che hanno deciso di guadagnare tempo per reciproca convenienza. Molti dazi americani sulle importazioni cinesi, che Trump cominciò ad applicare due anni fa, restano in vigore: su 360 miliardi di dollari di importazioni annue “made in China” la tassa doganale resta al 25%. Non si torna al punto di partenza, dunque. ll paesaggio economico internazionale del 2020 resta segnato da più barriere, una globalizzazione in ritirata rispetto al trentennio precedente. Se l’America non smobilita l’arsenale dei dazi, è perché le concessioni cinesi restano limitate e aleatorie.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Lops Vito 
Titolo: Caccia ai rendimenti, domanda record per il BTp a 30 anni – BTp a 30 anni, corsa al debito italiano: domanda record oltre 47 miliardi
Tema: Titoli di Stato

In periodo di tassi bassi cresce l’interesse per i titoli di Stato a reddito fisso, specie sulle scadenze più lunghe, da parte degli investitori a caccia di rendimenti. La conferma arriva dal BTp a 30 anni (con scadenza 01/09/2050) lanciato ieri dal Tesoro, che ha registrato una domanda mai vista prima per un titolo italiano di pari scadenza, nonostante i rischi di instabilità politica: chiesti oltre 47 miliardi di euro a fronte dei 7 miliardi emessi. Il titolo è stato collocato al prezzo di 99,280 corrispondente a un rendimento lordo annuo all’emissione del 2,50%. Secondo gli esperti, il combinato disposto delle nuove manovre della Bce e del focus dei mercati su temi macro e geopolitici sta aiutando il BTp a essere considerato in questa fase una sorta di “super-sovereign”: un asset rifugio ma con rendimenti offerti non paragonabili a quelli degli altri emittenti. Intanto lo spread BTp-Bund sui titoli decennali ha chiuso a 159 punti dai 151 punti del closing di martedì.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Trovati Gianni – Tucci Claudio 
Titolo: Cuneo fiscale, per 11,7 milioni il bonus Renzi sale a 100 euro
Tema: Riforma fiscale

Il taglio al cuneo fiscale a cui sta lavorando il governo in vista del decreto attuativo di gennaio divide in tre famiglie la platea da oltre 14 milioni a cui si rivolge. Il gruppo più grande, da circa 11,7 milioni di contribuenti, è quello che riceverà il bonus Renzi rafforzato, con l’aumento a 100 euro al mese degli attuali 80. La cifra da 80 euro riguarderà invece un secondo gruppo, da 2,4 milioni di contribuenti, che oggi non hanno diritto al bonus Renzi. C’è poi una terza fascia, quella con i redditi più alti all’interno dei lavoratori dipendenti interessati dal taglio al cuneo, che conta circa 900mila persone e che riceverà un beneficio decrescente all’aumentare del reddito. I numeri emergono dall’incrocio fra le ipotesi tecniche elaborate in questi giorni al ministero dell’Economia e la geografia dei redditi italiani fotografata dalle statistiche fiscali delle Finanze. Perché il taglio in tre mosse funzionerebbe così: il gruppo più numeroso, destinatario del taglio pieno da 1200 euro all’anno, è quello che dichiara redditi annuali compresi fra 8.200 e 28mila euro. Fino a 26.600 euro questi lavoratori (9,4 milioni in tutto) già ricevono il bonus Renzi, da 80 euro e con un décalage fra quota 24mila e 26.600 euro. In pratica, quindi, la nuova norma porterebbe 100 euro “nuovi” in busta paga al mese ai circa 2 milioni di dipendenti che guadagnano fra 26.600 e 28mila euro.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mobili Marco – Trovati Gianni 
Titolo: Da Iva e sconti fiscali le risorse necessarie per riscrivere l’Irpef
Tema: Riforma fiscale

Saranno il taglio a deduzioni e detrazioni fiscali e la rimodulazione dell’Iva a misurare le ambizioni della riforma fiscale che il governo ha annunciato di voler avviare con una legge delega entro il prossimo aprile. Da lì dovranno arrivare le risorse indispensabili per ridurre le aliquote e ripensare gli scaglioni di reddito: per una riforma che lasci un segno servono almeno 20 miliardi. Strutturali. Di qui l’imperativo di rimettere mano ai due dossier che nella gestazione dell’ultima legge di bilancio sono stati bloccati dai «no» incrociati all’interno alla maggioranza. Contro la rimodulazione dell’Iva pensata al ministero dell’Economia per raccogliere almeno 5 miliardi si era scagliata in particolare Italia Viva; lo stop al riordino delle tax expenditures era stato più o meno corale, al punto che nel passaggio parlamentare della manovra le spese fiscali sono addirittura aumentate (di 5 miliardi) spingendo in fretta fuori scena l’obiettivo di un taglio da 10 miliardi ipotizzato a settembre. Rispetto a pochi mesi fa ovviamente lo scenario cambia. Perché un conto è alzare il peso dell’Iva per far quadrare i saldi della manovra nella trattativa con Bruxelles, altra storia è tentare la stessa mossa per dare spazio a un abbattimento della pressione fiscale sui redditi. Questo, almeno, in teoria. Perché per passare ai fatti bisogna trovare un accordo solido all’interno della maggioranza.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Basso Francesca 
Titolo: Green deal, ecco i fondi Ue Per l’Italia pronti 364 milioni
Tema: Finanziamenti Ue

Data la cornice, ora il quadro comincia a definirsi. Dopo l’annuncio del Piano di investimento per un’Europa sostenibile e del «Meccanismo per una transizione giusta» che mobiliteranno in 10 anni mille miliardi tra fondi pubblici e privati, ieri sono arrivate le cifre in dettaglio che riguardano il «Just Transition Fund» da 7,5 miliardi per il periodo 2021-2027. All’Italia arriveranno 364 milioni. A questi bisogna aggiungere i fondi strutturali (Fesr e Fse) e il cofinanziamento nazionale per un totale di i miliardo e 301 milioni. Tenuto conto poi dell’effetto leva del Piano InvestEU (altro pilastro del meccanismo, che coinvolge Bei e Cdp) saranno mobilitati, secondo i calcoli della Commissione Ue, 4 miliardi e 868 milioni tra investimenti pubblici e privati sui 104,6 totali a livello Ue. Il nostro Paese verserà anche circa 900 milioni, che è il contributo pari al 12% del Reddito Nazionale Lordo, come ha spiegato in una nota il ministro per gli Affari europei Vincendo Amendola, sottolineando l’importanza del Piano verde Ue: «L’Italia è in prima linea dal punto di vista della transizione climatica. Avendo raggiunto in anticipo gli obiettivi climatici al 2020 il nostro Paese è nelle condizioni di poter meglio utilizzare le opportunità di sviluppo e crescita offerte dal Green Deal europeo». Lo squilibrio tra fondi ricevuti e versati è legata al fatto che l’Italia è un contributore netto al Bilancio Ue. II Just Transition Mechanism e il Fondo, che rientrano sotto la politica di Coesione, hanno l’obiettivo di ridurre l’impatto della transizione green su quelle regioni e quei settori che saranno più colpiti dalla transizione perché maggiormente dipendenti dalle fonti fossili.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Bresolin Marco 
Titolo: Caccia ai fondi verdi, l’Italia riceverà fino a 4,8 miliardi
Tema: Finanziamenti Ue

E’ solo un capitolo del maxi-piano Ue di investimenti verdi, eppure il Fondo per la transizione industriale sta già agitando le capitali. Il meccanismo parte da una dotazione del Fondo di 7,5 miliardi di euro “freschi” che potrebbero mobilitare fino a 100 miliardi di euro nei prossimi sette anni (143 miliardi), grazie al cofinanziamento nazionale e all’intervento dei privati. Soldi da utilizzare per riconvertire le industrie inquinanti. Anche se l’intero piano Ue ne vale mille, è su questi cento miliardi che i governi stanno già affilando le armi, dopo aver portato avanti una serrata attività di lobbying con la Commissione nelle scorse settimane. In base alla proposta dell’esecutivo Ue, presentata ieri ai governi, l’Italia sarà il settimo beneficiario di questo fondo. Dei 7,5 miliardi totali previsti, al nostro Paese spettano 364 milioni. Una cifra che, unita ai fondi nazionali e agli investimenti privati, dovrebbe mobilitare 4,8 miliardi di euro – come indicato dal ministro per gli Affari europei Vincenzo Amendola – da utilizzare anche per la riconversione dell’Ilva. Tanti? Pochi? Rispondere alla domanda non è facile, ma per farlo bisogna tenere certamente in considerazione un paio di fattori. Prima di tutto è utile guardare agli altri Stati: a farla da padrona sarà la Polonia, che con due miliardi di fondi Ue (il massimo che un Paese può ottenere) arriverà a mobilitarne fino a 27,3. Praticamente un quarto dal totale. Ma non bisogna dimenticare che l’80% dell’energia prodotta da Varsavia proviene proprio dal carbone.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico 
Titolo: Il conto della previdenza ha raggiunto il 16,6% del Pil
Tema: Previdenza

Governo e sindacati, che il 27 gennaio apriranno la trattativa sulle pensioni, farebbero bene a tenere sul tavolo il report sfornato ieri dall’Istat sulle «Condizioni di vita dei pensionati 2017-2018». Ne emerge un quadro di contraddizioni e di trend preoccupanti. Innanzitutto il peso della spesa previdenziale (comprensiva delle prestazioni assistenziali) sul Pil è passata dal 14% del 2000 al 16,6% dei 2018. Incremento dovuto a più fattori: invecchiamento della popolazione; bassissima crescita dell’economia; aumento della spesa per assistenza. Nel 2018 lo Stato ha speso 293,3 miliardi di euro (+2,2% sul 2017) per pagare 22,8 milioni di prestazioni a 16 milioni di pensionati (ci sono infatti 5,1 milioni di anziani che prendono più di una pensione, per esempio le donne con la reversibilità). Ma nella spesa totale sono compresi 23 miliardi per 4,3 milioni di prestazioni assistenziali (invalidità civile, assegni sociali, pensioni di guerra) e altri 4,2 miliardi per 716mila rendite erogate per infortuni sul lavoro e malattie professionali. II rapporto tra pensionati e occupati è migliorato, grazie alle riforme, ma resta alto: ci sono 606 pensionati da lavoro per ogni mille occupati, erano 683 nel 2000. Alle tante pensioni corrispondono spesso bassi importi. Suddividendo tutti i beneficiari per classe di reddito pensionistico lordo si vede che il 12,2% prende meno di 500 euro al mese e il 24,1% tra 500 e mille euro. Quindi, il 36,3% sta appunto sotto mille euro. II 39% prende tra mille e duemila, il 2.4,7% oltre duemila.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Barbera Alessandro 
Titolo: Sconti e lavori: così Atlantia cerca di salvare la concessione – Investimenti, controlli e tariffe più basse Così i vertici cercano di salvare Autostrade
Tema: Autostrade

I vertici di Atlantia stanno cercando di salvare la concessione di Autostrade mettendo sul tavolo investimenti, controlli e tariffe più basse. L’amministratore delegato, Paolo Tomasi, riunisce oggi il cda per trovare una via d’uscita. Sul fronte politico, il Partito democratico chiede più tempo e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, rinvia la revoca. Matteo Renzi è fermamente contrario e Nicola Zingaretti non vuole grane in vista del voto del 26 gennaio in Emilia-Romagna. In sintonia con l’ex premier, il vicecapogruppo di Italia viva alla Camera, Luigi Marattin, afferma che «non ha senso uno strappo adesso, solo alla fine del processo sarà possibile decidere».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Lombardo Ilario 
Titolo: Retroscena – Il Pd chiede più tempo E Conte rinvia la revoca
Tema: Autostrade

Di Maio ha un problema che si chiama Alessandro Di Battista. Anche Nicola Zingaretti ha un problema che si chiama Matteo Renzi. Ecco, per capire la partita interna al governo, sui tempi e i modi della revoca della concessione ad Autostrade, bisogna tenere in mente che i leader dei due principali partiti della maggioranza nella loro prospettiva a breve termine non possono prescindere dal controcanto quasi quotidiano dell’amico-rivale e dell’ex compagno di partito. Purtroppo sono pure uno contrapposto all’altro e tutto ciò rende ancora più complicata una conciliazione tra le esigenze del Pd e quelle del M5S. Cioè tra Di Maio che pressato anche da Di Battista voleva chiudere la pratica venerdì mattina, come scalpo da offrire alla tribù ribelle dei grillini a pochi giorni dal nefasto voto in Emilia-Romagna e in Calabria, e tra Zingaretti che non vuole grane da Renzi nell’ultima complicatissima settimana di campagna elettorale dove si gioca, forse per sempre, la sua leadership. Alla fine, alle 9 del mattino di venerdì, in Consiglio dei ministri, la revoca del contratto autostradale non sarà inserita nelle varie ed eventuali dell’ordine del giorno come avrebbero desiderato i 5 Stelle, e come Giuseppe Conte aveva in mente di fare. Zingaretti ha chiesto un supplemento di riflessione. Al massimo arriverà un’informativa della ministra dei Trasporti Paola De Micheli. Nel Pd regna l’incertezza. De Micheli non nasconde di avere molti dubbi. In mano ha il dossier, chiuso, della commissione del ministero dei Trasporti che certifica le pesanti inadempienze di Autostrade per l’Italia, ma teme contraccolpi finanziari e giuridici.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Scott Antonella 
Titolo: Putin prepara la successione a se stesso – Putin ridisegna la Russia per prepararsi la successione
Tema: Russia

Ha colto tutti di sorpresa, e per tre volte nel giro di poche ore. Nella giornata dei colpi di scena, iniziata con il discorso sullo stato della nazione davanti alle Camere riunite, Vladimir Putin ha annunciato una rivoluzione istituzionale da sottoporre a referendum; subito dopo, senza dare a nessuno il tempo di tirare le fila di quanto stava accadendo, Putin ha accolto le dimissioni del governo e dell’uomo – Dmitrij Medvedev – che lo ha guidato negli ultimi otto anni. E mentre ancora prendevano forma le liste dei possibili candidati alla successione – di Medvedev e in prospettiva forse anche dello stesso Putin – al Cremlino era già in corso un incontro fra il presidente e Mikhail Mishustin. Un signore poco conosciuto, capo dal 2010 del Servizio federale delle imposte. Putin gli ha offerto l’incarico di primo ministro, e Mishustin – tra qualche giorno 54enne – ha accettato. A Medvedev, che Putin ha ringraziato in una riunione del governo trasmessa in tv, va il posto di vicepresidente del Consiglio di sicurezza, in Russia abbreviato come Sovbez, Soviet bezopasnosti. Un organo consultivo presieduto da Putin, e che raccoglie i titolari dei ministeri più importanti e i responsabili dei servizi di sicurezza. Coordina le politiche di difesa e sicurezza: un’ipotesi è che nell’ambito della riorganizzazione in arrivo, Putin intenda fare di un Sovbez dai compiti potenziati la propria nuova base di potere. Se così fosse, quella di Medvedev potrebbe essere una specie di promozione, a vicepresidente
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Dragosei Fabrizio 
Titolo: Putin, operazione 2024 Al governo l’uomo del Fisco
Tema: Russia

Con un annuncio che ha spiazzato tutti, Vladimir Putin ha proposto ieri una serie di cambiamenti costituzionali che modificano l’assetto del Paese senza però stravolgerlo. E soprattutto lasciando al presidente un ampio potere. Le parole di Putin hanno subito provocato un piccolo cataclisma, con le dimissioni del premier Dmitrij Medvedev e dell’intero governo e l’immediata nomina di un nuovo capo dell’esecutivo, il quasi sconosciuto Mikhail Mishustin. E si è intensificato il dibattito su quello che potrà accadere nel 2024, quando l’attuale presidente dovrà lasciare il Cremlino al termine dei suoi due mandati. Tra l’altro, lo stesso Putin ha pure suggerito di rendere impossibile a chiunque per il futuro di sedere per più di due volte sulla poltrona più importante del Paese, togliendo dalla carta fondamentale la parola «consecutivi». Fu proprio grazie a questa clausola che nel 2008 lui potè lasciare temporaneamente la presidenza al fido Medvedev dopo i due primi mandati, andare per quattro anni alla testa del governo (rimanendo il vero capo dietro le quinte) per poi tornare nel 2012. Così oggi si pensa che il capo dello Stato abbia in mente altre soluzioni. Forse quella di andare a guidare il Consiglio di Stato, un organismo che ora è puramente consultivo ma al quale Putin vorrebbe dare un maggior potere e, soprattutto, rango costituzionale. Senza ruoli ufficiali nella gestione del giorno per giorno, lui continuerebbe a tirare le fila.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pelosi Gerardo 
Titolo: «L’Italia potrà rimodulare il contingente militare in Libia»
Tema: Libia

Non è questione di giorni e forse neppure di settimane ma l’impegno politico-diplomatico dell’Italia, in una cornice europea e delle Nazioni Unite, per la stabilizzazione della Libia avrà molto probabilmente anche un risvolto militare. Sempre che il cessate il fuoco regga e che le parti lo richiedano esplicitamente il contingente di circa 300 militari italiani oggi concentrati nell’ospedale da campo di Misurata potrebbe essere «rimodulato», forse anche aumentato. È quanto ha lasciato intendere il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, che ha riferito ieri alle commissioni Difesa riunite al Senato. Secondo Guerini nel caso di un «eventuale, sperato accordo e se le parti lo chiederanno, la crisi impone una riflessione su una possibile rimodulazione del nostro sforzo militare. Si potrebbe ipotizzare un intervento internazionale per dare solidità alla cornice di sicurezza». Il responsabile della Difesa ha escluso che ci siano al momento «minacce dirette al contingente italiano». Anzi lo sforzo di aiuto alla popolazione civile con l’ospedale di Misurata è stato apprezzato da tutti. Nell’ipotesi di rimodulazione una parte del contingente potrebbe rimanere all’ospedale e una parte potrebbe venire dislocata in altri punti critici del conflitto come Sirte. Ma tutto è ancora da definire in attesa della conferenza di Berlino di domenica che vedrà riuniti i principali attori internazionali sulla crisi libica. Guerini ha avuto ieri anche uno scambio di informazioni con l’Alto rappresentante per la Politica estera edi Difesa europea, Josep Borrell. Si è concordato «un approccio proattivo della Ue, in qualità di security provider nell’area del Mediterraneo» in riferimento al cessate il fuoco e all’embargo delle armi. Per Di Maio serve «una missione di pace che possa garantire l’applicazione dell’embargo sulle armi e bloccare le interferenze di altri Stati».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Galluzzo Marco 
Titolo: «La soluzione per la Libia si troverà a Berlino» – Libia, il piano italiano per Berlino «Tregua tra le fazioni e confronto»
Tema: Libia

Di fronte al Copasir ha sottolineato l’importanza dell’impegno diretto degli Stati Uniti nella crisi libica, e ha anche aggiunto un allarme per i canali delle nostre fonti energetiche, che «necessitano di una diversificazione». Giuseppe Conte di prima mattina si presenta di fronte ai membri del Comitato parlamentare di controllo sui servizi, illustra i risultati dello sforzo diplomatico italiano degli ultimi giorni, mentre il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, in audizione in Parlamento, dice chiaramente che potremmo intensificare la presenza militare sia nelle zone del Sahel che nello stretto di Hormuz, «la cui sicurezza è necessaria e strategica per la nostra economia». Nel pomeriggio Conte riceve a Palazzo Chigi il premier olandese Mark Rutte e ribadisce la posizione italiana: «La premessa per una soluzione politica della crisi libica, che potremo cercare di ottenere già dalla conferenza di Berlino, è che si mantenga la tregua fra le fazioni e che si apra un confronto intralibico in grado di consegnare un futuro di benessere e prosperità». Rutte ha lodato il ruolo dell’Italia, sia rispetto alla Libia che all’Iraq, mentre Conte ha rivendicato che al momento l’unica strada è quella diplomatica: «L’approccio dell’Italia verso la crisi libica è uno degli argomenti toccati con Rutte. Con l’approssimarsi della conferenza di Berlino, la nostra posizione è chiara e coerente: non c’è spazio per una soluzione militare che acuirebbe le sofferenze e l’instabilità della regione, condividiamo con l’Olanda un forte impegno congiunto per promuovere una sostenibile soluzione politica sotto l’egida delle Nazioni Unite», ha concluso Conte. Nella sua audizione in Parlamento il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è invece tornato sull’ipotesi di una missione di pace.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Merkel convince Trump: al summit due big del governo
Tema: Libia

E’ stata Angela Merkel a convincere Trump a prendere sul serio la Conferenza di Berlino sulla Libia, in programma il 19 gennaio prossimo. La cancelliera ha telefonato al presidente americano domenica scorsa e nel resoconto ufficiale diffuso dalla Casa Bianca compare la parola «Libia». Un evento raro nelle conversazioni tra Trump e i leader europei. Merkel e Trump hanno analizzato le tensioni crescenti nel Paese africano e hanno convenuto su un punto chiave: il protagonismo di Vladimir Putin e, per certi versi, anche quello del turco Recep Tayyip Erdogan, andavano arginati. Subito dopo il presidente si è consultato con il Consigliere per la sicurezza nazionale, Robert O’Brien. Fino a quel momento gli Stati Uniti avevano seguito a distanza il groviglio politico, diplomatico e militare della Libia. Ora Trump sembra voler cambiare passo. E’ nata così la decisione di inviare il Segretario di Stato Mike Pompeo e lo stesso O’Brien a Berlino, dove si confronteranno direttamente con Putin. Ieri il leader americano ha chiamato Erdogan, altro atteso protagonista della Conferenza. Difficile, però, capire quale sarà la linea Usa, poiché negli ultimi mesi, Trump si è occupato poco o niente della Libia in prima persona, delegando il dossier a John Bolton e a Pompeo. La cancelliera tedesca avrebbe fatto notare al presidente che gli americani hanno lasciato troppo spazio ad altri attori, come Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, i principali fornitori di armi per il «maresciallo» Khallfa Haftar. Del resto lo stesso Trump, a un certo punto, sembrava volesse incoraggiare Haftar, il rais di Bengasi con passaporto americano. Un errore che adesso è urgente correggere.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Sforza Francesca 
Titolo: Armi per Haftar dagli Emirati schierate vicino alla capitale
Tema: Libia

Giornata di incontri, scambi e messe a punto tra tutti gli attori della crisi libica in vista dell’attesa conferenza di Berlino domenica prossima, che registra tra l’altro il mancato invito alla Grecia: «Siamo sorpresi di questa decisione, non capiamo perché non dovremmo essere parte di questo processo», hanno detto da Atene. Il presidente turco Erdogan ha avuto un colloquio telefonico con il presidente americano Trump, a cui ha fatto presente la volontà di Ankara di essere parte attiva nel cessate il fuoco. Gli americani saranno presenti con Mike Pompeo e il consigliere per la sicurezza nazionale Robert O’Brien. Non è un mistero il fatto che da loro ci si aspetti molto, per una soluzione della crisi. Nel frattempo, in Libia, nuove armi arrivano al generale Haftar dagli Emirati: decine di veicoli blindati continuano ad affluire nella base strategica di Tarhuna, 60 chilometri a Sud di Tripoli, da dove l’uomo forte della Cirenaica si preparerebbe a lanciare una nuova offensiva dopo la Conferenza di Berlino. II lavoro delle diplomazia Ad Abu Dhabi ritengono che il summit sarà “una passerella”, un po’ come quella di Parigi del 2018, questa volta per la Merkel e non per Macron, e che Mosca, dopo il favore fatto alla cancelliera tedesca non si spenderà più di tanto per un successo del vertice. Haftar sa invece che la dirigenza emiratina ha «investito moltissimo sudi lui e sul suo progetto». «Anche se i russi ritirano i loro mercenari dal fronte, Haftar ha i mezzi per lanciare l’assalto», confermano analisti turchi.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Vecchi Gian_Guido 
Titolo: Francesca, la prima donna ai vertici del Vaticano
Tema: Vaticano

Con i tempi della Chiesa, ma le cose si muovono: Papa Francesco ha nominato Francesca Di Giovanni, esperta in diritto internazionale, da 27 anni in Segreteria di Stato, come sottosegretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati. È la prima volta che una donna, per di più laica, occupa una posizione dirigenziale così elevata nella Santa Sede, al vertici della Terza Loggia. Francesco aveva già nominato tre donne come sottosegretari di «ministeri vaticani»: suor Carmen Ros Nortes alla Congregazione dei religiosi, Gabriella Gambino e Linda Ghisoni al dicastero per i laici, la famiglia e la vita. Ma la Segreteria di Stato è il dicastero più vicino al Papa nel governo della Chiesa: guidata dal Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, «primo ministro» del Papa, la Segreteria è divisa in tre sezioni, una delle quali è diretta dal Segretario per il rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, una sorta di ministro degli Esteri della Santa Sede del quale Francesca Di Giovanni, già «officiale» della stessa sezione, diventa ora uno dei due «vice». Dall’inizio del pontificato, Francesco parla della necessità di riconoscere più spazio alle donne, «bisogna riflettere su cosa significa il ruolo della donna nella Chiesa», aveva ripetuto a conclusione del Sinodo di ottobre, salvo aggiungere che non era solo una questione di incarichi. Del resto il Papa spiegò che «anche una donna può essere a capo di un Dicastero».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Agasso JR Domenico 
Titolo: Svolta Bergoglio: una donna sottosegretario in Vaticano – Diplomazia, la svolta di Bergoglio Una donna sottosegretario di Stato
Tema: Vaticano

Il Papa ha nominato una donna sottosegretario di Stato. È una svolta storica, perché mai una figura femminile ha ricevuto un incarico così elevato Oltretevere, a maggior ragione nella Terza Loggia, centro nevralgico del Vaticano, e nell’ambito della diplomazia, da sempre prettamente occupato da uomini. Francesca di Giovanni diventa responsabile del Settore multilaterale della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, dove opera da officiale da quasi 27 anni. La Segreteria di Stato è guidata dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, “primo ministro”, ed è divisa in tre sezioni. Quella per i rapporti con gli Stati è diretta dal segretario monsignor Paul Richard Gallagher, una sorta di ministro degli Esteri della Santa Sede: Francesca di Giovanni ne diventa ora “vice”, affiancando l’altro sottosegretario, monsignor Miroslaw Wachowski. Di Giovanni, nata a Palermo, ha 66 anni. Laureata in Giurisprudenza, fa parte del Movimento dei Focolari, in cui ha lavorato nel contesto giuridico-amministrativo. Quello affidato a Di Giovanni è un incarico nuovo, che dimostra l’importanza che ha per il Pontefice la diplomazia multilaterale, in un momento storico in cui questo strumento di dialogo viene messo in discussione. «Tratta dei rapporti delle organizzazioni inter-governative a livello internazionale», spiega la neo sottosegretario, e comprende «la rete dei trattati multilaterali, che sono importanti perché sanciscono la volontà politica degli Stati riguardo a vari temi».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Boni Carlo 
Titolo: “Su Regeni l’Egitto ci dia fatti concreti”
Tema: Caso Regeni

Nessuno coltivava delle illusioni – prova ne era stata la decisione del pm Sergio Colaiocco di non partire per l’Egitto – e l’esito ne è purtroppo la conferma. Il vertice di due giorni al Cairo sul sequestro e omicidio di Giulio Regeni tra il team dei nostri investigatori (Sco della polizia e Ros dei carabinieri) e il nuovo Procuratore generale egiziano Hamada Al-Sawy, sono stati perfettamente inutili. A due anni di distanza dalla consegna al Cairo dell’informativa della Procura di Roma che documenta le responsabilità di almeno cinque ufficiali della National Security Agency, a un anno dalla loro iscrizione nel registro degli indagati e a sette mesi (fine aprile 2019) dall’ultima rogatoria partita da Roma e rimasta lettera morta, il regime di Al Sisi, dopo tredici mesi di silenzio (non un contatto, anche solo informale, con i nostri inquirenti), ripropone in un ennesimo quanto vacuo e retorico salamelecco l’impegno a «sviluppare la cooperazione giudiziaria». Assicura in una nota scritta che «una nuova squadra investigativa egiziana sta esaminando e organizzando i documenti del caso e lavorando a tutte le procedure di indagine necessarie per svelare la verità in piena imparzialità e indipendenza». Trova il tempo e l’impudenza di censurare il lavoro della « stampa» (quale? Ragionevolmente quella italiana e internazionale e le poche voci libere che in Egitto la rilanciano) perché animato da «pregiudizio». Nel merito della cooperazione tra i due Paesi, non un solo passo in avanti. Non la consegna di un documento. Non un’indicazione o uno spunto di indagine anche solo informale.
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Testata:  Corriere della Sera 
Titolo: Lite in casa Savoia «La legge Salica non è modificabile»
Tema: Dinastia Savoia

Dopo la decisione del principe Vittorio Emanuele di Savoia di aprire anche alle donne la successione a capo del casato sono arrivate le repliche dei monarchici della Consulta del senatori del regno e di quelli più vicini al ramo Savoia-Aosta. Tutti convinti che «la legge Salica non si può cambiare». Ed e già lite sotto le insegne di casa Savoia. Stavolta non tra i figli dell’ultimo re, ma tra i vari rami del casato. A contestare la decisione, come detto, è la Consulta dei senatori del regno con il principe Aimone di Savoia, duca delle Puglie, e la duchessa Silvia di Aosta. «Fino alla restaurazione della monarchia costituzionale – è la linea -, la legge Salica è immodificabile». E dunque, non essendoci un trono «operativo», il trono resta ereditario secondo la legge che esclude la discendenza femminile. «La titolarità spetta al principe Amedeo e ai suoi successori dinastici» puntualizza una nota dello stesso Amedeo di Savoia.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Livini Ettore 
Titolo: Katerina, la prima donna capo dello Stato in Grecia
Tema: Grecia

La Grecia avrà per la prima volta nella sua storia una donna alla presidenza della Repubblica. Il premier Kyriakos Mitsotakis ha annunciato ieri in diretta tv di aver scelto Katerina Sakellaropoulou – oggi alla guida del Consiglio di Stato – come candidata per l’elezione del nuovo capo dello stato di Atene, prevista alla fine di febbraio. «È una scelta non di parte che mette la parità di genere al centro del futuro del Paese», ha spiegato il premier. «Questa proposta è un onore per me, perla giustizia e per le donne greche», ha detto la giudice 64enne, nominata da Alexis Tsipras alla guida della più alta corte nazionale (da cui si è già autosospesa) nell’ottobre 2018. Sakellaropoulou non dovrebbe avere problemi a ottenere il via libera in Parlamento: alla quinta votazione in aula per l’elezione del presidente della Repubblica basta infatti la maggioranza semplice di 151 seggi e il centrodestra di Nea Demokratia ne ha da solo 158. Quanto basta per consentirle di prendere il posto del presidente della repubblica uscente Prokopis Pavlopoulos.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Montefiori Stefano 
Titolo: Macron, elogio della stampa «E più regole per il web»
Tema: Francia

“La società del commercio permanente non è la società dell’informazione”, ha detto ieri II presidente francese Emmanuel Macron, criticando i social media e i «simil-giornalisti». Davanti ai rappresentanti delle testate francesi e internazionali, invitati all’Eliseo per gli auguri di inizio anno, Macron ha pronunciato un discorso su media e informazione. Durante le proteste si sono moltiplicati in Francia i militanti che hanno pubblicato su Twitter e Facebook immagini dei violenti scontri con la polizia. «Se chiunque per strada può improvvisarsi giornalista con il suo telefonino senza sapere chi, come e quando… Allora non ci sarà più alcun giornalista». II presidente ha ricordato che «la vostra professione ha sempre vissuto grazie al fatto di essere regolamentata, anche quanto al modello economico: togliete il quadro di regole e, mi spiace dirvelo, nessuna testata qui presente esisterebbe ancora».
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IL SOLE 24 ORE
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CORRIERE DELLA SERA
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LA REPUBBLICA
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LA STAMPA
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IL MESSAGGERO
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IL GIORNALE
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LIBERO QUOTIDIANO
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IL FATTO QUOTIDIANO
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