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SINTESI IN PRIMO PIANO – 19 gennaio 2020

In evidenza sui maggiori quotidiani:
– M5S, Di Maio: “Ci vuole una nuova Cosa grillina”
– Oggi a Bologna il raduno delel Sardine. A Bibbiano la piazza va alla Lega
– Craxi, il segnale di Mattarella: vedrà la figlia
– Libia, Haftar chiude i porti del petrolio

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Repubblica 
Autore:  Tito Claudio 
Titolo: Di Maio: “Ci vuole una nuova Cosa grillina” – La sfida di Di Maio “Un Movimento nuovo un comitato alla guida”
Tema: M5S

«Il Movimento è cambiato in questi anni e cambierà ancora». Luigi Di Malo sa che per i 5Stelle i prossimi mesi sono delicatissimi. Servirà una «nuova visione» e un nuovo progetto per costruire una sorta di “Cosa grillina”. Un Movimento nuovo. E alla sua definizione il capo politico ci vuole lavorare in prima persona. Di certo senza lasciare, almeno fino alla scadenza naturale, ll ruolo che ha ricoperto in questi anni. «Il punto non sono le mie dimissioni da capo politico né da ministro degli Esteri, non si discute di questo – ripete con i suoi collaboratori «ma del futuro del Movimento». Come è stata abbandonata l’idea di “raddoppiare” íl ruolo di vertice dell’MSS. Non ci sarà insomma né un “co-capo” né un “vice-capo”. Di Maio accetta, anzi caldeggia, l’idea che la leadership di un soggetto politico che ha conquistato meno di due anni fa il 32 per cento ed è stabilmente al governo non possa essere “solitaria”: «Non basta più un leader da solo». In vista degli Stati generali del prossimo marzo, allora, si formerà un «collegio» che coinvolgerà la maggior parte dei colonnelli a Cinque Stelle e tutte le anime della galassia Grillina. Ma nessun vice. Non sarà una replica del vecchio direttorio. L’intenzione semmai è di organizzare qualcosa di diverso, un «comitato» che sappia assumersi il compito di guidare e organizzare íl Movimento ma anche di rielaborarne i contenuti Ideali e valoriali. Obiettivi di cui ha già discusso con Beppe Grillo e Davide Casaleggio. E dai quail ha ricevuto il pieno sostegno. La “Fase due” del grillismo ha bisogno di un ripensamento o, come spiega il fondatore Beppe Grillo, deve fare i conti con la trasformazione della «blodegradabilita». Una sorta di rifondazione. E le sponde del prossimo futuro – proprio per garantire un futuro – vanno disegnate, al di là dell’antipolitica, nel mondo ecologista, nella sostenibilità socio-economica del Paese e sull’avanzamento di un rinnovato europeismo. Certo, tutto questo – nelle riflessioni di Di Maio – richiede tempo. È consapevole che il Movimento in questo momento non sarebbe pronto ad accogliere una sfida elettorale nazionale. Lo scenario della legislatura che si conclude nei tempi fisiologici, ossia nel 2023, accomuna quindi l’MSS e il governo Conte Il. Anzi, l’esecutivo giallorosso sarà inevitabilmente un fattore decisivo dell’evoluzione a ClnqueStelle.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Buzzi Emanuele 
Titolo: Il retroscena – Di Maio un passo indietro Non sarà più tesoriere M5S – Di Maio, la strategia del passo indietro Non farà più il tesoriere dei 5 Stelle
Tema: M5S

Un «no» secco, perentorio, che indirettamente spalanca le porte a nuovi scenari. Luigi Di Maio impegnato nel suo ruolo da ministro degli Esteri, intento a ridisegnare il Movimento 5 Stelle in vista degli Stati generali chiude la porta a uno dei ruoli chiave che finora ha occupato. Il leader dei Cinque Stelle non sarà più tesoriere del Movimento. Secondo l’articolo 12 dello statuto dell’associazione che regola la vita pentastellata «il tesoriere è il rappresentante legale del Movimento 5 Stelle in tutte le attività economico-finanziarie, ha la responsabilità della gestione amministrativa e della politica finanziaria del Movimento 5 Stelle e ne apre e gestisce i conti correnti bancari e postali». E soprattutto «è rieleggibile per non più di due mandati consecutivi». In teoria, quindi, Di Maio potrebbe mantenere la carica che ricopre dal 2017 e che scade a settembre di quest’anno. Ma non lo farà. «No», ribadisce chiaro a chi gli chiede se abbia intenzione di mantenere il ruolo, a dimostrazione che il leader sta studiando cambiamenti. Non a caso ieri in campagna elettorale in Calabria, Di Maio ha rilanciato gli Stati generali M5S di marzo e ha sottolineato che «il solo capo politico non ce la può fare» a guidare il Movimento e che la kermesse sarà il luogo «per mettere finalmente in piedi una nuova Carta dei valori e un’organizzazione più efficace». All’attesa manifestazione pentastellata non sarà presente il premier Giuseppe Conte, che negli ultimi mesi ha riscosso diversi apprezzamenti tra le fila dei Cinque Stelle. Una distanza che in ambienti governativi leggono come implicita. «Gli Stati generali non sono una festa come Italia 5 Stelle, ma un momento di riflessione interna a un partito», commentano fonti di Palazzo Chigi. Intanto si registra un incontro giovedì scorso — non confermato dall’entourage del presidente della Camera — tra Roberto Fico e lo stesso Di Maio. In attesa che si organizzino gli Stati generali il Movimento continua a vivere di fibrillazioni. Tra lunedì e martedì potrebbero arrivare le espulsioni. «Una decina», sostiene il capo politico. Ma, secondo fonti parlamentari, diversi deputati e senatori sui 35 raggiunti dalle lettere dei probiviri sarebbero corsi ai ripari nelle ultime ore cercando soluzioni «di clemenza». E il numero di «cacciati» potrebbe dunque calare.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Martini Fabio 
Titolo: Craxi, il segnale di Mattarella: vedrà la figlia – A Hammamet il governo non c’è Da Mattarella segnale su Craxi
Tema: Craxi
Nel piccolissimo cimitero di Hammamet, un fazzoletto di terreno dove il cristiano in preghiera può improvvisamente sentirsi “sovrastato” dalla voce imponente del muezzin, si ritroveranno questa mattina centinaia di persone, forse un migliaio: tutti arrivati dall’Italia per commemorare Bettino Craxi nel giorno del ventesimo anniversario dalla sua scomparsa. Vecchi compagni, amici, alcuni arrivati persino per nave, «mai tanta gente in una volta sola, perché nell’opinione pubblica è in atto un cambiamento», dice Bobo Craxi, uno dei due figli di Bettino. Difficile pesare questo sentimento, Craxi resta un personaggio impopolare in parti significative dell’opinione pubblica, ma in effetti le file per vedere il film «Hammamet», la qualità della discussione pubblica e lo spegnersi delle passioni più forti stanno alimentando una curiosità che nel passato non c’era stata, visto che nel momento più alto di consenso, il Psi riuscì a farsi votare da un sesto degli italiani. Eppure le cerimonie in corso ad Hammamet, stanno dimostrando che il leader socialista, nel momento in cui si sta focalizzando questo interesse di opinione pubblica, resta ingombrante per i leader di partito. Del Pd si sapeva, che non avrebbe partecipato alle cerimonie e questa “timidezza” sembrava potesse lasciar spazio alla destra o ai moderati del centrosinistra come Matteo Renzi. Ma per la Lega, che aveva lasciato trapelare una presenza qualificata, non soltanto non sarà presente Matteo Salvini, ma ha deciso di defezionare anche Giancarlo Giorgetti. E Matteo Renzi? Nei giorni scorsi ha definito il leader socialista «un gigante rispetto ai politici di oggi», ma dopo aver silenziosamente accarezzato nei mesi scorsi l’idea di essere presente ad Hammamet, ha deciso di mandare Davide Faraone. Alla fine l’unica forza politica che sarà presente con una delegazione sarà Forza Italia: ci saranno diversi parlamentari e le due capigruppo Anna Maria Bernini e Mariastella Gelmini. E in questa divaricazione — opinione pubblica in movimento, ma i partiti ancora incerti sul da farsi — un segnale sta per lanciarlo il Capo dello Stato. Subito dopo il viaggio in Qatar e in Israele, Sergio Mattarella ha già deciso — in occasione dei venti anni dalla scomparsa del leader socialista — di incontrare i vertici della Fondazione Craxi, a cominciare da Stefania, figlia del leader socialista, che la presiede. L’incontro, del quale non è stato dato ancora notizia, e che sarà formalizzato nei prossimi giorni, si svolgerà a febbraio.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Minzolini Augusto 
Titolo: Il Craxi ritrovato – Ad Hammamet l’orgoglio socialista: «L’Italia rimpiange lo statista Bettino»
Tema: Craxi
Ad Hammamet, tra i gli ultimi socialisti che ricordano il loro leader, arrivano gli echi di un ventennale, quello della morte di Bettino Craxi, che per la prima volta – nei fatti – si celebra anche in Italia. E non nelle istituzioni, quelle restano pigre («vediamo se il presidente Mattarella manderà un messaggio domani – oggi, ndr -», spera ancora Bobo), ma nell’opinione pubblica. Eh sì, la gente arriva prima: è successo con Tangentopoli; si sta ripetendo venti anni dopo con il suo contrario, con il ritorno della memoria su una vicenda che ha segnato la storia di questo Paese e che molti avrebbero voluto rimuovere. I segnali sono molteplici. Su Craxi sono usciti sei libri contemporaneamente. «Presunto colpevole» ha esaurito in tre giorni le copie in libreria. Il film di Amelio su Craxi nella prima settimana ha incassato oltre tre milioni, secondo solo a quello di Checco Zalone (e la richiesta delle sale che lo vogliono proiettare è raddoppiata). Ed ancora, una ricerca condotta dagli esperti di Identità Digitale dimostra che l’ex segretario socialista ha in rete un sentiment positivo superiore a quello di Giggino Di Maio. Se poi aggiungiamo che il «network» per antonomasia del giustizialismo italiano, Il Fatto, ha perso negli ultimi tempi l’11% di copie, si capisce che siamo di fronte ad un fenomeno non da poco. La verità è che ad Hammamet, oltre a ricordare Craxi – è un paradosso -, dovrebbero festeggiare Grillo e company: sperimentare il grillismo di governo, in città come Roma o a livello nazionale, ha suscitato la nostalgia. Avere un ex bibitaro dello stadio San Paolo a capo della diplomazia italiana mentre si sfiora la guerra nel Mediterraneo, è un’esperienza terribile anche per lo stomaco robusto del più convinto populista. E il paragone con il passato, con il Craxi di Sigonella, è crudele.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Berlusconi Silvio 
Titolo: «Bettino visionario, statista e amico Per difendere la libertà sacrificò la vita» – «Visionario coraggioso Per difendere la libertà sacrificò anche la vita»
Tema: Craxi
Bettino Craxi è stato uno dei pochissimi uomini politici della Prima Repubblica a meritare la definizione di statista. Oltre a lui, forse solo De Gasperi ne ha diritto. Uno statista non è solo un politico abile, o fortunato, è un leader che ha una visione, che pensa al futuro del Paese prima che al proprio interesse o a quello della propria parte politica. Craxi aveva un sogno, che se si fosse realizzato avrebbe davvero cambiato il corso della storia italiana: cambiare la sinistra, sottraendola all’egemonia comunista e creare così le condizioni per sbloccare la democrazia italiana e realizzare una salutare alternanza in un contesto di sicurezza democratica. Fu il primo, anzi l’unico, a sfidare il duopolio fra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, un duopolio spesso consociativo, sempre nemico del cambiamento e alla lunga fatale per la stessa democrazia. La crisi e il crollo della Prima Repubblica nacquero prima di tutto da questo problema che Craxi ebbe la lungimiranza di prevedere e denunciare. La sfida negli anni ’80 al conservatorismo del Partito Comunista e del sindacato, in nome del riformismo socialista, della solidarietà atlantica, dell’orgoglio nazionale è una delle pagine migliori della storia politica italiana. Il nome di Bettino Craxi rimarrà nella storia come quello di un anticipatore coraggioso, che seppe prima degli altri cogliere per esempio l’esigenza assoluta di una riforma profonda delle istituzioni, per rafforzare la democrazia, recuperare efficienza, restituire ai cittadini fiducia nella politica. Sul piano internazionale, fu un anticipatore, seppe cogliere per tempo le contraddizioni dell’Europa, da europeista convinto qual era, e i rischi gravissimi ai quali era esposta l’Italia nel Mediterraneo. Bettino Craxi ha pagato un caro prezzo per le sue idee, per aver voluto essere un uomo libero e coerente, per aver sfidato il sistema di potere politico, mediatico e giudiziario della sinistra. Come dice la bellissima frase che ha voluto incisa sulla sua tomba, per lui la libertà era la vita e infatti perla libertà non ha esitato a mettere in gioco e a sacrificare la sua vita. Di tutto questo, oltre che della sua amicizia, sono grato a Bettino, che considero uno degli ispiratori e degli anticipatori delle battaglie di libertà che stiamo combattendo a nostra volta da 25 anni.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Mieli Paolo 
Titolo: Tentazioni pericolose ricorrenti – I rischi della giustizia utilizzata come un’arma
Tema: caso Gregoretti

E’ davvero molto difficile spiegare perché per Pd e Italia viva dovrebbe essere dannoso pronunciarsi domani in Commissione a favore del rinvio a giudizio di Matteo Salvini. E’ del tutto evidente che chi in Emilia-Romagna si accinge a votare per la sinistra sa benissimo quale sia — in merito al caso della nave Gregoretti —l’orientamento della propria parte politica. E, anzi, questo elettore sarebbe ancor più motivato da una scelta esplicita (in sintonia, tra l’altro, con le richieste delle Sardine). Se poi Salvini decidesse di dedicare a questo caso l’ultima settimana di campagna elettorale, non nuocerebbe certo a Bonaccini l’assenza di ambiguità nello schieramento che lo sostiene. Anzi. Semmai potrebbero trovarsi in imbarazzo il M5S e Giuseppe Conte che ai tempi dell’«affaire Diciotti» si erano mossi in soccorso del leader leghista (all’epoca loro alleato). Del resto un episodio analogo accadde nei giorni precedenti alle elezioni umbre del 27 ottobre scorso, quando con l’immaginabile intento di non influenzare il voto, vennero lasciati al largo delle acque siciliane quasi duecento profughi salvati dall’«Ocean Viking» e dalla «Alan Kurdi». Già all’epoca Matteo Orfini, Graziano Delrio e Dario Franceschini avevano alzato la voce, solo però all’indomani delle elezioni. Ma per le logiche che governano le denunce delle Ong e le conseguenti azioni della magistratura, è improbabile che qualcuno si dia pena per quei migranti restati in mare più di dieci giorni prima di essere fatti scendere a Pozzallo.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Bei Francesco 
Titolo: Intervista a Maria Elisabetta Alberti Casellati – Casellati: Gregoretti, non ho favorito Salvini Ho garantito l’equilibrio, Pd e M5S lo sanno – “Nessun favore a Salvini Ho garantito l’equilibrio Pd e 5S sanno che è così”
Tema: caso Gregoretti
Presidente Casellati, per la maggioranza lei è la pietra dello scandalo: ha favorito il centrodestra gettando il peso del suo voto nella decisione finale sul caso Salvini. Non pensa di aver sbagliato? «In coscienza, rifarei tutto allo stesso modo. Ma prima non vuole sapere cosa è successo?». È successo che lei ha votato con il suo schieramento… «Anzitutto non ho uno”schieramento” perché rappresento tutto il Senato. Quando ho deciso di aumentare i membri della giunta del regolamento, ho avuto l’opposizione contro e la maggioranza mi ringraziava. Ho una chat che lo dimostra». «Prima della riunione della giunta per il regolamento gli esponenti della maggioranza mi avevano fatto presente di essere rimasti 4 contro 6 dopo il passaggio del senatore Grassi con la Lega, per questo chiedevano un riequilibrio. All’inizio io mi sono opposta, ho fatto presente che i membri sono inamovibili e il numero stabilito dal Regolamento è di dieci, con facoltà del Presidente di una integrazione fino al massimo di dodici. Ho detto loro che l’opposizione si sarebbe ribellata a un allargamento deciso all’ultimo minuto proprio per svantaggiarli. Ma tenendo conto della delicatezza della situazione, mi sono presa la responsabilità di concedere loro l’ingresso di altri due membri». E il centrodestra come l’ha presa? «Molto male, come può immaginare». Di fatto, ha assunto una decisione a favore della maggioranza? «Certamente, e se non l’avessi assunta non staremmo parlando di me». In che senso? «L’opposizione, che in giunta era in maggioranza, avrebbe fatto passare la sua decisione sul calendario e sarebbe finita così».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cremonesi Marco 
Titolo: A Salvini la piazza di Bibbiano Sardine fuori – Salvini «vince» la piazza di Bibbiano Le Sardine: decideremo se esserci
Tema: sardine

«Giovedì prossimo alle 18 sarò lì. L’avevo promesso a quelle mamme e quei papà: di andare, tonare, e portare speranza e dignità nella piazza di Bibbiano perché Bibbiano è una vergogna che grida vendetta». Matteo Salvini risponde direttamente da Maranello alle Sardine che avevano chiesto di rinunciare tutti, loro e lui, alla manifestazione nel paese reso noto dall’inchiesta «Angeli e demoni»: «Chiediamo il primo gesto di civiltà da parte della Lega in questa campagna elettorale — avevano detto i responsabili del movimento —. Lasciamo stare Bibbiano e parliamo di contenuti». La Questura di Reggio Emilia ha infatti confermato la manifestazione leghista e ha proposto alle Sardine — che avevano chiesto la piazza in precedenza — di svolgere la loro iniziativa in un’altra piazza, quella intitolata a Libero Grassi: la priorità, in campagna elettorale, è per i candidati. Non è comunque detto che il movimento antisalviniano la utilizzerà: lunedì al cinema Metropolis di Bibbiano si svolgerà un’assemblea «per chiedere alla cittadinanza se vuole la manifestazione, che ha già 7 mila adesioni, oppure no». Questo perché «i cittadini di Bibbiano avevano chiesto di non fare nulla. Noi avevamo domandato a Salvini di rinunciare, ma lui ha detto no. Dice “prima gli italiani” e poi smentisce sé stesso». Il leader leghista a Maranello indossa il cappellino rosso della Ferrari per rappresentare «l’Emilia-Romagna che sogna, che corre, che vince». E chissà che ne pensano alla leggendaria casa automobilistica del fatto di essere diventati involontari testimonial della campagna elettorale. Salvini a Modena parla anche del voto di domani nella giunta delle Immunità: «Io lo chiedo formalmente a quei senatori che dovranno scegliere se mandarmi a processo: mandatemi a processo, mandatemi a processo, mandatemi a processo. Perché con me verrà processato il popolo italiano».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Venturi Ilaria 
Titolo: Intervista a Mattia Santori – “Oggi a Bologna ci sarà una svolta” – Santori “Oggi a Bologna la nostra svolta politica. Ecco cosa diremo a Conte”
Tema: sardine
Alla vigilia del mega raduno delle Sardine oggi a Bologna, Mattia Santori è dovuto correre a Reggio Emilia per sentirsi dire dal questore che giovedì la piazza di Bibbiano, da loro prenotata, sarà della Lega per regole elettorali che danno la precedenza ai partiti. Ma lo sfratto nel paese travolto dall’inchiesta sugli affidi illeciti, per fare spazio al comizio di Matteo Salvini, non li ferma. «Avremo un luogo a poca distanza e saremo più dei leghisti, lo batteremo ancora». L’adrenalina corre per quella che il trentenne, tra i fondatori del movimento, spera essere una Woodstock ittica sotto le Torri, di più «una svolta per la politica italiana». Con l’intenzione, vittoria o sconfitta alle urne il 26 gennaio, di arrivare a Roma per incalzare il premier Giuseppe Conte sui decreti Sicurezza. Appena saputo che Salvini arrivava a Bibbiano avete prenotato la piazza. Ora la dovete cedere, una sconfitta? «La sconfitta è della politica che si riduce a queste bassezze per una manciata di voti». Ma lo farete il flash mob nella piazza alternativa che la questura vi ha offerto? «La nostra presenza era stata richiesta dagli abitanti di Bibbiano quando hanno capito che andava Salvini perche sono stanchi della gogna mediatica della Lega. C’è un’inchiesta della magistratura, è lo sciacallaggio che contestiamo. Lui dice di essere stato invitato, vedremo chi ha ragione contandoci: abbiamo 7mila adesioni via Facebook. Ma ci andremo solo se lo vorrà la comunità della Val D’Enza, lunedì in paese faremo un’assemblea pubblica per decidere». Oggi c’è Bologna, con decine di artisti sul palco dal pomeriggio a sera: sarà la vostra Woodstock? «Probabilmente sarà il punto di svolta per la politica italiana. Abbiamo dimostrato che si può fare politica senza giocare sporco, abbiamo cambiato il paradigma rispetto alle parole di odio. Sul populismo abbiamo già vinto: Salvini va nei bar e si fa seIfe, noi riempiamo le piazze. E a Bologna sarà una piazza di musica e parole, il nostro modo di avvicinare i cittadini alla politica».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fabbrini Sergio 
Titolo: L’Italia e il sistema elettorale di Penelope
Tema: legge elettorale

La proposta di referendum popolare avanzata da otto Consigli regionali (a maggioranza leghista), per abolire la parte proporzionale dell’attuale sistema elettorale, è stata considerata incostituzionale. È da più di trent’anni che la politica italiana, come Penelope, fa un sistema elettorale di giorno (e cerca di disfarlo di notte). Ciò è dovuto al fatto che le regole elettorali cambiano in base agli interessi contingenti della maggioranza di turno. Non c’è Paese democratico consolidato che abbia conosciuto un’esperienza simile. La sconfitta referendaria della riforma costituzionale del 4 dicembre 2016 ha reso ancora più imprevedibile il funzionamento della nostra democrazia. Un’imprevedibilità che non consente di dare continuità all’azione di riforma, continuità che sarebbe necessaria per risolvere i problemi del Paese. Naturalmente, non tutto dipende dal sistema elettorale, tuttavia quest’ultimo (combinato con il sistema di partito) contribuisce non poco a fare la differenza. Giovanni Sartori ha spiegato a generazioni di studenti e lettori che il sistema elettorale è uno strumento che può essere utilizzato per raggiungere obiettivi diversi. Il sistema proporzionale favorisce la rappresentanza, quello maggioritario la governabilità. Il primo tende a riflettere le preferenze degli elettori, íl secondo ad aggregarle intorno ad opzioni di governo. L’attuale maggioranza politica ha concordato un progetto di sistema elettorale proporzionale (chiamato impropriamente “Germanicum”), giustificandolo con l’argomento che in Italia non vi siano le condizioni dell’alternanza al governo. Per quella maggioranza, siamo ritornati al secondo dopoguerra, quando il sistema elettorale era proporzionalistico. Oggi, il ritorno al proporzionalismo è giustificato di nuovo con ragioni legate alla politica estera. II sovranismo antieuropeista del maggiore partito della destra (la Lega), insieme al nazionalismo radicale del suo maggiore alleato (Fratelli d’Italia), potrebbero costituire, una volta al governo, una minaccia all’identità europea dell’Italia (e soprattutto alla sua partecipazione all’Eurozona). I sovranisti/nazionalisti di oggi costituiscono dunque l’equivalente funzionale dei comunisti di ieri.
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Economia e finanza

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Querzè Rita 
Titolo: Confindustria, corsa a cinque La parola ai saggi
Tema: Confindustria

Dalla prossima settimana fine dei tatticismi. Stop a voci, illazioni, sostegni supposti o auspicati. A parlare saranno le firme. Quelle sotto alle autocandidature che i potenziali prossimi presidenti di Confindustria presenteranno ai cosiddetti saggi dell’associazione. A vigilare sul complesso sistema che porterà il consiglio generale a designare, il 23 marzo prossimo, il numero uno di viale Dell’Astronomia, saranno tre imprenditori sorteggiati giovedì prossimo, 23 gennaio, all’interno di una rosa di nove. In giro per l’Italia a cercare almeno 19 imprenditori (su 183 membri del consiglio generale) disposti a mettere la firma sotto la propria candidatura ci sono in ordine alfabetico: Carlo Bonomi, Andrea Illy, Licia Mattioli, Emanuele Orsini, Giuseppe Pasini. Vista la numerosità dei contendenti, c’è già chi sta valutando passi indietro per far convergere i propri voti su uno degli altri candidati. Tra primi a partire con la «campagna elettorale» è stato Carlo Bonomi, il presidente di Assolombarda. Associazione di Milano, Monza e Lodi che da sola ha poco meno di un decimo dei voti dell’assemblea. In questi mesi Bonomi non è mancato a un’assemblea delle altre territoriali in giro per l’Italia e ha stretto accordi anche al Centro e al Sud (da qui sarebbe maturato il sostegno, per esempio, di Napoli e del Lazio). Ha battuto il Nord Est palmo a palmo e, per fare un esempio, lo scorso giugno è intervenuto come relatore all’assemblea di Confindustria Veneto centro. La sua è considerata una candidatura in discontinuità. I detrattori gli imputano il fatto di essere alla guida di piccole realtà imprenditoriali. I sostenitori dicono che a fronte dei 17 milioni di fatturato bisogna considerare i 3 milioni di utile. E squadernano la lista del gotha dell’impresa milanese che lo sostiene, da Bracco a Rocca. Ma anche nomi come Marcegaglia e Abete che in passato avevano sostenuto la presidenza Boccia. Morale: a oggi ben più del 10% dei voti necessari per candidarsi sarebbero già in mano a Bonomi.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Mania Roberto 
Titolo: Intervista ad Andrea Illy – Andrea Illy “I politici cercano solo il consenso Ma servono riforme e un patto Stato-imprese”
Tema: Stato e impresa

«L’Italia è letteralmente prigioniera del suo enorme debito pubblico. Per uscire dal gorgo, che ci trascina sempre più in basso, abbiamo bisogno che l’economia riprenda a crescere. Per farlo serve un “piano strategico per l’Italia”, una partnership Stato-imprese per far ripartire gli investimenti». Andrea llly, 55 anni, presidente di llly caffè, uno dei possibili candidati alla corsa perla prossima presidenza della Confindustria, sintetizza così la sua ricetta per uscire dalla nostra «complessa stagnazione» mentre è in partenza per il Forum annuale di Davos. A cosa pensa quando parla di “piano strategico per l’Italia”? «Penso innanzitutto al fatto che da anni siamo inchiodati a causa di una montagna di debito pubblico, stabile al 135 per cento del Pil. Abbiamo una road map per uscirne? Direi proprio di no, mentre il mondo si è fatto molto più complesso per la trasformazione demografica, per il cambiamento tecnologico, per l’instabilità politica. In questo nuovo contesto l’Italia ha perso potere negoziale sui tavoli dove si decidono gli investimenti internazionali. Perché le decisioni si prendono altrove, non nel nostro cortile dove i capitali scarseggiano, basti guardare alla bassa capitalizzazione della nostra Borsa». Siamo pur sempre il secondo Paese manifatturiero d’Europa, dopo la Germania. «Sì, certo. Il nostro export è riuscito a compensare le difficoltà interne. Ma il decennio che abbiamo alle spalle non si ripeterà: l’economia mondiale sta rallentando. la politica monetaria della Bce, con la saggia regia di Mario Draghi, non potrà continuare ad essere così fortemente espansiva, e la relativa stabilità politica globale rischia di essere compromessa dalla possibile rielezione di Donald Trump».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bartoloni Marzio – Mobili Marco 
Titolo: Emergenza sanità, medici al lavoro fino a 70 anni – Medici al lavoro fino a 70 anni Crisi aziendali, più fondi alla Cigs
Tema: milleproroghe

Contro il problema della carenza di medici negli ospedali arriva la possibilità di mantenere in servizio i medici del Ssn fino ai 7o anni di età, ma anche di impiegare in corsia, con contratti a tempo determinato, i giovani medici che si stanno specializzando già dal terzo anno di corso. Si tratta di due misure d’emergenza, utilizzabili fino al 31 dicembre 2022, introdotte da una serie di emendamenti al decreto legge Milleproroghe che si trova attualmente in discussione alla Camera. Arrivano anche 45 milioni aggiuntivi per rifinanziare la cassa integrazione in deroga e per riorganizzazioni o crisi d’azienda. Fondi anche per l’Ilva: si punta infatti a prorogare per il 2020 l’autorizzazione di spesa di 19 milioni per integrare il trattamento Cigs. Con altre proposte di emendamento arrivano anche i finanziamenti per un intervento di Cigs di 12 mesi destinato a sostenere le imprese campane e venete che si trovano in difficoltà.
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Testata:  Stampa 
Titolo: Pensionati in rivolta “Il taglio del cuneo fiscale coinvolga anche noi”
Tema: tasse e cuneo fiscale

Sulle tasse il governo rilancia, siglato l’accordo con i sindacati sul cuneo fiscale adesso si comincia seriamente a ragionare della riforma dell’Irpef che dovrebbe essere inserita in una delega al governo da approvare per la primavera. L’obiettivo dichiarato è quello di mettere più soldi nelle tasche di chi guadagna redditi bassi o medio-bassi. Il problema, ovviamente, è come reperire le risorse per un’operazione che costerà tra i dieci e i venti miliardi, anche nella sua versione meno ambiziosa. Soldi che, spiegano dal governo, dovranno venire realisticamente dall’Iva, oltre che dal taglio delle attuali detrazioni e deduzioni fiscali. Il taglio del cuneo che sarà in vigore dal primo luglio, insomma, dovrebbe essere solo un antipasto della vera riforma del fisco. Verrà inserito in un decreto-legge, probabilmente, e porterà circa 100 euro in più al mese nelle tasche di 16 milioni di lavoratori. In realtà, per gli 11,7 milioni che già ricevevano gli 80 euro di bonus decisi dal governo Renzi, l’aumento sarà solo di 20 euro al mese. Ma da luglio il bonus sarà esteso, anche se in misura decrescente, anche a chi guadagna fino a 40mila euro (mentre finora il “tetto” era di 24mila e 600 euro), vale a dire altri 4,3 milioni di persone. Operazione che, appunto, i pensionati contestano. Spiega Patrizia Volponi, segretaria della Cisl con delega alle politiche previdenziali: «Il governo ci ha completamente ignorati anche stavolta, con l’operazione sul cuneo fiscale. Siamo molto arrabbiati, siamo indignati. I pensionati sono 16,4 milioni, e votano! Questo volerci ignorare non porterà fortuna al governo, siamo pronti a tornare in piazza. Siamo figli del ’68, lotta dura senza paura. Non pensino che siamo tutti vecchietti che vanno al centro anziani». Un malcontento di cui al governo sono consapevoli.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Cottarelli Carlo 
Titolo: Giù le tasse, mossa utile ma non basta – Lavoro, ridurre le tasse è utile ma non risolve i nodi dell’economia
Tema: tasse

Governo e sindacati hanno raggiunto un accordo su come realizzare il taglio del cuneo fiscale per il quale la legge di bilancio per il 2020 ha stanziato 3 miliardi per quest’anno e 5 miliardi per il 2021, quando andrà a regime sui 12 mesi. I dettagli del provvedimento saranno contenuti in un decreto legge, ma si sa che il taglio beneficerà i redditi da lavoro fino a 40.000 euro, quindi relativamente bassi, anche se la platea è più ampia di quella che aveva beneficiato degli “80 euro di Renzi”. È un buon provvedimento? Ci sono alcuni aspetti positivi, altri meno. L’idea di ridurre il cuneo fiscale trova una sua giustificazione in un fatto concreto: il cuneo fiscale è più elevato in Italia che nella maggior parte degli altri paesi dell’euro, il che penalizza il lavoro italiano, compreso la nostra capacità di esportare. L’importo del taglio, anche a regime, non è sufficiente a portarci sulla media europea. Per quello servirebbe molto di più. Ma è un passo in avanti, dopo quello compiuto con gli 80 euro. Il governo ha deciso che a beneficiare di questo taglio siano i lavoratori a reddito relativamente basso. Occorre però notare che il governo può decidere di tagliare le tasse, ma come poi questo taglio benefici in pratica i vari operatori economici lo decide la contrattazione tra imprese e lavoratori. Se al prossimo rinnovo contrattuale gli aumenti salariali saranno più bassi per i lavoratori a reddito basso perché «tanto hanno già beneficiato del taglio delle tasse» allora il beneficio del taglio andrà anche ad altri, magari alle stesse imprese. Ciò detto, almeno inizialmente saranno i lavoratori a reddito più basso a beneficiare del taglio. Prendere misure a favore di chi ha un reddito più basso è naturale per un governo orientato a sinistra (nella versione “popolare” o “populista”). Se tali misure, che comportano una redistribuzione relativa del carico fiscale e del reddito, siano appropriate è una questione più politica che economica anche se non si può non notare che il periodo successivo alla crisi globale del 2008-09 non ha visto nel nostro paese un marcato peggioramento della distribuzione del reddito tale da giustificare un’azione mirata specificatamente in questo senso, rispetto a un taglio generalizzato della tassazione.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Di Branco Michele 
Titolo: Intervista a Pierpaolo Baretta – «Ora troviamo i soldi per ridurre l’Irpef dovremo alleggerirla anche ai pensionati»
Tema: tasse
 «Non credo sia utile fare il gioco delle bandierine all’interno della maggioranza: la questione dell’Irpef dobbiamo affrontarla in termini complessivi, all’interno di una riforma strutturale del fisco». Il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, si gode il taglio del cuneo fiscale rintuzzando il movimentismo dei 5 Stelle, che già si proiettano oltre chiedendo una riduzione delle aliquote da realizzare nel 2021. Sottosegretario Baretta, qual è il suo giudizio complessivo sul taglio del cuneo fiscale messo in piedi dal governo e illustrato ai sindacati due giorni fa? «Il mio giudizio è molto positivo e sono soddisfatto soprattutto per tre ragioni: la prima ragione è per la distribuzione dei 3 miliardi di taglio del cuneo, sia in termini quantitativi che dal punto di vista dell’estensione del beneficio dal punto di vista della platea coinvolta. Parliamo in totale di circa 16 milioni dl persone. La seconda ragione è riferita al consenso sindacale che abbiamo incassato. Si tratta di un segno di svolta perché il governo, se vuole fare le riforme, deve puntare molto sulle buone relazioni con le parti sociali. La terza ragione della mia soddisfazione sono i tempi: abbiamo finito una legge di Bilancio molto impegnativa appena un mese fa e diamo subito certezze ai lavoratori su come il taglio fiscale sarà distribuito». E possibile immaginare che nei prossimi mesi saranno trovati altri soldi per rafforzare il taglio del cuneo? «No, da qui a luglio non credo sarà possibile: l’operazione è ormai definita. Ma per il prossimoanno sarà indispensabile recuperare risorse. Quest’anno ci  sono 3 miliardi sul piatto, ne serviranno 5 nel 2021 e dobbiamo porci da subito il problema di come fare a finanziare la riforma». Per quale ragione il taglio si è concentrato solo sui lavoratori, lasciando da parte le aziende? «Si è trattato di una scelta condivisa da mesi con le associazioni imprenditoriali, che infatti non hanno protestato».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Minenna Marcello 
Titolo: E-bonds per i bilanci delle banche – E-bonds per ribilanciare i portafogli delle banche
Tema: banche

Il problema di inserire una ponderazione per il rischio (risk-weighting) dei titoli di Stato nei bilanci delle banche è al centro del dibattito europeo, intrecciandosi con il tema della creazione di un titolo privo di rischio (safe-asset) dimensionalmente adeguato alle esigenze dell’Eurozona. La proposta adottata dal Parlamento Europeo prevede che un veicolo sovranazionale emetta titoli che cartolarizzano le obbligazioni governative dei vari Paesi senza alcuna condivisione dei rischi (risk-sharing). Solo i titoli senior infatti sarebbero safe-asset e non richiederebbero riserve di capitale per le banche (zero risk-weighting); le tranche junior verrebbero collocate sul mercato con un premio per il rischio e assorbirebbero capitale. Insomma si riproporrebbe in altra forma l’attuale frammentazione finanziaria alla base dello spread BTP-Bund, dando forma a un’Eurozona a più velocità. A fine 2019 si è aggiunta una nuova proposta: si punta a considerare safe asset nei bilanci delle banche soltanto uno specifico portafoglio di titoli di Stato (safe portfolio) che sia diversificato tra i vari Paesi in proporzione al Pil o alla partecipazione al capitale della Banca Centrale Europea. Ciò che residua assorbirebbe capitale nei bilanci delle banche in base al rischio. Non solo. I titoli di Stato destinati ai safe portfolios non sarebbero quelli attualmente in circolazione ma nuovi titoli senior emessi dai Governi dell’Eurozona tramite concambio con quelli esistenti.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Chiellino Giuseppe 
Titolo: Antitrust. Bruxelles pronta ad aprire il confronto sulle regole – Bruxelles apre il confronto per modificare le regole antitrust
Tema: antistrust

Dopo un dibattito che va avanti da tempo e che meno di un anno fa ha avuto nella mancata fusione tra Siemens e Alstom il suo punto di svolta, è arrivato il momento per aprire ufficialmente il confronto sulle regole europee della concorrenza. «All’inizio del mandato della nuova Commissione è il momento giusto per farlo» spiega un addetto ai lavori. La vicepresidente e commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, forte del secondo mandato che ne ha consolidato la posizione ai vertici dell’esecutivo Ue, si prepara a formalizzare la discussione attraverso consultazioni pubbliche che daranno ai soggetti interessati la possibilità di far conoscere proposte e punti di vista sulle modifiche a una legislazione che nel suo nucleo centrale, la definizione di mercato rilevante, risale al 1997. È un processo che richiederà mesi e da cui dovrà emergere un quadro di sintesi e una proposta legislativa. Insomma, tempi relativamente lunghi, ma ormai il processo è avviato, come dimostra anche la ricchezza di materiale, tra studi di centri di ricerca pubblici e privati, prese di posizione delle autorità e dei governi nazionali. Non sarà una passeggiata, si tratta di riscrivere i principi di base che hanno segnato fin qui la politica antitrust dell’Unione che, in linea con le teorie americane degli anni ‘6o e’70, ha posto al centro la tutela del consumatore, misurata in termini di prezzi finali sul mercato, diventato un totem indiscutibile. Secondo alcuni una sorta di “santificazione” ordoliberista che senza evitare forti concentrazioni, ha finito per aumentare i profitti delle aziende ma anche le disuguaglianze. Un punto di vista completamente opposto nota, però, come la globalizzazione e l’apertura dei mercati – di cui la Ue è da sempre paladina – abbiano messo in difficoltà le imprese europee nel confronto con i colossi americani prima e con quelli cinesi poi.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fotina Carmine 
Titolo: Registrazione, logo, aiuti: ecco le regole per gli 850 marchi con più di 50 anni – Registro, logo, aiuti: le nuove regole per 850 marchi storici
Tema: marchi storici

Tutto inizia nel 1879 quando i primi depositi di marchi commerciali aprono una lunga era di marketing industriale. A distanza di 140 anni, dopo che il ministero dello Sviluppo economico si è ritrovato alle prese con il problema delle possibili delocalizzazioni di brand legati al made in Italy (il caso Pernigotti ha fatto scuola), alle aziende titolari o licenziatarie esclusive di marchi storici viene offerta la possibilità di iscriversi a un registro e utilizzare un logo promozionale unico. Attualmente sono circa 850 i marchi registrati da almeno 5o anni e che sono ancora in vita, cioè per i quali i titolari continuano a pagare il diritto di rinnovo. L’accesso al Registro e la possibilità di usufruire del marchio storico di interesse nazionale sono regolati da un decreto dello Sviluppo firmato dal ministro Stefano Patuanelli (e in fase di registrazione) in attuazione del “decreto crescita” dello scorso aprile. In realtà, oltre ai marchi ultracinquantenni depositati, il regolamento apre anche ai marchi non registrati a patto che l’azienda interessata presenti la documentazione prevista dal Codice della proprietà industriale che ne attesti l’uso oggettivo, presentando ad esempio campioni di imballaggi, etichette, cataloghi, fatture, documenti di spedizione. L’iscrizione e quindi l’uso del marchio storico sono consentiti anche ad aziende straniere che detengono marchi storici e producono in stabilimenti italiani. Servirà ora un ulteriore provvedimento, un decreto direttoriale, per regolare la procedura di domande e accesso al Registro ma ad ogni modo l’esame delle istanze di iscrizione, condizione necessaria per usufruire del logo Marchio storico, dovrebbe concludersi entro 6o giorni, nel caso di marchio registrato, o entro 180 giorni, per marchi non registrati.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bongiorni Roberto 
Titolo: Libia, a Berlino partenza in salita Haftar chiude i porti del petrolio
Tema: Libia

Khalifa Haftar alza il tiro. E a poche ore dal suo inizio, la Conferenza internazionale sulla Libia parte in salita Con una mossa inattesa, il generale della Cirenaica che ha dichiarato guerra al Governo di Tripoli ha deciso di chiudere cinque terminali per l’export petrolifero nel Golfo della Sirte: Brega, Ras Lanuf, Sidra, Hariga e Zueitina. Il blocco causerà la «perdita di 800mila barili al giorno (circa il 70% dell’attuale produzione libica) al costo di 55 milioni di dollari giomaliero», ha fatto sapere la compagnia petrolifera di Stato (Noc). È una mossa avventata, che mette ancor più a rischio l’esito di un vertice che si preannuncia molto difficile. Haftar vuole alzare la posta. Ma bloccare l’export di petrolio, oltreché essere impopolare, appare come una sterile dimostrazione di forza. Potrebbe perfino rivelarsi un boomerang. Haftar controlla sì gran parte dei giacimenti e dei porti della Libia, ma non può vendere il greggio di sua iniziativa. Da cinque anni una risoluzione dell’Onu riconosce solo al Governo di Tripoli il diritto di gestire l’export di idrocarburi attraverso la Noc. La quale poi trasferisce le rendite alla Banca centrale, che a sua volta le distribuisce ai due Governi rivali: quello guidato da Fayez al-Serraj, a Tripoli, e quello creato nel 2014, a Baida, in Cirenaica. Le cose, dunque, si complicano. Eppure la Cancelliera Angela Merkel ce l’ha messa tutta. Per evitare che il vertice di Berlino si trasformasse nell’ennesima occasione mancata, negli ultimi due giorni è volata a Istanbul per incontrare il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ha intrattenuto colloqui telefonici con il presidente russo Vladimir Putin e con il premier greco Kyriakos Mitsotakis. Pochi vertici per risolvere una crisi internazionale hanno visto una presenza così numerosa di Capi di Stato e di Govemo. A Berlinoci saranno Putin, sponsor di Haftar, ed Erdogan, che sostiene militarmente il fronte libico opposto, ovvero il Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli, il solo riconosciuto dall’Onu. Non mancherà il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, il più agguerrito sponsor militare di Haftar. Il presidente francese Emmanuel Macron e il premier italiano Giuseppe Conte cercheranno di trovare una linea comune sulla crisi, finora mai raggiunta.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pelosi Gerardo 
Titolo: Roma: evitare l’egemonia di Russia e Turchia
Tema: Libia
L’obiettivo di Giuseppe Conte (che ieri ha sentito Angela Merkel) è chiaro: insistere sulla “soluzione politica” per la crisi libica. La Conferenza di Berlino sarà solo un primo passo verso quel faticoso processo di creazione di istituzioni democratiche nel Paese. Già ora, però, si può considerare un successo europeo dopo nove mesi di guerra per procura che hanno coinciso con un cambio di governo in Italia (l’unico Paese europeo che ha un’ambasciata aperta a Tripoli) e con nuove istituzioni elette in Europa. Nelle ultime settimane Italia e Germania, consapevoli che solo internazionalizzando il dossier libico la questione poteva rimanere sotto governance europea invece di scivolare lentamente in mano alle diplomazie di Ankara e Mosca, si sono date da fare. «Dato che in Libia stiamo vivendo una guerra per procura – ha spiegato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio allo Spiegel – il punto è portare tutti i soggetti coinvolti al tavolo dei negoziati per garantire che non vi siano ulteriori interferenze. In altre parole: le consegne di armi devono fermarsi. E dev’essere impedito a mercenari di entrare nel Paese». Nove mesi di conflitto hanno fatto capire – anche a Washington – che un atteggiamento di passività o puntare su Haftar in chiave anti Isis voleva dire consegnare la Libia ai russi senza che dovessero neppure mettere gli scarponi sul terreno come in Siria. Berlino sarà la presa d’atto di tutto questo.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Battistini Francesco 
Titolo: Libia, ora è sfida sul petrolio – Libia, bloccati i porti del petrolio Le pressioni di Haftar su Berlino
Tema: Libia
La tregua imposta a Mosca da Putin ed Erdogan regge dal 12 gennaio, piccole violazioni a parte. Si tratta di capire se da Berlino – tra Johnson e Merkel, Macron e Putin, Erdogan e Al Sisi, con Trump che riscopre il dossier nordafricano e invia Mike Pompeo — possa uscire una specie di pace. L’assedio di Tripoli dura da aprile. I siriani filoturchi, circa duemila, pagati 2mila dollari al mese e con la promessa d’un passaporto di Ankara fra sei mesi, sono pronti allo scontro con gli haftariani. All’ultimo minuto alla conferenza si presenta anche Sarraj, riluttante, per le voci che da giorni lo danno come la vittima designata e arrabbiato per l’esclusione dalla lista degli invitati di Tunisia e Qatar, suoi sponsor. Non si sa se il tripolino e Haftar siederanno allo stesso tavolo. Si sa che bozza di documento, in sei punti, verrà loro sottoposta: cessate il fuoco, embargo delle armi, processo politico d’unità nazionale, riforme economiche, nuovo sistema di sicurezza, diritti umani. La proposta prevede una commissione internazionale Onu di controllo, che s’incontri una volta al mese in Libia o a Tunisi, più gruppi speciali di lavoro bisettimanali che rivedano i poteri di polizia e milizie, risistemino i centri di raccolta dei migranti, trasferiscano gli armamenti pesanti, ricostruiscano il Paese. Condizione necessaria, che ci siano «passi credibili, verificabili, in successione e reciproci». Il punto chiave sarà la forza militare che faccia rispettare tutto questo: truppe europee, dell’Unione africana, dell’Onu? O niente del tutto?
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Basso Francesca 
Titolo: Intervista a David Sassoli – «Embargo sulle armi e meno soldati stranieri» – «Troppi attori in campo un freno per la pace Lavoriamo al ritiro dei militari stranieri»
Tema: Libia

«La premessa di tutto in Libia? Il raggiungimento di una tregua stabile. Il cessate il fuoco è il primo atto da consolidare, seguito dall’embargo sulle armi». Il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, è da giorni che insiste sulla «necessità di riavviare il dialogo», anche quando l’8 gennaio ha incontrato a Bruxelles il capo del Governo di accordo nazionale Fayez al Sarraj, in missione nella capitale belga per un confronto con i massimi esponenti delle istituzioni europee (il presidente del Consiglio Ue Charles Michel insieme all’Alto rappresentante Josep Borrell). «Il momento è molto delicato — sottolinea — ma a Berlino c’è la possibilità di fare progressi e avviare un processo negoziale». C’è chi sostiene che l’Ue abbia perso di centralità in Libia e tutto sia in mano a Russia e Turchia. È così? «Se si è arrivati alla Conferenza di Berlino è perché c’è stato uno sforzo da parte dei governi europei, che ha permesso all’Unione di sviluppare un’iniziativa e consentire così alle Nazioni Unite di rilanciare la propria azione. L’Europa ha dimostrato di avere grandi possibilità di intervento nella scena internazionale. Il conflitto libico via via ha visto aumentare le influenze straniere: Turchia, Egitto, Russia, Emirati. E tutto questo ha impedito di lavorare ad un processo di pace. La Conferenza di Berlino oggi può dare i risultati attesi da tempo perché gli europei parlano con una voce sola. Casomai le divisioni maggiori adesso sono altrove».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Meno frutta, più patatine The Donald cancella i menu voluti da Michelle Obama
Tema: alimentazione ragazzi negli Usa

Arriva la restaurazione nelle mense scolastiche americane. Ritornano le patatine fritte, la pizza, gli hot dog, gli hamburger, riprendendosi lo spazio occupato dalle verdure fresche, dalla frutta, dal pane integrale. Ci sono un po’ di «populismo alimentare» e, soprattutto, solidi interessi economici da tutelare nelle «linee guida» diffuse venerdì 17 gennaio dal ministero dell’Agricoltura. L’amministrazione ha deciso di smantellare la riforma promossa dall’allora first lady Michelle Obama, «The Healthy, Hunger-Free Kids Act» del 2010, un provvedimento che puntava a promuovere un nutrimento «salutare e appagante» per circa 30 milioni di bambini, distribuiti in 99 mila istituti scolastici. E proprio nel giorno del cinquantaseiesimo compleanno di Michelle, il sottosegretario Brandon Lipps ha spiegato che «le regole imposte dal governo Obama hanno avuto conseguenze non volute, impedendo alle scuole di adottare soluzioni innovative, come per esempio, la «colazione da asporto» («grab and go breakfast»). Sul sito del ministero si possono vedere le foto di laboriose riunioni con esperti nutrizionisti, dirigenti scolastici, psicologi e così via. Ma la decisione finale è stata pesantemente condizionata dalla lobby del Big Food. Solo per fare un esempio, i produttori di carne riuniti in organizzazioni come la «Livestock Marketing association», la «National Cattlemen’s Beef Association», «the National Chicken Council», «The National Pork Producers Council», «Smithfield foods», «the Texas Cattle Feeders Association» e la «United States Cattlemen’s Association» versano ogni anno circa 4,5 milioni di dollari di finanziamenti ai parlamentari, quasi tutti repubblicani. Somme più o meno equivalenti sono «investite» nella politica dalle industrie dello snack, delle pizze pronte, delle «french fries». Ecco allora che il segretario all’Agricoltura, Sonny Perdue, ha trasformato quello che dovrebbe essere un aperto confronto tra scienziati in una specie di campagna ideologica contro «lo snobismo» degli Obama. Perdue è la figura più adatta per gestire questa operazione. Ex governatore della Georgia, 73 anni, iper conservatore convertito al trumpismo, predica con i suoi modi sbrigativi il «ritorno al buon senso» per spazzare via i «ridicoli» allarmi sul «climate change», l’accoglienza degli immigrati e, naturalmente, i vincoli pubblici sull’alimentazione.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Cuomo Andrea 
Titolo: Addio Michelle Trump riporta gli hamburger nelle scuole Usa – Il menu di Trump: a scuola tornano pizza e hamburger
Tema: alimentazione ragazzi negli Usa

La decisione dell’amministrazione Usa sull’alimentazione a scuola ha sollevato gli alti lai da parte di nutrizionisti e scienziati, come Colin Schwartz, vicedirettore degli affari legislativi del Center for Science in the Public Interest, secondo il quale il menu McDonald (Trump) «creerebbe un’enorme lacuna nelle linee guida sull’alimentazione scolastica, aprendo la strada alla possibilità di scegliere pizza, hamburger, patatine fritte e altri cibi ricchi di calorie, grassi saturi o sodio al posto di pasti scolastici equilibrati, e questo ogni giorno». Tra l’altro la fastfoodizzazione delle mense scolastiche danneggerebbe soprattutto i bambini delle famiglie meno abbienti, che già a casa spesso mangiano male e per i quali quello a scuola era l’unico pasto «sano» della giornata. Va detto che l’obesità è un’autentica emergenza sanitaria negli Stati Uniti, dove il 39,8 per cento della popolazione è obeso e il 70 per cento in sovrappeso. E tra i più giovani non va meglio, se è vero che si calcola che il 57 per cento dei bambini di oggi sarà obeso entro i 35 anni. Dall’altra parte, però, non manca chi fa notare che può essere un bene dare alle scuole una maggiore flessibilità in termini di scelte nutrizionali.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Trump agli iraniani: «Meritate un altro governo»
Tema: Trump e l’Iran

«II nobile popolo dell’Iran, che ama l’America, merita un governo che sia più interessato a sostenerne i sogni che a ucciderne i cittadini….», firmato Donald Trump e postato ieri su Twitter prima in inglese e poi in farsi, la lingua madre degli iraniani. Per la seconda volta il presidente americano prova a rivolgersi direttamente agli oppositori degli Ayatollah. Trump aveva esordito in persiano sabato 11 gennaio con un messaggio a sostegno delle manifestazioni contro il governo di Teheran, dopo che le autorità avevano ammesso di aver abbattuto, per errore, l’aereo di linea ucraino. II Consigliere per la sicurezza nazionale, Robert O’ Brien, aveva dichiarato a Fox News che le incursioni in farsi avevano ricevuto «il numero record di “like” su Twitter». Il bersaglio numero uno della campagna trumpiana in lingua originale è la Guida suprema, Ali Khamenei che il 17 gennaio aveva twittato, in inglese: «Il governo malvagio degli Stati Uniti dice che sarà al fianco del popolo iraniano. E una menzogna. Se voi state al fianco degli iraniani è solo per pugnalarli al cuore con le vostre spade velenose. Certo, finora avete fallito e continuerete a fallire«. Nei giorni scorsi l’Ayatollah aveva dato dei «pagliacci» agli americani e Trump lo aveva minacciato: «Attento a come parli». Venerdì sera, invece, nel suo resort di Mar-a-Lago, in Florida, il leader degli Stati Uniti ha raccontato a una platea di finanziatori come era avvenuta, minuto per minuto, l’uccisione del capo dei pasdaran Qassem Soleimani, il 2 gennaio. L’audio è stato diffuso ieri dalla Cnn. Trump comincia così: «Ero stufo di sentirlo parlare male del nostro Paese. Prima dell’attacco avevo chiesto ai miei consiglieri: quanta di questa m..dobbiamo ascoltare?».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Roddolo Enrica 
Titolo: Harry e Meghan ridaranno 3 milioni – Mai più «altezze reali» E Harry e Meghan restituiranno 3 milioni
Tema: famiglia reale inglese

«Dopo molti mesi di conversazioni e più di recente di discussioni, posso annunciare che abbiamo trovato assieme una via per il futuro per mio nipote e la sua famiglia. Harry e Meghan e Archie saranno sempre amatissimi membri della mia famiglia». E la regina Elisabetta, con parole che hanno una dolcezza amara, o forse sarebbe il caso di dire rassegnata, a chiudere — velocemente come aveva chiesto al suo staff di consiglieri — il caso Harry e Meghan esploso a inizio gennaio con il comunicato a sorpresa che i duchi di Sussex avevano affidato al web. Harry e Meghan rinunciano a utilizzare l’appellativo di Altezze Reali, in cambio della loro libertà, ha annunciato ieri la regina. Anche se il fratello dell’erede al trono William (dopo papà Carlo), manterrà il suo posto di sesto Windsor, nella linea di successione. Elisabetta II, anche per placare le polemiche dopo mesi di tensioni dentro e fuori al palazzo, aggiunge di volerli ringraziare per il lavoro nel Paese e nel Commonwealth e oltre, dichiarandosi fiera di Meghan: «Sono particolarmente orgogliosa di Meghan di come così velocemente sia diventata parte della famiglia». In realtà, dietro a queste parole è impossibile non leggere l’amarezza della sovrana che aveva detto all’indomani del vertice straordinario a Sandringham, meno di una settimana fa, di «non voler rinunciare a Harry e Meghan come asset della sua famiglia». E se ne coglie un’eco quando il comunicato ufficiale continua: «Tutti ora speriamo che questo accordo consenta loro di costruire una nuova vita, serena e pacifica». La regina che non ha mai fatto un passo indietro dai suoi doveri, consente quel passo al nipote. E deve costarle molto. Harry e Meghan resteranno comunque duchi, il mondo potrà insomma continuare a chiamarli Sussexes. Ma perderanno le prerogative di Altezze Reali. L’accordo che entrerà in vigore in primavera stabilisce che la coppia non riceverà più fondi pubblici, e chiede a Harry e Meghan di restituire i 2,4 milioni di sterline (quasi 3 milioni di euro) pubbliche utilizzate per rinnovare Frogmore Cottage nella tenuta di Windsor.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Stabile Giordano 
Titolo: Guerriglia vicino al Parlamento tra manifestanti e forze dell’ordine
Tema: Libano
Sale la tensione in Libano, a tre mesi dall’inizio delle proteste contro la crisi economica e la corruzione della classe politica. Ieri pomeriggio migliaia di manifestanti si sono diretti verso il Parlamento, nel centro della capitale, che nei prossimi giorni dovrebbe varare un nuovo governo “tecnico”. Le manovre dei partiti non convincono però gran parte della popolazione che teme un “inciucio” dove alla fine saranno sempre le solite famiglie a gestire la cosa pubblica e spartirsi la torta. La folla questa volta ha provato a forzare il cordone di polizia che da ottobre protegge Place dell’étoile e la zona dei ministeri e del Parlamento. Molti erano armi di bastoni, pali delle insegne stradali divelti, pietre. Le forze di polizia hanno risposto con cannoni ad acqua, una novità, e lancio di candelotti lacrimogeni. Gli scontri sono poi estesi alla vicina Piazza dei Martiri, l’epicentro della “saura”, la rivoluzione del 17 ottobre. La piazza è stata trasformata in un accampamento, come piazza Tahrir in Egitto nel 2011.
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