Menu

SINTESI IN PRIMO PIANO – 4 febbraio 2020

– Scuole, sfida sulla quarantena
– Prescrizione, Zingaretti media: «Confido in un buon compromesso»
– Cina, il virus abbatte le stime di crescita
– Tripoli chiede a Roma un sostegno più chiaro al Governo Serraj

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Frignani Rinaldo 
Titolo: Scuole, sfida sulla quarantena – Scuole, i governatori dei Nord: «Anche i bimbi vanno isolati» Gli italiani rientrati stanno bene
Tema: Scuole, sfida sulla quarantena

Proprio ieri i governatori leghisti di Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia hanno scritto una lettera al ministero della Salute per chiedere che l’isolamento previsto per chi rientra dalla Cina venga applicato anche ai bambini delle scuole. «Vogliamo solo dare una risposta all’ansia dei tanti genitori — dice il presidente veneto Luca Zaia —, visto che la circolare non prevede misure in tal senso». «A me sembra una regola sanitaria minimale — aggiunge —, la prendiamo per meningite e tbc». L’unico a non firmare la lettera è stato il presidente della provincia autonoma di Bolzano e presidente di turno del Trentino Alto Adige, Arno Kompatscher. Immediata la replica dell’Istituto superiore di sanità: «Le misure attuali tutelano la salute dei bambini e della popolazione». Poi della ministra dell’istruzione Lucia Azzolina («Non c’è alcun motivo per escludere gli alunni») e del governatore del Lazio Nicola Zingaretti («I voli dalla Cina sono sospesi, come fanno i bimbi ad arrivare?»). Ma c’è preoccupazione anche per alcuni episodi, veri o presunti, di intolleranza per i cinesi. A cominciare dalla sassaiola contro un gruppo di studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Frosinone, collegato — ma i carabinieri non hanno avuto conferme — al ricovero allo Spallanzani di una ragazza cinese, poi risultata negativa ai test. A denunciare l’aggressione il presidente del Consiglio regionale del Lazio Mauro Buschini, dopo che era stata rivelata da Giuseppe laconis, docente di Fashion design, ma la direttrice delle Belle Arti Loredana Rea l’ha smentita: «Da noi nessun episodio di violenza. Fuori non so». «Senza parole», commenta ancora Zingaretti.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  Bocci Michele 
Titolo: “Bambini dalla Cina fuori dalle scuole” – Scuole proibite
Tema: Scuole, sfida sulla quarantena
Tre regioni (Veneto, Friuli e Lombardia) e una provincia autonoma (quella di Trento) governate dalla Lega ieri hanno scritto al ministro alla Salute Roberto Speranza per criticare la “circolare scuola” del primo febbraio scorso perché non prevede l’isolamento per chi è rientrato da poco dalla Cina. L’atto, tra l’altro, dispone che tutti gli allievi delle università e delle scuole rientrati da meno di 14 giorni dal Paese dove è esplosa l’epidemia possano tornare in classe, salvo che sia nota la loro esposizione al virus dovuta al contatto con una persona malata. Le Regioni chiedono a Speranza di integrare la circolare, che al momento detta legge e che quindi le amministrazioni locali sono obbligate a rispettare. La proposta è di inserire «la possibilità di prevedere un periodo di 14 giorni prima del rientro a scuola da parte degli studenti tornati in Italia dalle zone a rischio», come spiega il governatore lombardo Attilio Fontana. Visto che i voli sono stati bloccati, tra l’altro, non dovrebbero essere molti i giovani da tenere sotto controllo. Si cita, a sostegno della lettera, il report Oms del primo febbraio che parla di trasmissione da coronavirus in soggetto asintomatico come «rara ma possibile». Prima di quella data, in effetti, la posizione di alcune delle Regioni pareva diversa. L’assessore alla Salute lombardo Giulio Gallera il 31 gennaio diceva ad esempio: «Se ci saranno indicazioni diverse da parte della scienza ne prenderemo atto, ma non ci sono motivi per non mandare a scuola dei bimbi cinesi o ragazzi cinesi all’università». Prima ancora che fosse reso noto dal governatore del Veneto Luca Zaia il documento delle Regioni, la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina aveva già dato, involontariamente, una risposta alle perplessità dei presidenti. «Non voglio che si creino allarmismi — ha detto ieri mattina Non ci sono motivazioni al momento per pensare di escludere gli alunni dalla scuola. Nella circolare abbiamo spiegato eventualmente cosa si deve fare e in quali casi».
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica 
Titolo: Zingaretti media sulla prescrizione «Confido in un buon compromesso»
Tema: prescrizione
La guerriglia di minacce e ultimatum sulla prescrizione continua, mettendo seriamente a rischio la sopravvivenza del governo. Ma al vertice del Pd vedono una piccola luce in fondo al tunnel: la speranza che il pressing convinca il Guardasigilli e capo delegazione del M5S, Alfonso Bonafede, ad ammorbidire la posizione e consentire un compromesso. «lo confido che le soluzioni si possano trovare — media il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, sperando che la “voglia di sintesi” prevalga —. In caso contrario andremo avanti con la nostra proposta di legge». Il braccio di ferro tra Bonafede e il leader di Italia viva, Matteo Renzi, ha condotto il governo fin sull’orlo del burrone. Ragion per cui l’ex premier, pur senza smetterla di attaccare, ha cominciato a frenare. «Non credo che il governo cascherà e non voglio che cada — rassicura Renzi a L’aria che tira, su Ia7 —. Ma se Bonafede vuole forzare, sappia che al Senato non ha i numeri». Lo stesso argomento usa l’azzurro Enrico Costa, autore della proposta che chiede la cancellazione della riforma Bonafede: «Pd e M5S hanno una fifa blu di andare sotto in aula». Costa è furibondo perché la presidente M5S della commissione Giustizia della Camera, Francesca Businarolo, ha scelto come relatore non lui, bensì Mario Perantoni del Movimento, contrario a fermare la riforma della prescrizione. Al momento un nuovo vertice di maggioranza non è previsto, perché Palazzo Chigi non può mettere i litiganti attorno a un tavolo senza avere una bozza di intesa. Ma al Nazareno si aspettano che sia convocato entro un paio di giorni. L’ex ministro Andrea Orlando se la prende con l’intera maggioranza, per dire che «se non si fossero alzati i toni Bonafede sarebbe stato costretto a rispondere alle precise obiezioni di molti vertici degli uffici giudiziari». Eppure Zingaretti è fiducioso: «Io credo che un compromesso soddisfacente arrivi».
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – Una prova di forza senza l’arma finale
Tema: prescrizione
Sulla prescrizione i giorni del calendario da tenere d’occhio cominciano il 10 febbraio quando il decreto Milleproroghe – con la mina vagante della prescrizione – comincia il suo iter alla Camera. Sette giorni o poco più di tempo per Conte per trovare una mediazione ma, nonostante Italia Viva abbia alzato il tiro non c’è aria da ultimo scontro. Nel senso che il partito di Renzi e lo stesso vale per i 5 Stelle – non è nelle condizioni di fare una crisi per tornare alle urne e dunque non può usare l’arma finale. I ricatti funzionano se lo sono davvero, se realmente si possono portare avanti fino in fondo ma tutti i protagonisti di questa vicenda sanno bene che in gioco c’è più il profilo identitario di ciascun partito che non la vita del Governo. Staccare la spina è un prezzo troppo alto per tutti e in particolare per chi come i renziani e i grillini hanno brutti numeri nei sondaggi. Per questa ragione si comincia a far circolare nei corridoi del Transatlantico la voce secondo cui dopo una rottura si potrebbe anche mettere su un terzo nuovo Governo, questa volta con Salvini e senza Conte e il Pd. Un’ipotesi a cui pensa la Lega che sa bene come dopo il referendum sul taglio dei parlamentari sarà impossibile chiedere ai parlamentari di “suicidarsi” e sarà più semplice promettere un nuovo Esecutivo. Voci che servono sia per dare un po’ di credibilità ad alcune battaglie sia a coltivare un piano B per i prossimi mesi. Insomma, anche se in ballo adesso non c’è la sopravvivenza di Conte, lui sa bene che questa partita sulla prescrizione è un’ulteriore tappa per chi vuole indebolirlo.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Franco Massimo 
Titolo: Il commento – Artificiali complicazioni – Le artificiali complicazioni che impediscono di governare
Tema: prescrizione

Le minacce incrociate tra il Guardasigilli grillino Alfonso Bonafede e il capo politico Vito Crimi, e il leader di Iv, Matteo Renzi, trasmettono la sensazione sgradevole di una sfida giocata su un terreno costituzionalmente delicato. Il controverso provvedimento che i Cinque Stelle vorrebbero imporre appare un pretesto. Per Bonafede e Crimi, si tratta di riaffermare il primato del M5S nel governo di Giuseppe Conte: tanto più ora che è stato sbriciolato dagli elettori alle Europee e in alcune votazioni locali successive. Renzi, invece, cerca visibilità per schiodare Iv da sondaggi impietosi, spezzare l’asse tra M5S e Pd e accreditarsi come «mosca cocchiera» dell’attuale esecutivo. Ma lo scontro tocca un tema destinato a incidere sui diritti di vittime e imputati. Divide la politica e il mondo giudiziario. Lo provano le riserve contro la proposta del M5S, espresse nei giorni scorsi dal primo presidente della Corte di Cassazione, alla presenza del capo dello Stato, Sergio Mattarella. Un discorso seguito il giorno dopo da quello del procuratore generale di Milano, sui rischi di incostituzionalità del provvedimento. Ma nell’approccio dei partiti non è sempre facile capire dove finisca la voglia di giustizia e comincino pregiudizio ideologico o calcolo politico. Su questo sfondo distorto, la vicenda della prescrizione sembra
non avere soluzione: se non quella di uno scontro parlamentare nella maggioranza, con l’esecutivo in bilico al Senato. La destra spera che Renzi vada fino in fondo contro il M5S. Ma l’atteggiamento di Bonafede semina altrettante perplessità. Volere imporre una misura ereditata dal passato governo sa di forzatura.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Bianconi Giovanni 
Titolo: Intervista a Davide Ermini – «No agli ultimatum Sulla giustizia i partiti si parlino» – «Alla giustizia serve una riforma organica Sbagliati gli ultimatum, i partiti collaborino»
Tema: prescrizione
«Da questo ennesimo scontro politico sulla giustizia emerge ancora una volta la necessità di una riforma organica, di sistema, che riguardi il processo penale ma anche il codice penale, con la revisione dei reati; ma per farlo ci vorrebbe un clima totalmente diverso, più disteso e soprattutto di collaborazione», sostiene il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura David Ermini. Lei come pensa che andrebbe sciolto il nodo prescrizione? «La soluzione spetta al Parlamento e al governo. Ma su questioni che incidono direttamente sulla vita e la pelle dei cittadini si dovrebbe trovare la massima condivisione possibile. Anche con l’opposizione, visto che si tratta di attuare i principi costituzionali del giusto processo, della sua ragionevole durata e delle garanzie. Invece ogni nuova coalizione cambia le regole, e non mi pare un buon modo di procedere». Ma sul caso specifico secondo lei come bisognerebbe intervenire? «Io sto al parere espresso dal Csm, seppure a maggioranza: eliminarla dopo la sentenza di primo grado, senza altri interventi strutturali, non risolve la criticità dell’eccessiva durata dei processi, e anzi rischia di aggravarla. A titolo personale penso sia stato un errore intervenire su questo punto senza conoscere il resto delle riforme, perché come accade nel domino quando si toglie una tessera rischiano di cadere tutte le altre».
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ascione Marco 
Titolo: L’analisi – Con la nuova legge a Lega e FdI da soli 205 deputati su 400 – A Lega e FdI 205 deputati su 400 Così potrebbe cambiare la Camera
Tema: taglio parlamentari e legge elettorale
Il primo numero che si impone è 205. Lega e Fratelli d’Italia avrebbero da soli la maggioranza in una Camera decurtata dal taglio dei parlamentari (da 63o a 400) e frutto di nuove elezioni con il cosiddetto Germanicum. Ossia il sistema proporzionale con sbarramento al 5 per cento, la piattaforma di nuova legge elettorale sulla quale stanno attualmente convergendo i due principali soci di governo, Pd e 5 Stelle. Eccola, quindi, la fotografia di Montecitorio se si andasse a votare oggi: centrodestra a quota 234 seggi su 400 (ai 149 della Lega e ai 56 di Fratelli d’Italia andrebbero aggiunti i 29 di Forza Italia), Pd a 96 e 5 Stelle a 65. Ai renziani di Italia viva, ora principali attori delle turbolenze interne alla maggioranza, verrebbe riconosciuto giusto un diritto di tribuna (3 scranni) previsto, se il testo di legge sarà confermato, per le formazioni minori che pur non superando lo sbarramento del 5 per cento su scala nazionale riescono in almeno due Regioni e tre circoscrizioni a raggiungere il numero di voti necessario per l’ottenimento di un seggio. Una rivoluzione copernicana rispetto agli attuali assetti, specchio di una simulazione realizzata sulla base dei sondaggi Ipsos eseguiti tra dicembre e gennaio, su un campione totale di 8 mila persone: mentre la coalizione di Salvini avrebbe saldo il timone, il Partito democratico diventerebbe il secondo gruppo parlamentare con il Movimento in una posizione subalterna (sommandoli farebbero 161 deputati). La sinistra di Leu si dissolverebbe. E chiaro il riflesso maggioritario innescato dalla soglia del 5 per cento, più che dal ridotto numero dei parlamentari. Per capirsi: rilevazione dei consensi alla mano, alla Lega e al partito guidato da Giorgia Meloni viene accreditato complessivamente un 44% che porta però in dote più della metà della Camera (il 51%).
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  Lauria Emanuele 
Titolo: Salvini archivia Bossi “I padri nobili nel partito non esistono più”
Tema: Lega

«I padri nobili non ci sono più, a guidarci sono i nostri nove milioni di elettori». Matteo Salvini recide anche l’ultimo tratto del cordone ombelicale con la “vecchia” Lega e così, senza troppo riguardo, liquida anche la figura di Umberto Bossi, il fondatore “reo” di aver criticato ieri su Repubblica la sua gestione e il battesimo di un partito nazionalista. A Palermo, dopo aver pranzato con il governatore Nello Musumeci e avere posto le basi per lo storico ingresso del Carroccio nella giunta siciliana, il segretario di coloro che un tempo lontano si chiamavano lumbard, replica punto su punto alle critiche di Bossi: «Ha bocciato la Lega nazionalista? Rispetto le sue idee ma non cambio le mie. Dice che stiamo perdendo gli elettori del Nord? I numeri dicono esattamente il contrario: non siamo mai stati così forti nelle regioni settentrionali e con grande orgoglio dico che siamo determinanti anche al Sud. Lo dimostra il dato della Calabria». Da Salvini un’altra stilettata al senatùr, che non nomina mai direttamente: «Noi vogliamo unire, se qualcuno vuole dividere, non è questo il momento né il movimento». Quasi un preavviso di sfratto. La sua leadership, aggiunge Salvini, non può essere in discussione: «Rispondo coi fatti: guido un partito che è al 33 per cento e ha l’affetto di tanti italiani». Per l’ex ministro nessun cedimento sulla linea, insomma: «La Lega c’è in tutt’Italia e ambisce a governare ovunque: in un solo pezzo di Paese non siamo sufficienti». Risposte improntate all’orgoglio della nuova fase ma pronunciate nel bel mezzo di una visita in cui ha dovuto giocare in difesa: Salvini ha dovuto annullare l’annunciata passeggiata nel mercato storico di Ballarò. E rimasto chiuso dentro Palazzo d’Orleans, sede della presidenza della Regione, mentre a Ballarò l’attendeva un migliaio di contestatori, radunati da un cartello di associazioni che lavorano in un quartiere simbolo dell’integrazione fra palermitani e immigrati.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  Gentile Cecilia – Venturi Ilaria 
Titolo: Sardine, il leader romano se ne va I fondatori: “Non lo segue nessuno”
Tema: Sardine
L’annuncio di una scissione ad appena 80 giorni dalla nascita scuote con la forza di un terremoto il movimento delle Sardine. A sbattere la porta, con un post su Facebook, è Stephen Ogongo, uno dei portavoce dell’ala romana: «Ce ne andiamo, da oggi procederemo in autonomia». In due ore la frattura si ribalta in auto-espulsione, perché in realtà le Sardine romane si dissociano dall’attivista, 45 anni, giornalista. Lo isolano: «Ha parlato a titolo personale». E lo fa Mattia Santori: «Sono state usate parole inappropriate e le sardine romane presto si vedranno». La migrazione del gruppo avviene su una nuova pagina social “Seimila sardine Roma e Provincia” con l’annuncio: «Il gruppo Sardine di Roma si è sciolto, convergete su questo che ha aderito al programma di 6000 Sardine dopo lo strappo di Ogongo». Una rottura, a due giorni dalla foto contestata con Luciano Benetton dei promotori bolognesi, che rivela quanto le acque siano agitate. E la fragilità strutturale di un movimento che ha riempito le piazze, incassato la sconfitta di Salvini in Emilia Romagna, l’apertura del Pd e l’attesa di un incontro con il premier Conte. Ma che ancora non ha un direttivo nazionale. I coordinatori gestiscono le pagine Facebook dei gruppi, ne sono amministratori come Ogongo, già al centro della gaffe su CasaPound («possono venire anche loro») alla vigilia della manifestazione in piazza San Giovanni a Roma il 14 dicembre. Ogongo, che l’altroieri era all’assemblea “Roma ha bisogno di una svolta”, con Stefano Fassina, a nome delle Sardine, annuncia la fuoriuscita attaccando l’incontro dei quattro fondatori a Fabrica: «Un errore politico ingiustificabile, ma solo l’ultimo degli errori che hanno commesso nelle ultime settimane». Invita a «tornare alle origini», ma è subito contestato nelle centinaia di commenti al post.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Carrer Stefano 
Titolo: Cina, il virus abbatte le stime di crescita – Coronavirus, stime al ribasso per la crescita cinese e globale
Tema: virus e Borse
Le misure di emergenza decise dalle autorità finanziarie di Pechino – con la maggiore iniezione giornaliera di liquidità sul mercato monetario dal 2004 – hanno potuto attutire solo in misura assai limitata l’inevitabile crollo dei mercati azionari cinesi al rientro da una pausa per il Capodanno lunare prolungata a 10 giorni: l’indice Shanghai Composite ha chiuso ieri in ribasso del 7,7%, spazzando via un valore di capitalizzazione per l’equivalente di 375 miliardi di dollari, mentre la piazza di Shenzhen è arretrata dell’8,4%. Molto Pesanti anche i mercati cinesi delle materie prime (in particolare su greggio, rame e minerali di ferro), in presenza di indicazioni secondo cui la domanda di petrolio in Cina è scesa di circa 3 milioni di barili al giorno, pari al 20% dei consumi totali. I mercati azionari occidentali hanno mostrato però di saper resistere ieri alle ulteriori pressioni ribassiste.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Santevecchi Guido 
Titolo: Il grande tonfo in Borsa, bruciati 420 miliardi Poi Wall Street risale
Tema: virus e Borse

Le Borse di Shanghai e Shenzhen hanno riaperto ieri dopo il Capodanno lunare prolungato per l’emergenza sanitaria. C’erano state anche polemiche: se uffici e industrie «non essenziali» restano chiusi, perché far rischiare i trader? II ritorno è stato traumatico: il 7,72% lasciato sul campo ha segnato il peggior giorno dall’agosto 2015, quando era esplosa la bolla della fiducia «nell’immancabile crescita dei titoli cinesi». Quell’illusione nel 2015 era stata sostenuta dalla propaganda statale e pagata da un «parco buoi» di milioni di piccoli e medi risparmiatori. Nel 2015 il governo di Pechino organizzò, più o meno segretamente, una «squadra nazionale» di investitori con la missione di comperare massicciamente per stabilizzare il mercato, in caso di emergenze. La Banca centrale ieri ha cercato di bilanciare lo choc da virus, annunciando un’iniezione da 1,2 trilioni di yuan (156 miliardi) per sostenere la liquidità. Shanghai ha aperto crollando del 9,1%, circa 3 mila titoli sono stati sospesi al ribasso (-10%) e quando c’è stato un recupero di quasi due punti sull’indice, gli esperti hanno visto la mano della «squadra nazionale». Il problema, ora che il primo trimestre 2020 è compromesso, è limitare i danni. Un problema di gestione economica e sanitaria insieme. Si fanno paragoni con la Sars, che nel 2003 cancellò il 2% di Pil cinese e lo 0,1% di quello mondiale. Ma allora la Cina era soprattutto fabbriche ed export: bastò riaprirle per tornare a correre e il 2003 finì al +9,9%. Nel 2003 i consumi interni contavano per il 37%, nel 2019 sono saliti oltre il 57%. Non sarà automatico il decollo post virus. I consumi interni nel Capodanno, il periodo migliore tra acquisti e viaggi (il virus ha già cancellato 25 mila voli), di solito crescono a doppia cifra, quest’anno sono negativi tra il 3 e il 5%, dice l’analista Tian Yun di Pechino. Gli economisti statali prevedono che il Pil 2020, se tutto andrà bene e il virus scomparirà, finirà sotto il 5%.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mobili Marco – Tucci Claudio 
Titolo: Prorogata la Cigs per le crisi aziendali – Crisi aziendali, proroga della Cigs Il Governo ci mette 140 milioni
Tema: milleproroghe

Il Governo recupera 90 milioni di euro da fondi non utilizzati e rilancia la Cassa integrazione straordinaria per il 2020. L’obiettivo è quello di far fronte con nuove risorse alle grandi crisi aziendali sparse in tutta Italia, da quelle di Napoli della Whirlpool o della ex Ilva di Taranto a quella di Gualdo Tadino in Umbria, o di Porto Marghera in Veneto o di Piombino in Toscana. Un pacchetto di misure che saranno riassunte in un solo correttivo (salvo ripensamenti dell’ultima ora) messo a punto dal ministero di via Flavia. In tutti saranno una ventina gli emendamenti del Governo che saranno depositati oggi nelle commissioni Bilancio e Affari Costituzionali della Camera. Tra questi il Mef ha annunciato l’arrivo della proroga dell’obbligo di tracciabilità delle spese che i contribuenti possono portare in detrazione al 19% con il 730 o il modello Redditi del 2021.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Colombo Davide – Rogari Marco 
Titolo: Pensioni per i giovani Tutti d’accordo ma c’è il nodo risorse
Tema: pensioni

Governo e sindacati sono d’accordo sull’obiettivo di istituire una pensione di garanzia per i giovani con carriere lavorative discontinue cominciate dopo il 1996. Quei pensionati del futuro esclusi dal trattamento minimo, cui le pensioni sono integrate se inferiori, che fu appunto abolito dalla riforma Dini. Ma la strada per tagliare questo traguardo non si presenta del tutto in discesa. Anche perché c’è da superare uno scoglio molto arduo: quello dell’individuazione delle risorse necessarie per far nascere il nuovo “assegno minimo”. Che, secondo la piattaforma presentata ieri nel primo round tecnico al ministero del lavoro da Cgil, Cisl e Uil, non potrà essere inferiore ai 780 euro dell’attuale pensione di cittadinanza. L’esecutivo non ha chiuso e si è anzi detto disposto a valutare la proposta. Ma al tavolo, dov’era presente anche Marco Leonardi, consigliere economico del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, l’esecutivo si è riservato di approfondire prima stime, costi e platee. A condurre ricognizioni e simulazioni, anche sulla base dei dati Inps, sarà, in particolare, la commissione di esperti nominata dalla ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo che, ieri, ha sottolineato come sia «arrivato il momento di intervenire per permettere ai giovani di avere un domani una pensione dignitosa. Del resto, i dati parlano chiaro: il Censis ha stimato che fra trent’anni in 5,7 milioni rischiano di ritrovarsi con assegni sotto la soglia di povertà». Un primo punto, con tutta probabilità, sarà fatto a marzo nel momento in cui scatterà la prima verifica del lavoro dei quatto tavoli attraverso i quali si snoderà il confronto tra Governo e sindacati per individuare gli interventi previdenziali necessari per evitare il rischio-scalone in vista della conclusione della sperimentazione triennale (a fine 2021) di Quota 100.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico 
Titolo: La richiesta Cisl per la pensione dei giovani: «Minimo 780 euro»
Tema: pensioni

Sull’obiettivo governo e sindacati sono d’accordo, dopo l’incontro di ieri al ministero del Iavoro: creare una pensione di garanzia per i giovani. Ma come farlo è tutto da vedere. Anche perché una misura così comporterebbe in prospettiva un aumento della spesa. Il vicesegretario della Cisl, Luigi Sbarra, parla di una «soglia minima di 78o euro al mese», da far crescere in proporzione al numero di anni lavorati. «Per dare un’idea — dice Roberto Chiselli (Cgil) — un lavoratore che uscisse a 66 anni con 40 anni di attività, sia pure discontinua, non dovrebbe scendere sotto i mille euro al mese». La Uil ha proposto anche di aumentare la contribuzione figurativa durante i periodi di non lavoro, ma questo avrebbe un costo immediato, mentre la pensione di garanzia ex post comporterebbe un aumento della spesa solo quando andrebbe a regime il sistema contributivo, cioè verso il 2037. La ministra Nunzia Catalfo e i tecnici riprenderanno il confronto in una data da stabilire.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Cremonese Angelo 
Titolo: Servono norme eque e semplici – Economia e finanza soso cambiate, servono regole più eque e semplici
Tema: fisco

Le esigenze di modifica del sistema tributario sono molteplici e spesso vanno in direzioni contrapposte: più equità e maggiore efficienza; riduzione degli adempimenti e contrasto all’evasione; alleggerimento della pressione tributaria e vincoli di finanza pubblica. In questo scenario complesso non è difficile perdersi o, peggio, cadere nella tentazione di disegnare una riforma orientata alla ricerca del consenso. Un utile punto di partenza potrebbe essere quello di individuare alcune priorità su cui costruire le fondamenta del sistema tributario del futuro. Il progetto di una grande riforma fiscale non può prescindere dalla presa di coscienza di alcuni importanti punti fermi, delle vere e proprie parole d’ordine: equità, semplificazione e crescita. Un principio che sembra dimenticato in tema di equità è quello di tassare in modo uniforme i redditi di uguale ammontare, la cosiddetta equità orizzontale. L’Irpef nell’attuale sistema ha gradualmente abbandonato i criteri ispiratori di progressività del dettato costituzionale, facendo il pieno di forfetizzazioni e cedolari che portano a evidenti disparità di trattamento fra contribuenti aventi redditi di diversa classificazione ma di uguale ammontare, con conseguenti effetti distributivi molto discutibili. Le diseguaglianze sociali nel nostro Paese hanno raggiunto livelli allarmanti. Secondo le più recenti rilevazioni di Eurostat nell’ultimo decennio la forbice si è addirittura allargata: il 10% più ricco della popolazione ha entrate di 6 volte superiori del 20% più povero. Non bisogna dimenticare che senza un deciso intervento sulle disuguaglianze si rischia di assistere a una eccessiva verticalizzazione della società, causa di inevitabili tensioni tra chi possiede la ricchezza e chi ne è escluso. Una eccessiva concentrazione dei redditi e del patrimonio, peraltro, incide negativamente su consumi e produttività, rende il sistema nel complesso meno efficiente e agisce da freno per la crescita economica.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  D’Argenio Alberto 
Titolo: Ecco il piano Gentiloni Investimenti verdi e meno austerity
Tema: patto di stabilità

Le regole europee sui conti pubblici non sono più del tutto attuali, dovrebbero essere rinfrescate per dare una spinta a investimenti (verdi) e crescita, magari senza più perdersi in infinite discussioni sugli “zerovirgola”. Con questo messaggio domani il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, si presenterà sul podio della sala stampa di Bruxelles per illustrare la Comunicazione sulla revisione della governance economica dell’eurozona. Al suo fianco il vicepresidente dell’esecutivo comunitario, il lettone Valdis Dombrovskis. Le due anime di un’Europa divisa tra rilancio e rigore che hanno trovato un compromesso nell’atteso documento che lancerà il dibattito tra i ministri dell’Unione sulla riforma delle norme su deficit e debito. Entro fine anno, sulla base del confronto tra governi, la Commissione sfornerà le proposte finali per migliorare la cornice normativa europea. Secondo quanto trapela a Bruxelles, il testo sarà diviso in due parti. La prima di analisi su come negli anni hanno funzionato Two pack Six pack, il braccio operativo del Patto di Stabilità. La seconda parte sarà invece composta da una serie di domande per stimolare le discussioni tra ministri. Per non polarizzare il dibattito, la Commissione eviterà di dare suggerimenti su come rispondere ai quesiti. Scelta che oltretutto costringerà i governi a uscire allo scoperto, smettendola di accusare Bruxelles di troppa austerità (a Sud) o di eccessivo lassismo (a Nord). Leggendo in controluce le domande e i paragrafi che le accompagnano, dal testo di Bruxelles emergono altri orientamenti innovativi. Quanto alla semplicità delle regole, si suggerisce di scrostarle dagli strati normativi che si sono aggiunti uno sull’altro negli ultimi anni. La soluzione potrebbe essere quella di tornare allo spirito del Patto di Stabilità, ovvero di continuare a garantire la discesa di deficit e debito guardando solo ai cosiddetti “errori gravi”. Si passa poi agli investimenti verdi: se da un lato sarà difficile sfilarli del tutto dai calcoli del deficit (la golden rule chiesta dall’Italia), la soluzione implicitamente suggerita è di inserirli tra i criteri per concedere anno dopo anno flessibilità sui conti.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Messaggero 
Autore:  R.Amo 
Titolo: Autostrade, compromesso vicino – Autostrade, Aiscat ritira il ricorso al Tar verso il compromesso sulla concessione
Tema: Autostrade
È presto per parlare di accordo tra Atlantia-Aspi e il governo sulla concessione autostradale: la trattativa dietro le quinte è ancora in alto mare. Ma dopo il voto in Emilia Romagna si respira un clima diverso sulla minaccia di revoca della concessione. Un clima certamente più favorevole a un accordo che passi da garanzie precise di Autostrade, tra tariffe e investimenti. Una conferma di questo clima è in qualche modo arrivata ieri dall’annuncio dell’Aiscat, l’Associazione delle concessionarie autostradali che si era scagliata contro il decreto Milleproroghe approvato a dicembre scorso dal governo che cancella il maxi-indennizzo dovuto ad Aspi in caso di revoca della concessione. «L’Aiscat d’intesa con i suoi legali ha deciso di ritirare il ricorso al Tar» contro l’articolo 35 del Milleproroghe sulle concessioni autostradali. E lo fa, ha spiegato, «confidando in una soluzione positiva della complessa problematica in essere». Come dire: facciamo un passo indietro per non essere di ostacolo in un’eventuale trattativa, compreso quella tra Atlantia e il governo, evidentemente.Del resto, secondo alcune fonti politiche vicine alla trattativa, la strada per uscire dall’impasse in cui è finito lo scontro governo-Atlantia potrebbe essere tracciata.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  Letta Enrico 
Titolo: Adesso che Londra se n’è andata la Ue trasformi i commissari in ministri
Tema: Brexit

Che errore farebbero i leaders europei se non usassero la Brexit per rilanciare. Come? Prendiamo alcuni dei veti britannici di questi decenni e proviamo a trasformarli, ora che loro non ci sono più, in altrettante occasioni di rilancio, con l’occhio all’interesse dei cittadini. Dei tanti veti ne scelgo tre. A questi, in conclusione, aggiungo una parola, una semplice definizione da cambiare nel lessico europeo. I tre storici veti sono su tasse, istruzione e sociale. Non piccole cose. Si tratta del cuore del rapporto tra il cittadino e lo Stato. Sulle tasse il veto britannico all’armonizzazione fiscale ha creato un sistema ibrido, ormai insostenibile. Nell’area dell’euro vi è la stessa moneta, i capitali son sempre più mobili ma abbiamo sistemi fiscali tutti diversi con, soprattutto, alcuni paradisi fiscali francamente insopportabili. La loro presenza rende più difficile l’azione sulla leva fiscale degli altri governi. Il superamento di questo vecchio e anacronistico veto avrebbe enormi effetti benefici per i cittadini, quelli italiani in particolare. Il secondo veto è quello sull’istruzione. Jacques Delors, per aggirare il veto della Thatcher in questo campo fu costretto a usare il principio comunitario della “mobilità dei cittadini” per introdurre l’Erasmus, la più attrattiva bandiera europea di sempre. Ma esistono avanzamenti più diretti in questo campo che si potrebbero oggi introdurre con grande beneficio di studenti, insegnanti e famiglie. Un’idea tra tutte, quella di un Erasmus per i sedicenni, nuova parte integrante del corso di studi obbligatorio di tutte le scuole europee. Infine il veto sull’agenda sociale dell’Ue. Dopo la drammatica crisi finanziaria, l’Ue priva del pilastro sociale perde presa sui cittadini e subisce facili critiche di essere troppo orientata su moneta e finanza. Oggi che i portatori di quello storico veto thatcheriano sono usciti, passi avanti verso un’Europa più sociale sarebbero possibili e soprattutto necessari, dal tema del salario minimo a quello dell’associazione contro la disoccupazione o dell’integrazione dei sistemi di welfare. Finisco con il cambio di una parola. Ad uno sguardo superficiale si può pensare che una parola non cambi nulla. Io penso invece che cambiare la parola “Commissari Europei” in “Ministri Europei” avrebbe un importante effetto. L’uso della parola “Commissario” in questo campi è una follia se ci si pensa bene. A parte che i più famosi commissari nelle vite dei cittadini europei sono Montalbano, Maigret o Derrick, ma essa suggerisce soprattutto l’idea di una Ue che, dall’alto, è prevaricatrice dei diritti e dei comportamenti dei cittadini che stanno in basso.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pelosi Gerardo 
Titolo: Tripoli chiede a Roma un sostegno più chiaro al Governo Serraj
Tema: Libia
Le modifiche al memorandum italo-libico sul controllo dei flussi migratori (in gran parte già scritte) saranno sottoposte a un preventivo passaggio parlamentare. Non ci sarà, a quanto si apprende, un voto vero e proprio sul nuovo testo ma solo un documento di indirizzo del Parlamento che faccia stato della posizione italiana a favore della soluzione politica della crisi libica, come previsto dalla conferenza di Berlino, e offra sufficienti garanzie sul rispetto dei diritti umani per i migranti presenti in Libia. Questa la decisione del Governo concordata tra ministri degli Esteri, Luigi Di Maio e dell’Interno, Luciana Lamorgese a conclusione di una giornata, quella di ieri, che ha visto la presenza a Roma (prima di recarsi in Turchia) del ministro dell’Interno del Governo di accordo nazionale di Tripoli, Fathi Bashagha. Quest’ultimo ha chiesto maggiore chiarezza ai rappresentanti del Governo italiano sollecitando precise rassicurazioni sul pieno sostegno di Roma al governo di Serraj. Quanto alla “lista della spesa” sugli aiuti chiesti dai libici per il controllo dei flussi migratori non vi sarebbero grandi problemi anche se la situazione si è andata notevolmente aggravando negli ultimi mesi a causa del conflitto con 300mila sfollati che si vanno ad aggiungere ai 700mila migranti presenti nel Paese mentre nei centri ancora funzionanti (5 sono stati chiusi perchè sulla linea di fuoco del conflitto) restano 4mila migranti. L’Italia si mobiliterà per adattare nuove strutture di accoglienza in Libia d’accordo con le agenzie dell’Onu, proseguirà i programmi
di addestramento alle forze di polizia locali e fornirà radar costieri mentre non sarebbe prevista la consegna di nuove motovedette. I funzionari dei due ministeri dell’Interno italiano e libico hanno messo a punto le modifiche al memorandum che sono ora all’esame della Farnesina che riunirà presto il comitato congiunto italo-libico previsto dall’articolo 3 del memorandum per gli aggiornamenti necessari.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  Ziniti Alessandra 
Titolo: Patto sui migranti ora la Libia alza il prezzo
Tema: Libia
 Tre mesi dopo aver attivato la procedura di revisione degli accordi firmati nel 2017, il governo italiano parla ancora con i verbi al futuro di una fantomatica trattativa che, qualunque sarà l’esito, non ha più una via d’uscita: perchè per i prossimi tre anni l’Italia dovrà continuare a tener fede agli accordi garantendo sostegno tecnico ed economico alla Libia per fermare i flussi migratori. E ora – come chiede Bashaga a Luciana Lamorgese – anche per gestire 300.000 sfollati, la chiusura di cinque centri di detenzione sulla linea del fuoco e l’apertura di nuovi. Insomma, la Libia (mentre le partenze fanno segnare una sospetta impennata a fronte di un disimpegno della guardia costiera) alza pure il prezzo e chiede aiuti ulteriori come prova del sostegno ad Al Serraj. Che in un prossimo futuro l’Italia riesca ad ottenere il rispetto dei diritti umani nei 19 centri che – come dichiarato dai rappresentanti in Libia dell’Unhcr – sono gestiti dalle milizie che sostengono Al Serra] contro llaftar appare improbabile. Al momento, l’unica certezza è quella data dalle parole di Vincent Cochetel, inviato Unhcr nel Mediterraneo: «Ritorni in Libia uguale rischi di tortura, detenzione arbitraria, schiavitù, rischi per la vita. Il salvataggio è apprezzato ma tutti i ritorni in Libia sono contrari alla legge internazionale sui diritti umani e marittimi. E vale per tutti i Paesi e le forze militari presenti nel Mediterraneo». Un richiamo forte dopo il campanello d’allarme del primo respingimento di migranti con la collaborazione di una nave militare turca. Un migliaio i migranti intercettati e riportati all’inferno solo a gennaio, 40.000 dal 2017.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: La lunga marcia di Sanders che gioca da «outsider» (e punta alla base di Trump)
Tema: primarie democratici Usa

Al Des Moines Airport Holiday Inn «lo staff» di Bernie Sanders ha cominciato a preparare le sale per il grande party elettorale fin dalle otto di lunedì mattina. La sala stampa sembra quella di un vertice internazionale: 432 postazioni che non si riveleranno sufficienti per soddisfare le richieste dei giornalisti accreditati. Nella notte i risultati ufficiali di una competizione tirata e indecisa. Gli ultimi sondaggi davano praticamente alla pari Sanders e il trentottenne sindaco di South Bend, Indiana, Pete Buttigieg. Joe Biden ed Elizabeth Warren sembravano scivolati un po’ più indietro. Dall’Iowa, dunque, dovrebbe uscire uno scenario bipolare. Da una parte il blocco moderato, con un nuovo leader potenziale, il giovane Pete; dall’altra il settantasettenne senatore del Vermont, il rivoluzionario di ritorno, la figura che sta già scompaginando la politica americana. Nel 2016, proprio qui, Sanders fu sconfitto per un niente da Hillary Clinton e in pochi avrebbero pensato di rivederlo, quattro anni dopo, ripartire dai caucus, questa volta non da outsider, bensì come il front-runner da battere. Ancora nell’ottobre scorso la sua formula «sovversiva» era apparsa obsoleta, superata dal «riformismo di struttura» predicato da Elizabeth Warren. In quelle settimane Bernie era in ospedale, alle prese con i postumi di un attacco cardiaco. Lentamente si è ripreso la scena, alla sua maniera, rivendicando la titolarità del neo socialismo americano. L’università, la scuola gratis per tutti. La tassazione pesante sui «millionaires e billionaires», la lotta contro le «big corporation» del petrolio, dei farmaci, delle armi. Hillary ha detto che «Sanders non piace a nessuno». E probabilmente ha ragione. Solo che bisogna intendersi su quel «nessuno». Stiamo parlando dei dirigenti del partito democratico? Allora va bene. Vogliamo intendere gli altri candidati alle primarie? D’accordo. Ma se abbiamo in mente gli elettori, soprattutto i giovani, allora no, siamo completamente fuori strada.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Gaggi Massimo 
Titolo: Iowa, corsa in salita per un partito diviso
Tema: primarie democratici Usa

Le primarie sono un processo di selezione: è normale che ogni confronto, a partire dal caucus di questa notte in Iowa, si risolva in una battaglia. Ma quella che sta saltando è la logica della «big tent»: la capacità del partito di coprire un vasto fronte di forze progressiste con diversi orientamenti politici e diverse provenienze etniche che si sfidano ma rimanendo sotto un’unica, grande tenda, e riconoscendo la leadership di chi ottiene più consensi dalla base democratica. Il confronto in Iowa ha mostrato un Sanders sospinto da un esercito di volontari perfino più esteso ed entusiasta di quello che lo sostenne quattro anni fa, mentre l’altro frontrunner, l’ex vicepresidente Joe Biden, benché appoggiato da molte organizzazioni — sindacati, insegnanti, pompieri — e con un vasto seguito tra i moderati, soprattutto anziani, durante la campagna è apparso appannato e incapace di suscitare entusiasmo. Il ritorno a una politica fatta di decenza e rispetto è sicuramente una necessità, ma non è un programma, né una risposta a chi chiede grandi visioni per il futuro. Nell’ultimo comizio prima del voto, nella palestra della scuola media Hiatt di Des Moines, l’entusiasmo dei fan si è spento quando Biden ha dedicato gran parte del suo discorso a ringraziare i capi delle comunità che lo appoggiano (si può vincere anche così), lanciandosi, poi, in una predica infarcita di considerazioni moraliste sul modo di fare politica. Più le solite gaffe che lo fanno apparire un candidato stanco e confuso. E anche questa debolezza che spinge i leader democratici a ipotizzare la costruzione di trappole e barriere per impedire che il partito della sinistra finisca nelle mani di un personaggio, Sanders, che democratico non è mai stato (è senatore indipendente del Vermont). Mentre i fan di Bernie (la metà di loro secondo i sondaggi) minacciano di restare a casa a novembre, il giorno delle elezioni presidenziali, se a sfidare Trump non ci sarà il loro candidato.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: Sanità, clima e tasse Le armi segrete dei dem per battere Trump
Tema: primarie democratici Usa
Dopo il comizio di Biden la piccola folla è defluita ordinatamente, con la coscienza a posto ma un mare di dubbi sulla vittoria finale. Per adesso il vincitore in Iowa rimane Trump. Nulla lascia prevedere che questo Stato agricolo del Midwest sia pronto a tornare all’ovile democratico. «Se non mi votate le vostre fattorie andranno in rovina», lancia il presidente. Il mondo agricolo per la verità ha sofferto due annidi chiusura del mercato di sbocco cinese; ora attende che si materializzino le promesse di Pechino su un boom di acquisti di soia e cereali americani. Il coronavirus potrebbe creare difficoltà impreviste. Ma l’economia nell’insieme va bene, per adesso. Che cosa può spostare voti in modo decisivo, da qui al 3 novembre? Sull’ala sinistra, il senatore del Vermont Bernie Sanders non esita a definirsi un socialista, invoca «una rivoluzione politica». Il capitalismo è insostenibile, salvo emendarlo con riforme sociali così profonde da trasformare gli Stati Uniti in una grande Svezia o Danimarca. Sanità pubblica, università gratuita e cancellazione dei debiti studenteschi, aumento del salario minimo, una garanzia federale d’impiego, smembramento di oligopoli come Amazon, Facebook e Google. Per finanziare il tutto una maxi-patrimoniale sulla ricchezza dello 0,1% di multimilionari e miliardari. All’obiezione che Trump lo demonizzerà come un vetero-comunista, Bernie risponde che la sua agenda sociale può rubare voti al presidente proprio nella classe operaia bianca fu decisiva nel 2016. Altra obiezione: quand’anche vincesse Sanders non avrà mai una maggioranza al Congresso, neppure dentro il partito democratico, per varare riforme così radicali. Sanders invoca un «grande riallineamento», cioè un terremoto politico-culturale come quello che portò al New Deal di Roosevelt; la spinta dal basso secondo lui sarà come un’insurrezione, costringerà la politica a cambiare.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Repubblica 
Autore:  Lopapa Carmelo 
Titolo: La destra europea da Meloni E il leader della Lega diserta
Tema: Meloni e la destra europea
Giorgia Meloni e Matteo Salvini costretti all’alleanza in casa e sempre più divisi e distanti in Europa. A tal punto che il premier ungherese Viktor Orbán è costretto allo slalom tra le due destre italiane, nella sua due giorni romana, per rinsaldare la trama che lo lega ormai ai sovranisti di casa nostra ancor più che ai popolari europei. Tutto accade alla vigilia del viaggio che oggi porterà la fondatrice di Fratelli d’Italia a Washington per la kermesse mondiale dei conservatori, in cui è prevista la presenza di Donald Trump, unica ospite italiana: deputati e senatori di ispirazione cristiana hanno preferito invitare lei piuttosto che il nuovo teocon nostrano. Ieri però l’uomo forte di Budapest ha incontrato il premier Giuseppe Conte, prima di raggiungere l’Hotel Plaza per presenziare al National Conservatism Conference, appuntamento del partito dei Conservatori europei del quale Meloni fa parte. Ad accoglierlo, nelle vesti di padrona di casa, proprio la deputata romana. Un faccia a faccia, poi la cena con cui si sono aperti in serata i lavori che proseguiranno oggi. Nelle stesse ore, si diffonde la notizia che Salvini, impegnato ieri a Palermo, non si presenterà oggi alla conferenza, benché il suo nome comparisse nel programma. Un incontro con Orbán il capo della Lega lo avrà, nella capitale, ma in un luogo riservato, non al Plaza: alla manifestazione che porta l’inequivocabile sigillo di Meloni e dei Conservatori europei dei quali lui non fa parte, il leghista non metterà piede.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Stampa 
Autore:  Magri Ugo 
Titolo: Da Orban a Trump: così Meloni tesse la rete “sovranista”
Tema: Meloni e la destra europea
Giorgia Meloni e Viktor Orbán si sono accomodati nel pomeriggio intorno a un tavolo dell’Hotel Plaza per ragionare di grandi scenari internazionali. Meloni giura di non avergli chiesto se si unirebbe a Fratelli d’Italia nel gruppo dei Conservatori, casomai quest’oggi il partito di Orbán (Fedesz) venisse cacciato in malo modo dal Partito popolare europeo. Non gliel’ha domandato perché sa benissimo che l’espulsione è nell’aria, sì, ma prima di un anno non diventerà esecutiva e nel frattempo molte cose potrebbero cambiare. È pure consapevole che Orbán, per quanto spinto ai margini del Ppe, ci penserà due volte prima di abbandonare un club esclusivo dove circola quasi la metà dei capi di Stato e di governo Ue, incominciando dalla cancelliera Angela Merkel. Insomma, per il momento ciascuno rimarrà a casa propria, Meloni tra i Conservatori e Orbán tra i Popolari. Però intanto ieri si è consolidato un rapporto che potrà tornare ottimo in futuro, se e quando i “sovranisti” riusciranno a prendere il controllo dell’Unione: dovranno saper difendere i propri interessi nazionali, «sempre però restando in amicizia», assicura Giorgia. Un embrione di nazionalismo solidale. Il colloquio è caduto proprio alla vigilia del viaggio che Meloni ha in programma domani e giovedì a Washington. Trascorrerà due giorni da sepolta viva, col cellulare spento, in un congresso di parlamentari ultra-conservatori americani, dominati dalla destra religiosa che detesta Papa Bergoglio (sebbene Giorgia si guardi bene dall’attaccarlo). Il sacrificio verrà forse premiato da una stretta di mano con Donald Trump, che interverrà al congresso, e pure questa “photo opportunity” contribuirà a elevare la statura di Giorgia, a trasformarne poco per volta l’immagine da generosa e combattiva “fascia” di Garbatella in un potenziale primo ministro alternativo a Salvini.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Santevecchi Guido 
Titolo: «Il panico colpa degli Usa» – E Pechino ora accusa gli Stati Uniti «Avete creato e diffuso il panico»
Tema: coronavirus

Cambia routine, per il virus, anche il Ministero degli Esteri di Pechino: ora gli incontri quotidiani con i corrispondenti della stampa straniera si svolgono solo su WeChat. E nell’informativa online, la portavoce diplomatica Hua Chunying ha preso di mira gli Stati Uniti. «Gli americani hanno creato panico e lo hanno diffuso senza sosta», ha scritto Hua. E ancora: «Dagli Stati Uniti non è arrivato alcun aiuto sostanziale». «In questa circostanza i Paesi dovrebbero lavorare insieme, non sfruttare le difficoltà altrui». Il virus della geopolitica è in piena diffusione. Mike Pompeo sostiene che Washington in realtà coopera, mandando aerei a Wuhan per recuperare americani e altri stranieri bloccati nel ground zero dell’epidemia. Pechino risponde che gli americani sono stati i primi a chiudere il loro consolato a Wuhan e andarsene, accrescendo il senso di panico internazionale. E gli Usa sono stati anche i primi a vietare l’ingresso a qualunque cittadino cinese, per motivi sanitari. La Grande Muraglia sanitaria umilia Pechino, che la percepisce anche come un modo di saldare qualche conto in sospeso. La stampa cinese si è sdegnata per l’osservazione di Wilbur Ross, segretario al Commercio Usa: «Il virus è un motivo di riflessione in più per il mondo del business, può essere un’opportunità di riportare posti di lavoro in America». Ma la nuova Muraglia anti-virus è stata alzata subito anche da un Paese alleato come la Russia, che ha chiuso i varchi terrestri lungo 4.300 chilometri di frontiera. E ha sigillato il confine la Nord Corea, nonostante la Cina sia il grande padrino che salva da 70 anni il regime dei Kim dal collasso economico.
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

Testata:  Stampa 
Autore:  Beccaria Gabriele 
Titolo: Intervista a Pier Luigi Lopalco – “Contagi, dati falsati Potrebbero essere almeno 150 mila” – “Numeri dei contagi falsati Potrebbero essere 150 mila ma la letalità è molto bassa”
Tema: coronavirus
Prendete gli ultimi dati sui contagi da coronavirus, moltiplicateli per 10 e avrete un’approssimazione di ció che sta avvenendo in Cina: 150 mila casi. Ma, per quanto contraddittorio possa sembrare, è assurdo farsi prendere dalla psicosi. I numeri possiedono logiche sotterranee che spesso ci sfuggono. Pier Luigi Lopalco è professore di Igiene all’Università di Pisa ed è uno specialista in tema di virus ed epidemiologia. È la persona giusta per guidarci nel labirinto delle cifre. Professore, quanto è grave l’emergenza in Cina? Dove sta la verità? «Ci sono molte cifre disponibili, con gradi diversi di attendibilità. Il numero delle vittime, prima di tutto. Si tratta di chi è morto in ospedale, ma ci sono anche i casi di chi è deceduto a casa e tutti quelli non denunciati. Secondo: ci sono i casi gravi di chi è stato ricoverato, ma siamo sicuri che siano soltanto quelli? L’ospedale di Wuhan è saturo e infatti ne sono stati costruiti altri due. Terzo: ci sono le forme più lievi, che sfuggono a qualunque conteggio. Ecco perché è ragionevole affidarci alle simulazioni attraverso i modelli matematici». Che cosa rivelano i modelli? «Che è presumibile dover moltiplicare per 10 i dati ufficiali dell’Oms. Con il coronavirus siamo di fronte a una malattia nuova e non è noto quanti kit di laboratorio per la sua identificazione siano disponibili in Cina. Questo numero, insieme con la limitata disponibilità dei letti negli ospedali, rappresenta una delle variabili che fanno salire il conteggio dei possibili contagi a 150 mila. Alla base dei calcoli esiste, perciò, un’incertezza  tecnica non politica». La gestione dell’emergenza da parte del regime è da promuovere o bocciare? «Dopo i ritardi iniziali da parte di Pechino, ora l’Oms si dichiara confidente che non si stia nascondendo nulla: d’altra parte mettere in quarantena un’area così vasta come quella di Wuhan è un’iniziativa senza precedenti».
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

PRIME PAGINE

IL SOLE 24 ORE
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

CORRIERE DELLA SERA
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

LA REPUBBLICA
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

LA STAMPA
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

IL MESSAGGERO
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

IL GIORNALE
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

LIBERO QUOTIDIANO
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

IL FATTO QUOTIDIANO
Leggi l’articolo da: PC/Tablet   SmartPhone

SCARICA L'APP