In evidenza sui principali quotidiani:
– Covid-19: avanti con la campagna vaccinale, poi maggiori libertà e riaperture;
– Caso Fedez: agitazione tra i partiti su organizzazione e nomine Rai;
– Pnrr: verso una riforma fiscale incentrata sulla revisione dell’Irpef;
– Recovery Plan: la ripresa è vicina, per la Bce importante il contributo dell’Italia;
– G7: a Londra Ministri degli Esteri, sul tavolo misure contro la propaganda russa e cinese;
– Elezioni giunta regionale di Madrid: la destra punta sulla “Presidenta” Isabel Díaz Ayuso.
PRIMO PIANO
Politica interna
Testata: Corriere della Sera
Autore: Caccia Fabrizio
Titolo: «In arrivo 42 milioni di vaccini entro giugno»
Tema: Campagna vaccinale anti-Covid
Il commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo guarda oltre, lui sta già pensando a promuovere nei prossimi mesi le «vaccinazioni anche nelle scuole, come si faceva una volta negli anni Settanta», contro il vaiolo. Lo ha annunciato ieri, il generale, intervenendo all’inaugurazione del nuovo hub vaccinale di Porta di Roma. Vorrebbe dire, davvero, dare l’accelerata definitiva all’operazione Italia Covid Free. Intanto, passo dopo passo, per due giorni di seguito (517 mila il 29 aprile, 508 mila il 30 aprile) è stata superata la soglia delle 500 mila dosi quotidiane. Ma buono è anche il dato del primo maggio: 419 mila 280 punture, un record considerando il giorno festivo. II 25 aprile, per dire, le iniezioni furono poco più di 265 mila. Così, dall’inizio della campagna, a fine dicembre, siamo arrivati oggi a 20.652.663 dosi somministrate (a 11.764.743 donne e 8.887.920 uomini) cioè 1’83,7% del totale di quelle consegnate alle Regioni, finora 24.689.260. Circa 4,5 milioni di dosi, quindi, sono ancora «in cassa» e «prontamente disponibili». E gli italiani immunizzati, cioè che hanno ricevuto già prima e seconda dose, hanno superato ieri quota 6 milioni (6.221.316). Ma il bello deve ancora venire. «A maggio – dice Figliuolo – riceveremo altri 15-17 milioni di dosi (altri 25 milioni poi entro giugno, ndr). Solo tra il 5 e il 7 maggio arriveranno oltre 2,1 milioni di dosi Pfizer e tra il primo maggio e ieri ne sono arrivati altri 3 milioni. L’Italia ce la farà e in fretta ma ora non dobbiamo passare dai Mi-Vax, i saltafila, ai No-Vax delle classi più giovani…».
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Testata: Stampa
Autore: Russo Paolo
Titolo: Silvio Brusaferro: “Vacciniamo più di metà popolazione poi potremo avere maggiori libertà”
Tema: Intervista al Presidente dell’ISS
Il professor Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss e portavoce del Cts, traccia la linea oltre la quale potremo riacquisire un’altra buona fetta di libertà. Nonostante le varianti. Professore, l’Rt sia pure di poco è aumentato invertendo la tendenza, nonostante ci siano più vaccinati rischiamo ancora un colpo di coda dell’epidemia? «Siamo in una fase di transizione delicata, di decrescita lenta ma costante della diffusione del virus. Per evitare che la curva torni a crescere serve intervenire a tre livelli: primo, continuare avaccinare al ritmo sostenuto di questi ultimi giorni; secondo, monitorare bene la situazione e intervenire localmente dove necessario; terzo, ma non certamente ultimo, fino a che non avremo un maggior numero di immunizzati continuare ad adottare comportamenti di prudenza per non essere poi costretti ad adottare nuove misure restrittive». A proposito di comportamenti, cosa direbbe a quei 14 milioni di italiani che hanno ricevuto solo la prima dose di vaccino? «Di continuare ad essere prudenti. Prima di tutto perché occorrono non meno d i due-tre settimane prima che si formi una prima risposta immunitaria che si completa dopo la seconda dose. Mascherine e distanziamento serviranno ancora fino a che larga parte della popolazione non sarà vaccinata, perché anche chi è immunizzato non può escludere il rischio di contagiare chi non lo è». Con quali valori si può pensare di allentare nuovamente le misure, magari partendo dal coprifuoco? «Prima di tutto occorre mantenere l’Rt sotto la soglia di sicurezza di 1. Poi ridurre ancora la pressione sui servizi sanitari e avvicinarsi a quella soglia dei 50 casi settimanali ogni 100 mila abitanti che consente di riprendere un sistematico tracciamento dei casi. Fino a che non avremo gran parte della popolazione vaccinata servono prudenza e progressività».
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Di Caro Paola
Titolo: Caos in Rai sulle parole di Fedez Pd e M5S attaccano i vertici
Tema: Rai, il caso Fedez
È un terremoto politico con epicentro l’Auditorium, perché è là che in questo Primo maggio si tiene il Concertone per la Festa dei lavoratori. E fa traballare il mondo politico, la maggioranza e la Rai, scossi dai principali protagonisti della contesa e da un tema forte: Fedez, Salvini e il ddl Zan contro l’omostransfobia. I fatti: sabato pomeriggio, quando si sparge la notizia che il cantante-influencer farà dal palco un intervento in difesa del provvedimento che estende il reato di propaganda e istigazione a delinquere a «motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere o sulla disabilità», Matteo Salvini – che si oppone al testo – protesta e minaccia reazioni. Fedez, dal palco, denuncia allora il tentativo di censura della Rai ai suoi danni e in tre minuti elenca uscite omofobe violentissime di esponenti della Lega, chiedendo l’approvazione della legge. Entusiasmo incon tenibile sul social e in rete, smentite della Rai che nega censure. Qui, il colpo di scena: il cantante nella notte diffonde il video della sua telefonata con l’organizzatore della società di produzione del concerto Massimo Bonelli e con la vicedirettrice di Rai3 IIaria Capitani che cercano di convincerlo ad evitare di pronunciare un discorso tanto incandescente. Ma la Rai replica: «L’audio non corrisponde, è stato tagliato». II giorno dopo, esplode la polemica politica. Perché fin dal mattino Pd, M5S e Leu uniti scendono in campo in difesa di Fedez e del ddl e contro la Rai che deve scusarsi, chiarire e anche essere riformata. Enrico Letta, segretario del Pd ringrazia Fedez per aver rotto «il tabù» per cui, in pandemia, non si possa «parlare di diritti». E dopo aver ricordato che è del Pd la paternità del ddl Zan, dice di aspettarsi «parole chiare dalla Rai, di scuse e di chiarimento». Con lui il ministro del Lavoro Andrea Orlando, che attacca una Rai che si «autocensura». Ma ci sono anche Leu, SI, Italia viva e tutto II M5S, da Luigi Di Maio a Giuseppe Conte: «Sto con Fedez» premette l’ex premier, prima di proporre a tutti i partiti di riformare assieme la Rai «e sottrarla alle Ingerenze politiche».
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Baccaro Antonella – Guerzoni Monica
Titolo: Il retroscena – La sfida di Letta agli alleati: fuori i parlamentari dal cda della tv pubblica
Tema: Rai, il caso Fedez
Fuori i partiti dalla Rai. II giorno dopo il polverone sollevato dalle dichiarazioni del rapper Fedez sulla censura preventiva subita al concertone del 1° maggio, il leader del Pd, Enrico Letta, invoca «un cambio di passo, una fortissima discontinuità» nelle imminenti nomine dei componenti del consiglio di amministrazione Rai. Come? Lasciando fuori dal cda parlamentari in carica o ex. «II criterio sia il curriculum», è la sfida «forte e ambiziosa» lanciata alle altre forze politiche. E per questo serve che il premier Mario Draghi e il ministro dell’Economia, Daniele Franco, siano «sulla stessa Iinea». Del resto, Letta legge la polemica di queste ore come «l’ennesima conferma del fallimento della gestione Rai». Questa settimana saranno resi noti i nomi dei candidati al cda, i cui curricula sono stati depositati alle Camere. La legge vigente assegna a queste la prerogativa di scegliere, dall’elenco, quat tro componenti. Altri due membri, scelti dalla medesima lista, sono individuati dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Economia: tra questi c’è l’amministratore delegato. L’ultimo membro è scelto dai dipendenti Rai. L’indicazione di Letta spiazza dunque i candidati «politici», già compresi in quei curricula, che alcuni partiti si apprestavano a sostenere. E mette il turbo all’ipotesi che almeno i prossimi vertici possano essere tecnici. Negli scorsi giorni si è parlato di Tinny Andreatta o Paolo Del Brocco, come ad, e Ferruccio de Bortoli o Paola Severini Melograni, come presidente. Ma ieri si è registrata anche la richiesta dell’ex premier Giuseppe Conte, leader in pectore del M5S, di «riformare la governance della Rai», tenendo fuori i partiti, tramite una fondazione. Che, forse non a caso, è quanto contenuto in una proposta di legge del Pd, rilanciata ieri dal suo primo firmatario: il ministro del Welfare, Andrea Orlando, rimasto vicino a Conte. «E se passassimo ai fatti? – commenta il leader del sindacato Usigrai, Vittorio Di Trapani -. I partiti che ieri si sono indignati chiedano la calendarizzazione immediata dei disegni di legge che cambiano la governan ce Rai». Gli attuali vertici Rai, di cui alcuni partiti hanno chiesto le dimissioni, si sono difesi addossando la responsabilità della lamentata censura alla iCompany, organiz7atrice del concerto: «In Rai non esiste e non deve esistere nessun “sistema” e se qualcuno – ha detto l’ad Fabrizio Salini – parlando in modo non appropriato per conto e a nome della Rai, ha usato questa parola mi scuso».
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Testata: Repubblica
Autore: Cuzzocrea Annalisa
Titolo: Fico “Basta lottizzazione anche i 5S hanno sbagliato Sui diritti serve uno scatto”
Tema: Rai: intervista al Presidente della Camera
Roberto Fico spera che sul terreno dei diritti «questa legislatura possa fare uno scatto ulteriore e forte». Ma quel che è successo al concertone del Primo maggio, la polemica scaturita dalle accuse alla Rai del cantante Fedez, deve servire – secondo il presidente della Camera – a fare una riflessione ulteriore. «La cultura della lottizzazione deve essere superata sia dentro la Rai che fuori. Nelle stanze dei partiti come in quelle dei tg. Altrimenti, le dichiarazioni di queste ore sono inutili». Presidente, cosa intende per cultura della lottizzazione? «Purtroppo le nomine dei direttori dei telegiornali o dei direttori di rete vengono ratificate dal consiglio di amministrazionedella Rai, ma sono fatte fondamentalmente in altri luoghi. Derivano da accordi tra i partiti di maggioranza che in quel momento storico sono al governo. E questa cosa non è in alcun modo cambiata fino a oggi». Dirigenti che spesso vengono definiti più re alisti del re. Che Tutti dicono di voler liberare l’azienda dalla politica: allora facciamolo. Ora ci sono le nomine per il prossimo cda, scegliamo persone autonome e competenti vigilano perché i programmi di cui si occupano non diano troppo fastidio. Accade da sempre, nessuno fa nulla. Crede che oggi possa essere diverso? «È la realtà dei fatti e nessun partito fino a oggi si è sottratto. Nessuno escluso, sono il primo a dirlo. Ecco perché una discussione di questa portata è importante adesso. È molto interessante ascoltare tutti i propositi pubblici dei politici, sentir dire loro che la Rai deve finalmente essere libera dalle mani dei partiti. Ne approfitto per dire: facciamolo. Facciamolo adesso, nei giorni in cui ci sono le nomine del prossimo cda sulla base di una legge che io ritengo sbagliata, ma che il Parlamento in questi anni non è stato in grado di modificare». «C’è tutto il tempo per fare una riforma della governance del sistema radiotelevisivo pubblico, entro la fine della legislatura. I modelli sono tanti, io ho proposto un avviso pubblico di gara che parte dall’Agcom, con una riforma del sistema di nomine. Ci sono requisiti in positivo e in negativo per chi può candidarsi nel cda. E c’è il sorteggio, con successivo controllo parlamentare. In più, vengono fissati una serie di criteri a garanzia di indipendenza e imparzialità. Ma possiamo fare tutte le leggi del mondo, anche sul modello della Bbc con un trust, senza che nulla cambi se non ci decidiamo a cambiare noi. Sei partiti non aiutano, venir fuori da situazioni come queste è impossibile. L’obiettivo deve essere l’autonomia dei vertici perché la Rai possa fare il suo percorso nel rispetto dei cittadini con il controllo parlamentare».
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Testata: Stampa
Autore: Lombardo Ilario
Titolo: Conte, sfida a sinistra un piano per il lavoro e stop ai licenziamenti
Tema: Il piano dell’ex premier Conte per il M5S
Un programma di otto punti sul lavoro: in cima una rimodulazione del blocco dei licenziamenti. Non la sua cancellazione tout court, ma una sua applicazione più flessibile. E ancora: lotta al precariato delle nuove categorie di dipendenti che nemmeno esistevano al tempo dello Statuto dei lavoratori. Dopo un silenzio lungo settimane, Giuseppe Conte è tornato attivissimo. A giudicare dai post che ha pubblicato nel week end del Primo maggio infiammato dalle polemiche sulla Rai, l’ex presidente del Consiglio ha voglia di inserirsi nel dibattito pubblico senza più aspettare l’incoronazione a leader del M5S. La battaglia con Davide Casaleggio, deciso a non consegnare il database degli iscritti della piattaforma Rousseau, rischia di finire davanti a un giudice e di trascinare il Movimento in un limbo di straziante attesa. Una complicazione che rischia di marginalizzare i grillini. Anche per questo Conte sta cercando un suo spazio nella prima fila occupata dai leader dei partiti di maggioranza. E così, mentre chiede di affidare la governane Rai a una fondazione libera dai partiti, nel giorno della festa dei lavoratori lancia otto proposte che, a suo dire, serviranno anche da base per costruire l’alleanza progressista con il Pd e la sinistra. Il primo guarda decisamente verso quella parte politica: Al blocco dei licenziamenti va graduato in base all’andamento effettivo del piano vaccinazioni e ai segnali di ripresa della competitività del nostro sistema produttivo». Conte rivendicai dati illustrati da Bankitalia, secondo i quali la misura introdotta dal suo governo nella fase più violenta della pandemia «ha contribuito a salvare 400 mila posti di lavoro». Sarà interessante capire a questo punto quale potrebbe essere la reazione del premier Mario Draghi, che proprio sul blocco ha avviato una valutazione, stretto tra il martellamento delle imprese e quello dei sindacati che chiedono la proroga. Negli altri sette punti della sua prima bozza di programma, Conte propone il riscatto gratuito degli anni di laurea per i più giovani, fondi e agevolazioni per l’imprenditoria giovanile «nelle aree più svantaggiate del Paese, al Sud ma anche nelle aree interne e montane del Centro e del Nord», e lo sgravio contributivo al 100 per cento per le donne che rientrano da una gravidanza.
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Testata: Messaggero
Autore: Ajello Mario
Titolo: Meloni: «Fondi e poteri per Roma Ora il governo faccia la sua parte»
Tema: Intervista alla leader di FdI Meloni
Giorgia Meloni si aspettava di più o di meno dal governo Draghi? «Francamente penso che molti italiani che avevano creduto bastasse Draghi per dare la svolta dopo la pessima stagione di Conte siano rimasti delusi. Noi dal primo momento abbiamo evidenziato come non sarebbe bastato un premier, per quanto certamente più credibile di Conte, a modificare un assetto parlamentare in cui è la sinistra che la fa da padrone. E infatti il risultato è stata una sostanziale continuità nelle scelte e nelle politiche. Nonostante Draghi debba fare i conti con un Parlamento in mano a Pd e M5S, avrebbe però potuto imporre delle scelte più coraggiose di quelle fatte finora in ambito di contrasto alla pandemia, ma anche di sostegno al nostro tessuto produttivo». Ci si sarebbe aspettati, dall’unico patito di opposizione, che avrebbe aizzato e guidato le piazze. Non è che questo compito se lo sta prendendo la Lega e non voi con il rischio di sentirvi scavalcati? «Abbiamo annunciato un’opposizione patriottica ed è quello che stiamo facendo. Critichiamo aspramente i provvedimenti su cui non siamo d’accordo, difendiamo la democrazia parlamentare dal tentativo costante di esautorare le Camere, portiamo le nostre proposte per uscire dalla pandemia e dalla crisi economica. Lo facciamo difendendo dall’opposizione le idee e i programmi del centrodestra che, nonostante gli sforzi dei nostri alleati, sono quasi sempre marginalizzati nell’agenda di questo governo. Se oggi si è messo in discussione il coprifuoco ed è stata resa evidente l’inadeguatezza di Speranza è grazie alle iniziative parlamentari di Fratelli d’Italia. Continueremo a farlo. A noi non interessa aizzare le piazze o cavalcare lo scontento. FdI si batte per dare voce a imprese, lavoratori, cittadini che non si sentono ascoltati dall’attuale maggioranza. Ciò non toglie che quando lo abbiamo ritenuto giusto siamo anche scesi in piazza, come sull’iniziativa contro il coprifuoco».
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Sarzanini Fiorenza – Bianconi Giovanni
Titolo: Magistrati indagati e liste dei nomi Le verifiche sulla «loggia Ungheria»
Tema: La “Loggia Ungheria”
Un’associazione segreta in grado di condizionare nomine e affari oppure una gigantesca macchina del fango alimentata da dossier e file audio. E questo il nodo che dovrà sciogliere la Procura di Perugia titolare dell’inchiesta sulla loggia «Ungheria», descritta in oltre dieci verbali dall’avvocato Piero Amara, condannato e inquisito per i depistaggi contro l’Eni e svariati episodi di corruzione in atti giudiziari. Una presunta consorteria della quale – sostiene il legale che prova a trasformarsi in una sorta di «pentito» – farebbero parte politici, magistrati, vertici delle forze di polizia, avvocati e imprenditori. Ma sulla quale mancano ancora riscontri, a partire dalla lista degli affiliati, l’eventuale sede degli incontri, gli accordi illeciti tra gli iscritti. Amara è stato interrogato a più riprese dai magistrati di Milano e già due volte da quelli di Perugia guidati dal procuratore Raffaele Cantone. Tornerà nei pro ssimi giorni e sarà richiamato anche il suo socio Giuseppe Calafiore (altro avvocato già condannato) che ha annunciato la volontà di collaborare. Magistrati indagati Amara è stato iscritto nel registro degli indagati di Perugia per associazione segreta. L’inchiesta riguarda anche alcuni magistrati di cui ha fatto i nomi, nei confronti dei quail sono state avviate verifiche. Accertamenti che si intrecciano con quelli avviati a Roma per scoprire chi e perché, sei mesi fa, abbia cominciato a diffondere con spedizioni anonime quei verbali che ll pubblico ministero milanese Paolo Storari (uno degli assegnatari del fascicolo su Amara) aveva consegnato all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Tra questi quello recapitato al componente del Csm Nino Di Matteo, con le accuse nei confronti del suo collega Sebastiano Ardita, che l’ex pm antimafia ha già bollato come «palesemente calunniose, perché la loro falsità è facilmente riscontrabile; si tratta di un vero e proprio dossieraggio volto a screditare Ardita e a condizionare l’attività del Csm». La lista con i nomi L’intrigo comincia nel 2019 quando Amara, assistito dall’avvocato Salvino Mondello, comincia a parlare con i magistrati milanesi e dichiara di avere «una lista di 40 nomi che fanno parte della loggia “Ungheria”».
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Testata: Stampa
Autore: Colonnello Paolo – Salvaggiulo Giuseppe
Titolo: Il retroscena – Indagine a Brescia Mattarella giovedì sarà al Csm
Tema: La “Loggia Ungheria”
Mentre il capo dello Stato Sergio Mattarella si appresta a tornare al Csm di cui è presidente di diritto, a poco più un mese di distanza dall’ultima visita, lo scandalo della diffusione illecita dei verbali e del dossieraggio anonimo intorno alla presunta loggia segreta Ungheria «rivelata» dall’avvocato d’affari Piero Amara registra la discesa in campo di un’altra Procura. Dopo Milano, Roma e Perugia, anche Brescia si appresta, entro questa settimana, ad aprire un’inchiesta «a largo raggio», ricostruendo sia i motivi e le eventuali responsabilità dei conflitti nella Procura di Milano, sia l’intera filiera della circolazione sotterranea dei verbali lungo un asse che coinvolge diverse istituzioni «da Milano a Roma». In primo luogo, dunque, l’inchiesta di Brescia (competente sui magistrati milanesi) ricostruirà l’uso che il pm Paolo Storari fece, nella primavera 2020, dei verbali (segretati) di Amara, portandoli all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Ma non trascurerà le molteplici interlocuzioni (anche scritte) tra lo stesso Storari e il procuratore di Milano Francesco Greco, a proposito delle dichiarazioni di Amara su cui il pm voleva immediatamente aprire un fascicolo per verificarne l’attendibilità. La Nei veleni Ermini intravede “manovre di destabilizzazione” per sciogliere il Csm Procura di Brescia dovrà valutare se nel comportamento di Greco, supportato dai due aggiunti Pedio e Romanelli, si possa configurare un’inerzia colpevole a danno della tempestività delle indagini sulla presunta loggia. È questa la tesi ancora oggi proclamata da Storari («Per sei mesi non si è fatto nulla») e che allora lo indusse a rivolgersi all’amico Davigo per concordare una strategia di «autotutela» e una mossa utile a smuovere la situazione. Così nacque l’idea di consegnargli i verbali di Amara, per investire della questione il Csm, sia pure in modo informale se non irregolare.
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Economia e finanza
Testata: Sole 24 Ore
Autore: Mobili Marco – Trovati Gianni
Titolo: Nuovo Fisco: i nodi Irpef, casa, flat e sconti
Tema: Verso la riforma fiscale
La tassa piatta delle partite Iva è un’incompiuta, perché l’entrata in vigore del secondo modulo per alzarla fino ai ioomila euro di fatturato è stata bloccata nel 2019 dal cambio di governo. La riforma del Fisco promessa dal Recovery Plan la dovrà mantenere invariata, ampliare o cancellare? La riforma del Catasto è un progetto, già definito e parcheggiato in un cassetto ministeriale da quando cinque anni fa l’allora premier, Matteo Renzi, bloccò il decreto attuativo della vecchia delega fiscale sulla soglia del consiglio dei ministri. Andrà ripescata o abbandonata? La tassazione per cassa degli autonomi è un’idea, sviluppata in particolare dal direttore delle Entrate Ernesto Maria Ruffini. Va sviluppata, corretta o abbandonata? La riforma della giustizia tributaria vorrebbe farla officiare da magistrati dedicati, superando l’ormai insostenibile ruolo cadetto che la assegna ai ritagli di tempo di magistrati ordinari e pro fessionisti. È ora di passare ai fatti o è meglio soprassedere per non infastidire chi oggi decide (e arrotonda il proprio reddito) nei processi sul Fisco? Le risposte a queste domande per ora si celano nelle riflessioni interne dei partiti. E sono tutte diverse fra loro. Perché sul tema in questi mesi la politica si è potuta dedicare soprattutto all’ascolto delle tante voci di istituzioni ed esperti che hanno offerto i propri contributi nell’indagine conoscitiva sulla riforma avviata a gennaio dalle commissioni Finanze di Camera e Senato. L’ascolto è attività nobile, e poco praticata dalla politica. Ma il suo tempo è praticamente esaurito. A imporre il cambio di passo è il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha promesso la legge delega sulla riforma del Fisco entro luglio. In un calendario che fa delle tasse il terreno di verifica sulle sorti complessive della ricostruzione italiana. La voce di Bruxelles sull’argomento diventerà pubblica venerdì prossimo, quando alle commissioni Finanze sarà ascoltato il commissario all’Economia Paolo Gentiloni. La sua audizione è il primo movimento del gran finale che poi vedrà l’intervento del ministro dell’Econo mia Daniele Franco e che dovrà sfociare nel documento finale entro giugno. Passaggio non banale perché il governo nel Pnrr ha indicato quel documento come prima base della legge delega da scrivere entro luglio e da affidare poi alla «commissione di esperti» per i decreti attuativi.
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Testata: Repubblica
Autore: Boeri Tito – Perotti Roberto
Titolo: La riforma dell’Irpef non basta Troppe scappatoie per le società
Tema: Verso la riforma fiscale
Il Pnrr contempla una riforma fiscale incentrata sulla revisione dell’Irpef. Una legge delega è prevista entro luglio. Ma perché limitarsi all’Irpef? Le imposte sugli individui e sulle società sono inestricabilmente collegate. Chi ha accesso alla forma societaria (tipicamente i più ricchi) ha ancora accesso a tanti modi di ridursi più o meno legalmente il carico fiscale, come dimostriamo sotto. L’amministrazione Biden ha dato un impulso alla riforma della tassazione societaria con la proposta di innalzare l’aliquota domestica e di introdurre una minimum tax uguale in tutto il mondo per le imprese più grandi, per eliminare gli incentivi a spostare profitti nei paradisi fiscali. L’accoglienza a parole positiva da quasi tutti i Paesi è incoraggiante. Ma non illudiamoci: il cammino è lunghissimo e il risultato non è garantito. E in ogni caso, se e quando andrà in porto, questa riforma non risolverà i problemi de lla tassazione societaria in Italia. Finché un reddito rimane all’interno di una società, cioè non è distribuito in dividendi o tramite il riacquisto di azioni proprie, viene tassato con l’aliquota del 28%, includendo l’Irap (l’aliquota effettiva è inferiore, la più bassa tra i paesi del G7 Ci sono molti modi per eludere le tasse e le norme esistenti si possono aggirare dopo il Regno Unito come mostra la tabella). Quando poi il reddito viene distilbuitoal socio si paga il 26%. Quindi il socio paga circa il 48% (tecnicamente, il 28% più il 26% del 72%) sul reddito percepito da una società. Questo sembrerebbe più dell’aliquota massima dell’Irpef, del 43%. Ma ci sono molti modi per pagare meno, e in alcuni casi molto meno. Il modo più semplice consiste nell’utilizzare gli utili non distribuiti dalla società, e quindi tassati solo al 28 per cento, per spese di natura personale (personale di servizio, immobili destinati a residenza o vacanze, barche, etc.), che i comuni mortali devono invece sostenere con mezzi propri, interamente tassati. E’ vero che ci sono norme antielusive: l’articolo 65 del Tuir sulla tassazione dei beni destinati ad attività estranee all’attività dell’impresa o la legge 148 del 2011 che prevede un corrispettivo di mercato per i beni d’impresa concessi ai soci o ai loro familiari. Il problema è che queste norme non sono di facile applicazione.
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Testata: Messaggero
Autore: Jerkov Barbara
Titolo: Paolo Gentiloni – «L’Italia cresce più del previsto»
Tema: Intervista al Commissario Ue agli Affari economici
Ottimista. Così si è detto l’altro giorno Paolo Gentiloni, commissario Ue agli Affari economici, commentando sui social i dati relativi alle previsioni di crescita dei principali Paesi europei. Davvero il peggio è alle spalle e l’Europa torna a crescere, presidente Gentiloni? «Parlavo di ottimismo nel commentare dei dati ancora negativi, nel senso che abbiamo avuto sia nel quarto trimestre dell’anno scorso che nel primo trimestre di quest’anno, un lievissimo segno meno: 0,5% di crescita negativa. Ricordavo tuttavia che la ripresa è in atto e sarà particolarmente forte nella seconda metà dell’anno. Quindi per rispondere alla sua domanda: sì, si torna a crescere. La reazione molto veloce e forte delle istituzioni Ue e di conseguenza dei singoli Paesi, ha attutito le conseguenze di un 2020 drammatico per l’economia reale. Naturalmente dietro questi numeri ci sono ferite sociali molto gravi da rimarginare. Penso al lavoro di giovani e donne o a settori tuttora in crisi nel commercio, nel turismo, nella ristorazione, nella cultura. Tuttavia l’ondata è stata contenuta e io credo che il vento di ripresa potrebbe anche esser più forte del previsto. La sfida sarà la qualità di questa crescita: se sarà sostenibile e se sarà duratura, non sarà solo un rimbalzo post crisi». Possiamo azzardare dei numeri per l’Eurozona e soprattutto per l’Italia? «Nelle previsioni d’inverno della Commissione parlavamo di crescita del 3,8% per il 2021 e 2022. Presenterò le nuove previsioni di primavera tra una decina di giorni e credo che potrebbero essere anche migliori. L’Italia? Potrebbe avere un buon livello e godere in particolare di una ripresa forte. Però, ripeto, il tasso di crescita è importante: il Fmi ha parlato per l’Eurozona di un tasso di crescita superiore al 4%, numeri che non vedevamo dal secolo scorso in Europa. Ma tutto ciò deve corrispondere a una economia più verde e a una crescita che non sia solo una fiammata dopo la caduta».
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Testata: Messaggero
Autore: Orsini Jacopo
Titolo: Bonomi (Confindustria): subito un patto pubblico-privato
Tema: Riforme, il Confindustria al fianco di Draghi
Serve una collaborazione tra pubblico e privato per far ripartire l’Italia. Lo dice il presidente della Confindustria, Carlo Bonomi, che punta a trovare una intesa sulla riforma degli ammortizzatori sociali. Intanto continua il pressing di Cgil, Cisl e Uil per avere un posto ai tavoli sulle riforme previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) a partire proprio da ammortizzatori sociali e politiche attive sul lavoro. E soprattutto per avere garanzie sul blocco dei licenziamenti. Domani, secondo quanto annunciato il primo maggio dal leader della Cgil, Maurizio Landini, dovrebbe arrivare la convocazione del premier Mario Draghi per avviare un tavolo con i sindacati. Il leader degli industriali ha sostenuto che è «un errore a prescindere che il pubblico non ascolti il privato. E fondamentale una grande partnership pubblico-privato se vogliamo far ripartire il Paese». Bonomi ha invitato quindi a «mettersi a un tavolo a disegnare le riforme. Pa, Gius tizia, Fisco, ne abbiamo parecchie da fare. Se vogliamo un Paese nuovo, moderno, inclusivo, noi ci siamo, possiamo dare un contributo». Il pubblico da solo con le sue risorse non basta. «Dobbiamo creare più occupazione, più Pil, e ripagare il debito. Questo si fa tutti insieme», ha avvertito il numero uno degli imprenditori italiani. «Oggi – ha continuato Bonomi parlando a Mezz’ora in più su Rai 3 – vedo che tutto quello che Confindustria ha detto negli anni, specialmente nell’ultimo periodo di pandemia, si sta realizzando. Ho sentito i sindacati dire: “Bisogna fare la riforma degli ammortizzatori sociali”. E poi: “Dobbiamo utilizzare meglio il contratto di espansione, dobbiamo azzerare i contatori sulla cassa integrazione ordinaria”. Tutti esempi di cose che noi chiediamo da mesi». Sulla cassa integrazione la mediazione possibile si basa proprio sull’azzeramento dei contatori a partire da luglio.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Fubini Federico
Titolo: Intervista a Roberto Cingolani: «Tempi certi per il Recovery O falliremo la transizione verde»
Tema: Recovery: intervista al Ministro Cingolani
Ministro, lei quest’anno presiede il G20 Ambiente e la Cop 26 per la riduzione delle emissioni nel mondo. Come si presentano i negoziati? «C’è grande consapevolezza delle sfide – risponde Roberto Cingolani, responsabile della Transizione ecologica -. Va ridotta la CO2, perché crea una coltre che fa si che la Terra, in sostanza, si comporti come un’auto al sole che si surriscalda. Bisogna evitare che la temperatura media aumenti di più di 1,5 o 2 gradi entro fine secolo. E questo non risolve il problema, lo mitiga. Se ci va bene, blocchiamo la situazione com’è. In Europa e in Italia d siamo impegnati ad abbattere le emissioni entro il 2025, ridurle entro il 2030 del 55% sui livelli del 1990 e arrivare alla completa decarbonizzazione nel 2050». L’Europa rappresenta poco più del 9% delle emissioni globali. Basterà? «Stiamo facendo un enorme sforzo tecnologico, produttivo, sociale. E supponiamo di essere del tutto decarbonizzati tra 30 anni. Basta che le grandi economie emergenti abbiano una piccola deviazione dalla loro traiettoria e il nostro 9% si vanifica». La Cina e gli altri emergenti diranno: «Vol emettere CO2 da due secoli, noi da quarant’anni. Ora tocca a noi». «È comprensibile, tuttavia la decarbonizzazione è uno sforzo collettivo a cui non tutti partecipano con la stessa intensità. Dobbiamo arrivare a un obiettivo condiviso, ma da punti di partenza oggi diversi. Per l’Italia e per l’Europa la transizione è meno difficile, perché partiamo da una buona base. Ma alternative non ce ne sono, per nessuno». L’Italia è impegnata a passare da 428 milioni di tonnellate di CO2 all’anno a zero entro il 2050. Giappone, Cina, Sud Corea, Usa hanno impegni meno stringenti. Non sarà a costo zero per noi… «No, il costo è elevatissimo».
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Testata: L’Economia del Corriere della Sera
Autore: De Bortoli Ferruccio
Titolo: 248 miliardi da investire ma senza semplificare rischiamo di perderli
Tema: Recovery Plan
Il mantra è ancora una volta racchiuso nel verbo semplificare. Ma non è poi così facile. ll decreto legge detto appunto Semplificazione è del luglio 2020 poi convertito nella legge 120. Prevedeva l’avvio immediato delle opere più urgenti. I commissari straordinari sono stati nominati solo qualche giorno fa dal ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile, Enrico Giovannini. Sono occorsi molti mesi per superare i passaggi procedurali, trovare i tecnici qualificati. Oggi c’è un cronoprogramma sull’apertura dei cantieri. Lo rispetteremo? Almeno le date questa volta ci sono. Secondo l’Oice, l’Associazione delle organizzazioni di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica, nei primi sei mesi di applicazione della legge 12o del 2020, gli effetti sono stati modesti, se non negativi. L’innalzamento da 40 mila a 75 mila euro per gli affidamenti diretti non ha impresso alcuna accelerazione. Il 44 per cento degli avvisi pubblicati è ancora con richiesta di preventivi quando la stazione appaltante potrebbe scegliere direttamente il progettista tagliando i tempi. Sono raddoppiati, invece, i bandi di gara in deroga al codice per gli affidamenti sopra la soglia Ue, ovvero con il criterio del prezzo più basso e non valutando la qualità. Per gli appalti integrati – quelli su cui punta il Pnrr – si è invece registrato un forte rallentamento, indice del fatto che il committente preferisce fare gare di lavori sul progetto esecutivo non affidandolo direttamente alle aziende. Dal bando alla stipula di un contratto ci vogliono sempre 7/8 mesi. Le gare di Aspi (Autostrade), moltiplicatesi in tutta Italia dopo il crollo del Ponte Morandi, al go per cento non sono ancora concluse. «La digitalizzazione delle procedure prevista dal Pnrr – commenta Andrea Mascolini, direttore generale Oice – con le banche dati per la verifica istantanea dei requisiti è un grande passo avanti. Il contenzioso oggi è tutto lì. Positivo poi l’impegno su tempi certi per aggiudicare i contratti e sburocratizzare le procedure approvative con una vera corsia preferenziale, il vero grande ostacolo. Le opere, ricordiamocelo, vanno portate a termine entro il 2026 e dunque alla fine conterà la qualità degli staff di gestione».
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Testata: Stampa
Autore: Cottarelli Carlo
Titolo: Con i fondi del Recovery crescita assicurata ma il valore del piano si vedrà alla distanza
Tema: Recovery Plan
Il Piano vuole rimuovere le condizioni che frenano l’investimento privato in Italia attraverso appropriate riforme: la semplificazione della normativa, l’efficientamento della pubblica amministrazione e la riforma della giustizia sono le cose che le imprese richiedono da anni come condizione per investire di più in Italia. Oltre alle riforme il piano prevede un forte aumento della spesa pubblica (digitalizzazione, infrastrutture, pubblica istruzione, sanità) per rendere il paese più moderno e per arricchirne il capitale umano. Questo avrà effetti diretti sulla produttività e incoraggerà ulteriormente gli investimenti privati. Il ruolo della spesa pubblica è anche un altro: dare una spinta diretta alla domanda di beni e servizi. Insomma, il Piano agisce sia sul lato dell’offerta (la produttività) sia su quello della domanda. Scendiamo ora dalla visione a 10.000 metri a quella più vicina al terreno. Il Piano è pi&ugr ave; dettagliato di quello che ci aveva lasciato Conte («bella forza», direbbe quest’ultimo, «mi avessero dato tre mesi in più!»). Ci sono tanti dettagli, ma ne mancano ancora di importanti. Prendiamo un tema essenziale per la costruzione del nostro capitale umano e per la parità di genere: gli asili nido (un mio chiodo fisso!). Il Pnrr dice che si spenderanno 4,6 miliardi per creare nuovi posti in asili nido e in scuole dell’infanzia, senza distinguere tra i primi e le seconde, anche se è solo tra i primi che abbiamo fondamentali carenze rispetto all’Europa (fra l’altro, si dedicano a questo tema solo 7 righe, quando, subito dopo si trovano due pagine sulle palestre). Dove staranno i dettagli mancanti? Staranno certo nelle «schede» che indicano puntualmente gli obiettivi al cui raggiungimento saranno erogati i finanziamenti europei. Queste fondamentali schede non sono ancora disponibili ed è difficile valutare a pieno le azioni del Piano senza il loro aiuto. Con questo caveat, rispondo ora alla domanda cruciale. Ma funzionerà? Nell’immediato penso proprio di sì. Vedete, quando la spesa pubblica aumenta rapidamente (e, sottolineo, quando non ci sono problemi di finanziame nto), il Pil cresce nell’immediato. Finché ci sono soldi da spendere, conta più la quantità della qualità.
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Testata: Repubblica
Autore: Mastrobuoni Tonia
Titolo: De Guindos “Ripresa vicina anche la politica monetaria dovrà uscire dall’emergenza”
Tema: Recovery: intervista al Vice Presidente della Bce
Luis de Guindos, vicepresidente della Bce, parla in quest’intervista esclusiva con Repubblica dell’importanza del Recovery Plan italiano, delle virtù di Draghi, del perché un taglio del debito è impensabile e perché l’Europa dovrebbe puntare a una maggiore integrazione e agli eurobond. Soprattutto, intravede la luce in fondo al tunnel della ripresa e dell’uscita dall’emergenza, anche per la Bce. E per aziende e imprese il quadro potrebbe essere meno cupo del previsto. Le prospettive economiche della zona euro rischiano di peggiorare in uno scenario in cui continuano a moltiplicarsi le varianti del coronavirus? «Siamo in una situazione “agrodolce”. Il primo trimestre è stato più debole di quanto non avessimo previsto tre mesi fa. D’altra parte il ritmo di vaccinazione sta guadagnando slancio in tutta Europa. Ed è un’ottima notizia perché sarà il fattore che influirà principalmente sull’economia. Per ora la sti ma è che la crescita sarà intorno al 4%. Ci aspettiamo che la seconda metà dell’anno sarà molto positiva. Anche se c’è ancora incertezza. Osserviamo altrove che appena la vaccinazione accelera – pensiamo al Regno Unito, a Israele o agli Usa – la situazione si normalizza rapidamente. Spero che saremo in grado di raggiungere una situazione molto migliore già verso l’estate». Mario Draghi ha presentato un Recovery Plan da 248 miliardi con importanti riforme strutturali. E ha dichiarato che è in gioco il destino dell’Italia. Lei è stato suo vice per due anni alla Bce: secondo lei Draghi può ripristinare la fiducia in Italia? «Mario Draghi ha dato un contributo molto importante all’Europa e ora sta dando un contributo molto importante all’Italia. E il contributo principale all’Italia, per ora, è che guida un governo di unità che ha il sostegno di una maggioranza molto ampia in Parlamento. È molto importante. E il Recovery Plan per l’Italia sarà fondamentale, sarà l’elemento chiave per determinare il futuro della sua economia E penso anche che il prestigio e la reputazione di Draghi siano stati il collante per l’unità che vediamo nel Parlame nto italiano. È un ottimo segnale per tutta l’Europa».
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Testata: Repubblica Affari&Finanza
Autore: Occorsio Eugenio
Titolo: Intervista a Lorenzo Codogno – “Senza investimenti privati il Recovery non decollerà”
Tema: Intervista all’ex capo economista del Tesoro
Lorenzo Codogno, capo economista del Tesoro dal 2006 al 2015 «con sei ministri», ha fondato la sua casa di consulenza a Londra e insegna alla London School of Economics. Ne ha viste troppe per condividere il fideistico ottimismo sul Recovery Plan: nelle previsioni del suo think-tank indica un contributo alla crescita di non più dello 0,3% nel 2021 e 0,5 nel 2022. La montagna ha partorito… «II contributo alla crescita aumenterà negli anni successivi fino a più del 3% cumulato nel 2027, un risultato prudente ma non trascurabile. L’indicazione dei sette anni rappresenta il limite previsionale fissato dal multiannual financial framework in cui viene incardinato il NextGen Eu. E alcuni investimenti come la scuola avranno ritorni importanti ma su un periodo che va oltre l’orizzonte indicato. Comunque anche le stime del governo sono caute, credo su input del ministro Franco. Ma se il Pil addizionale previsto implica dei moltiplicatori di spesa modest i, vista la caratura del piano le stime possono essere superate, se ben attuato». Molto dipende dagli investimenti privati: ma se un privato non ritiene conveniente una joint-venture non la farà. Come andargli incontro? «I privati saranno attivati dal piane solo in presenza di riforme che migliorino l’ambiente imprenditoriale e facilitino lo sviluppo. Gli investimenti pubblici hanno una valenza limitata: non aumentano direttamente lo stock di capitale nell’economia. Servono da volano, vanno create le condizioni perché i privati arrivino dall’Italia e dall’estero, evitando che le risorse vengano disperse per incapacità, sprechi n altro». C’è il rischio che il sistema resti condannato a marciare con il freno a mano tirato? «In Estonia tutto è digitale, la chiamano e-Stonia. Ma è un piccolo Paese partito da zero sulle ceneri dell’Urss. Ben diverso è intervenire su un Paese con le dimensioni, la storia, la complessità dell’Italia».
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Societa’, istituzioni, esteri
Testata: Repubblica
Autore: Tito Claudio
Titolo: Bruxelles tifa per Draghi “Resti a lungo a Palazzo Chigi”
Tema: La Ue vuole Draghi
«Quando viene eletto il nuovo presidente della Repubblica?». Questa domanda, piuttosto semplice e formale, sta diventando una sorta di refrain. Ma non nei Palazzi della politica romana. Non è infatti un interrogativo che si pongono a Montecitorio o a Palazzo Madama. O a Palazzo Chigi. Appena si parla di Italia, è il quesito che accompagna tutte le conversazioni nei Palazzi di Bruxelles. Quelli che contano. Il Justus Lipsius, sede del Consiglio europeo. Il Berlaymont, che ospita la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen. E quello che da un anno – a causa del Covid – accoglie stabilmente i membri del Parlamento, in attesa di riaprire l’emiciclo ufficiale di Strasburgo. Quell’interrogativo che in un primo momento viene scandito con tono neutro, si trasforma improvvisamente in uno sguardo di allarme e preoccupazione. E questo accade non appena un interlocutore fa qualche rapido conto e risponde: «Il nuovo capo dello Stato italiano viene eletto a ge nnaio». «Del 2023?». «No, del 2022». Ecco, a quel punto i volti si trasfigurano. Pochi attimi e la curiosità evolve in paura. «Ma se è così- è il ragionamento che viene fatto da chi frequenta quei tre Palazzi – allora Draghi non pub prendere ora il posto di Mattarella. È troppo presto. Il suo lavoro non pub finire tra otto mesi». Il punto è proprio questo. Il presidente del consiglio italiano sta ricoprendo il suo ruolo esattamente nel modo in cui tutti si aspettavano e si auguravano. A Bruxelles è diventato una «garanzia». Una sorta di cambiale in bianco concessa al Paese-Italia. Ma con una scadenza implicita: sovrapposta inscindibilmente alla permanenza a Palazzo Chigi dell’ex presidente della Bce. Ovviamente ogni riflessione viene strettamente connessa al Recovery Plan. Ai documenti che sono stati spediti solo tre giorni fa alla Commissione europea e che non avrebbero ricevuto il via libera della tecnostruttura di Bruxelles se non ci fosse stata la “fideiussione” di Draghi. E ai prossimi passi che l’Italia dovrà compiere da qui al 2026.
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Testata: Stampa
Autore: Zatterin Marco
Titolo: Sassoli accusa “Putin cerca nemici ma la Ue risponderà con decisione”
Tema: Intervista al Presidente del Parlamento Ue
Presidente, lei è persona “non grata” in Russia. L’hanno bannata… «Non è un fatto personale, si colpisce il presidente per colpire il parlamento». Putin si sente minacciato. Lavrov dice che l’Europa vuole imporre il suo concetto unilaterale di ordine mondiale. «Il popolo russo merita rispetto e i suoi governanti non dovrebbero costringerlo a guardare all’Europa con diffidenza. Nessuno minaccia la Russia. Ma finora, alle iniziative europee, hanno sempre risposto gli atti di ostilità e le gravi ingerenze provocate dal Cremlino». Perché? «C’è un risvolto interessante in questa vicenda. È che le critiche con cui imputa all’Unione di avere una politica estera debole si dimostrano infondate». Cosa glielo fa pensare? «L’azione delle istituzioni europee a tutela dei diritti umani conta al punto da provocare reazioni pesanti come questa. A dispetto di quanti sottovalutano le capacità dell’Europarlamen to di incidere in politica estera, questa vicenda dimostra che le nostre prese di posizione hanno grande eco nei dibattiti interazionali. Ecco perché continueremo a sostenere con forza che Alexsey Navalny debba essere liberato». La sua detenzione si pone come rilevante elemento di frattura e contrasto. «Lo è perché ha fatto aumentare la distanza fra il potere e i cittadini, affermando apertamente che nessuna forma di opposizione è garantita in Russia. Al contrario, oggi la lotta per la sopravvivenza economica e la tutela della libertà sono due facce della stessa medaglia. Lo spiega bene Dostoevskij ne “Le notti bianche”, quando scrive che “quanto più siamo infelici tanto più profondamente sentiamo l’infelicità degli altri”. È così che sta crescendo il movimento di opposizione. Avviene sulla base di una diffusa e condivisa sofferenza sociale». Tuttavia Mosca non pare proprio disposta ad ascoltare gli appelli dell’Europa. «Avremmo bisogno di collaborazione, invece i dirigenti del Cremlino ci propongono tensioni, violenza nei confronti degli oppositori, intrusioni nei nostri sistemi democratici, intensificazione delle attività di spionaggio, fake news, mo vimenti di truppe alle frontiere orientali, sconfinamenti aerei».
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Basso Francesca
Titolo: Dal G7 sfida alle fake news russe
Tema: G7 vs fake news russe
I Paesi del G7 uniti contro le fake news di Russia e Cina. La proposta della creazione di un meccanismo rapido per contrastare uniti la propaganda e la controinformazione russa e cinese sarà sul tavolo dei ministri degli Esteri del G7, che si confronteranno a Londra da oggi a mercoledì, ed è stata anticipata dal padrone di casa Dominique Raab. E la prima riunione in presenza ormai da due anni del gruppo dei sette Paesi più ricchi del mondo. Londra vuole creare una rete di Paesi a tutela del libero mercato, dei diritti umani e della democrazia. La proposta britannica arriva a pochi giorni di distanza dalla decisione del Cremlino di vietare l’ingresso in Russia a otto cittadini europei, tra cul il presidente del Parlamento Ue David Sassoli e della vice presidente della Commissione Vera Jourová (delega ai Valori e alla trasparenza), come ritorsione per precedenti sanzioni Ue contro uomini vicini a Vladimir Putin per il caso del dissidente Aleksej Naval ny e per violazione dei diritti umani. La tensione tra Unione europea, Stati Uniti e Gran Bretagna da un lato e Russia dall’altro è a livelli altissimi. La decisione del presidente russo è stata condannata dal Segretario di Stato Usa Antony Blinken e anche da tutti gli altri membri del summit (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito). Sabato scorso il capo dello Stato Sergio Mattarella ha telefonato al presidente David Sassoli per esprimergli solidarietà. È da mesi che i Paesi occidentali denunciano interferenze russe e cinesi durante le consultazioni elettorali o su altri temi come il coronavirus. Nel giugno scorso la Commissione Ue aveva pubblicato una Comunicazione sulla disinformazione legata al Covid, in cui Bruxelles denunciava l’intervento condotto da attori stranieri e da Paesi terzi, come Russia e Cina, con l’obiettivo di sfruttare le paure generate dal coronavirus per destabilizzare le societa europee, compromettere la fiducia nelle istituzioni e diffondere un’immagine di un’Unione debole.
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Testata: Stampa
Autore: Semprini Francesco
Titolo: Il G7 studia un meccanismo contro le fake news di Mosca
Tema: G7 vs fake news russe
Un’azione cibernetica, comune e concertata, per contrastare la campagna di disinformazione con cui Mosca e Pechino puntano a minare la solidità e l’unità dell’Occidente. È questo, in sintesi, il tema in cima all’agenda dei lavori del G7 che vede riuniti a Londra i ministri degli Esteri dei Paesi più avanzati del Pianeta. I Sette esamineranno, infatti, una proposta del Regno Unito per costruire un meccanismo di risposta alla “propaganda” della Russia, spiega il titolare della diplomazia britannica Dominic Raab. Il progetto al vaglio dei ministri arriva nel momento di massima tensione tra la maggior parte dei membri del G7, Mosca e Pechino. Una tensione che ha raggiunto il suo apice con il divieto di ingresso in Russia per otto alti funzionari di Bruxelles, tra i quali il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, per rappresaglia contro le sanzioni Ue per il caso Navalny. Oltre ai rapporti assai tesi tra Washington e Mosca, con il presidente Usa Joe B iden che ha definito Vladimir Putin «un assassino». E quelli ancora molto freddi, nonostante un’apertura sul clima, che gli Usa continuano ad avere con Pechino. Proprio negli Usa un gruppo di senatori bipartisan è promotore di una legge per la creazione di una forza civile sul modello della Guardie Nazionali che combatta contro i pirati cibernetici e difenda sistemi critici da attacchi di Paesi ed enti nemici. Il lavoro che propone Londra è però più ampio e comprende anche aspetti di carattere diplomatico e geopolitico, approfittando del primo vertice che non si terrà in forma virtuale ma di persona, seppur nel rispetto di tutte le misure di sicurezza sanitaria. L’idea è creare una rete sempre più ampia di Paesi, uniti nella difesa dei mercati e della democrazia. Non è un caso che il G7 esteri di domani, così come il vertice dei leader che si terrà a luglio a Carbis Bay, sarà esteso a India, Australia e Corea del Sud come nazioni ospiti. Sul tavolo del vertice di Londra ci saranno i principali temi di politica internazionale, dall’Afghanistan al dossier iraniano, dagli sviluppi in Ucraina e Bielorussia ai Balcani Occidentali. Sarà poi il ministro Di Maio ad introdurre il tema della Libia, confermando l’impegno dell’Italia a sostegno della stabilizzazione del Paese e del Governo di unità nazionale del premier Abdul Hamid Mohammed Dbeibah che deve traghettare il Paese alle elezioni del 24 dicembre. Così come porterà sul tavolo il dossier siriano, ribadendo il supporto di Roma all’azione dell’inviato speciale dell’Onu Geir Pedersen.
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Testata: Repubblica
Autore: Oppes Alessandro
Titolo: Vox vuole Madrid L’estrema destra all’assalto del potere
Tema: Elezioni in Spagna
Da una parte la “presidenta”, Isabel Díaz Ayuso, una voce fuori dal coro nel Partito Popolare, una personalità troppo forte per sottostare alla linea di moderazione scelta dal leader Pablo Casado per recuperare l’elettorato di centro. Dall’altra la candidata dell’estrema destra di Vox, Rocío Monasterio, che di moderato nei suoi discorsi non propone nulla. Anzi, soffia sul fuoco dell’isterismo ultras presentandosi come l’unica capace di impedire “l’assalto social-comunista” al governo di Madrid. Al voto di domani per rinnovare la giunta regionale della capitale, le due signore della destra si presentano separate, ma sapendo già che, in caso di vittoria dei conservatori, il loro destino è governare insieme. Una prospettiva che non allarma Ayuso: quando il 10 marzo ha sciolto l’Assemblea regionale, l’idea era proprio quella di scaricare i centristi moderati di Ciudadanos e scegliere Vox come nuovo socio privilegiato. Se il piano andrà in porto, potremo vedere l’estrema destra al governo in una delle grandi capitali europee. Il primo a denunciare il pericolo è stato Pablo Iglesias: il leader di Podemos ha lasciato la carica di vicepremier del governo Sánchez per candidarsi alla presidenza della regione madrilena. «C’è in gioco la democrazia», diceva. E molti pensavano a un eccesso verbale, a un tentativo di entrare a gamba tesa in una campagna tutta in salita. Ma i fatti stanno confermando le sue preoccupazioni. Iglesias – che nelle parole di Ayuso “rappresenta il male” – è stato il primo di una serie di dirigenti politici a ricevere per posta macabre minacce di morte: messaggi anonimi accompagnati da pallottole. Il rifiuto di Monasterio di condannare le minacce ha ricompattato la sinistra. Iglesias ha ricevuto la solidarietà del socialista Ángel Gabilondo e di Mónica García, di Más Madrid. I tre hanno marciato insieme anche alla manifestazione del 1° maggio, assicurando che domani alle urne la battaglia è tra «democrazia e fascismo». Uno slogan al quale Ayuso contrappone la vecchia alternativa berlusconiana tra “comunismo e libertà”.
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Testata: Stampa
Autore: Olivo Francesco
Titolo: La destra punta su Madrid per dare la spallata a Sanchez
Tema: Elezioni in Spagna
Alle 18 in punto la plaza de Toros di Madrid torna a riempirsi. Non succedeva da quasi due anni. Ci sono seimila spettatori invece dei soliti 23 mila, ma il torero Ponce è molto emozionato. Sulle tribune de las Ventas però, la protagonista è un’altra: si chiama Isabel Diaz Ayuso, “la presidenta”, che, litigando con il ministero della Sanità, ha preteso che a Madrid tornasse la corrida. Il calendario d’altronde offre delle opportunità, il trionfo nelle tribune coincide con la festa di Madrid, il “dos de mayo”, nel quale si celebra la rivolta del 1808 contro le truppe napoleoniche e soprattutto con l’ultimo giorno della campagna elettorale perle regionali della Comunità di Madrid. Le urne si aprono domani, Ayuso, improvvisa stella della destra spagnola, vola nei sondaggi puntando su un inedito nazionalismo della capitale, epicentro della «libertà» (è la parola d’ordine), contro le chiusure e le restrizioni volute dalla sinistra di governo. Nei comizi gli argomenti di Ayuso sono volutamente frivoli: «Questa è una città dove magari ci si sveglia all’alba per lavorare, magari si soffre, ma poi la sera ci si ritrova con gli amici a prendere una birra», ha ripetuto spesso contrapponendo la “joie de vivre” di Madrid agli altri territori spagnoli, «libertà vuol dire che se non vuoi incontrare mai più il tuo ex, qui non lo incontri», ha spiegato. Toni scanzonati, in una città che più di ogni altra ha pagato un prezzo umano al Covid, 15 mila morti e che prima di tutte ha riaperto praticamente tutto. Il vero avversario di Ayuso è il capo del governo Pedro Sánchez: «La sua sconfitta accorcerà la sua permanenza alla Moncloa». Sánchez con tutta probabilità resterà al governo, ma non c’è dubbio che nella capitale si giochi una partita importante. Per evitare una vittoria della destra si è dimesso dal governo Pablo Iglesias, leader di Podemos, fino a un mese fa vicepremier, il quale si è buttato anima e corpo in una campagna durissima, e a tratti violenta.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Ricci Sargentini Monica
Titolo: In India 400 mila contagi al giorno Errori, raduni, negazionismo: sotto accusa è Modi
Tema: India
La pandemia in India sembra inarrestabile. Un giorno dopo aver registrato il record di casi di coronavirus, 400.000, ieri è stato segnato un nuovo triste primato: 3.689 persone morte a causa del Covid-19 secondo i dati del ministero della Sanità. I contagi, invece, sono calati di poco attestandosi a 392.488. E mentre la comunità internazionale, dalla Francia all’Italia, si mobilita per inviare aiuti, tra cui i macchinari per la produzione dell’ossigeno che è ormai introvabile nel Paese, il Bharatia Janata Party (Bjp), il partito del premier Narendra Modi, perde la sfida nelle elezioni locali in alcuni Stati chiave, incassando una bocciatura di fatto soprattutto proprio per la gestione della pandemia. In Kerala, Bengala occidentale e Tamil Nadu il Bjp non è riuscito infatti a scalzare le amministrazione uscenti, guidate dall’opposizione ed ha vinto solo in Assam dove già governava. La lunga campagna elettorale, iniziata a fine febbraio e concl usasi qualche giorno fa, è considerata dagli esperti uno dei motivi per cui l’India è passata dall’illusione di aver raggiunto l’immunità di gregge tra gennaio e febbraio, quando i contagi erano sotto i lo mila al giorno, alla situazione catastrofica odierna. In questo lasso di tempo ci sono stati i comizi oceanici svolti in cinque Stati. Il 6 aprile, per esempio, 800 mila persole hanno assistito nel Bengala occidentale a un discorso del premier Modi, e tra loro ben pochi indossavano la mascherina. Ma sono stati disastrosi anche i grandi raduni sportivi e religiosi come la sfida di cricket tra India e Inghilterra in Gujarat con oltre 130 mila tifosi ammassati e le immersioni di massa nel Gange per il Kumbh Mela che doveva durare dal 14 gennaio al 27 aprile ma è stato sospeso con dieci giorni di anticipo proprio a causa della pandemia.
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Testata: Repubblica
Autore: Pizzati Carlo
Titolo: Dai comizi ai raduni Così l’India ha ignorato l’allarme sui contagi
Tema: India
L’India oggi sprofonda in una media di 400 mila contagi al giorno, dati più bassi del reale secondo diversi studi internazionali. Il 1° marzo i nuovi contagi erano 12.186, il 1° maggio 392.488: un’impennata che fa impressione. Si è detto che è colpa della variante, di un sistema ospedaliero non pronto a uno tsunami, dell’aver abbassato la guardia perché i contagi illustravano quello che il ministro della Salute a fine febbraio definiva il «finale di partita». In verità, è emerso ieri che già ai primi di marzo un comitato scientifico ingaggiato dal governo indiano aveva segnalato all’amministrazione Modi che una nuova e più contagiosa variante stava per assalire il Paese. Allarme inascoltato. E il governo ha dato via libera ai macro-assembramenti dei comizi elettorali, festival religiosi e partite di cricket. Da gennaio ad aprile, 9.1 milioni di pellegrini sono arrivati ad Hardiwar per danzare, pregare, cantar e e fare abluzioni nel Gange al sacro festival del Kumbh Mela. E hanno portato il contagio nel resto della nazione. Intanto si dava via libera alle elezioni negli Stati dell’Assam, Tamil Nadu, Kerala, Bengala Occidentale e nel territorio di Pondicherry, con comizi così affollati che Narendra Modi si congratulava per le folle radunate. L’arroganza della politica voleva credere, nonostante il monito degli scienziati, che l’India fosse sfuggita a una seconda ondata. Perché? Per riuscire a vincere l’elezione del Bengala Occidentale, la più importante per il partito di maggioranza, il Bharatiya Janata Party. Ieri, però, la grande delusione: nello Stato che ospita Calcutta ha vinto di nuovo la nemesi di Modi, Mamata Banerjee; nel Tamil Nadu, il Bjp non ha fatto breccia; in Kerala la sinistra ha fatto il bis. Vittoria, scontata, per il Bjp, solo nell’Assam e a Pondicherry. Non è tutta colpa di questo governo. Le strutture ospedaliere statali sono sotto gli standard minimi perché negli ultimi 15 anni si è investito solo l’uno per cento del Pil nella salute pubblica. C’è un medico ogni 1.500 indiani, un infermiere ogni 600 pazienti: il doppio di quanto consigliato dall’Oms. Però la rete di distribuzion e d’ossigeno, in vista di una seconda ondata, poteva essere organizzata meglio.
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Testata: Stampa
Autore: Albanese Fabio
Titolo: Un nuovo naufragio nel Mediterraneo “Temiamo 125 morti”
Tema: Naufragio al largo della Libia occidentale
Nel Mediterraneo centrale il fine settimana del Primo maggio almeno 2mila migranti sono partiti dalla Libia e ci sono stati numerosi sbarchi, salvataggi compiuti o invocati. E morti in mare. Gli ultimi, «almeno undici», sono stati scoperti ieri mattina al largo di Zawiya, Libia occidentale, proprio la zona – regno del trafficante di uomini (per l’Onu) e ufficiale della Guardia costiera libica, Bidja – da cui in questi giorni sono partiti molti dei barconi. Il naufragio è stato denunciato dall’Oim, l’Organizzazione per le migrazioni delle Nazioni unite, ma il bilancio potrebbe essere ben più grave perché si teme che gli 11 fossero sul gommone di cui non si sa più nulla da 2 giorni e su cui c’erano circa 125 persone. La portavoce Oim in Libia, Safa Msehli, ha detto che «i corpi sono finiti a riva dopo che una barca si è capovolta al largo delle coste di Zawiya; 12 sopravvissuti sono stati trovati e riportati indietro dalla Guardia co stiera libica». La notizia del tragico naufragio, avvenuto 10 giorni dopo quello in cui sono annegati in 130, è arrivata nelle stesse ore in cui circa 95 persone, su una barca con il motore guasto, hanno lanciato una disperata richiesta di aiuto ad Alarm Phone. I migranti sono nella zona Sar (di ricerca e soccorso) libica ma Tripoli ha detto di non avere motovedette disponibili e ha chiesto assistenza all’Italia. Un rimorchiatore e una petroliera hanno raggiunto la barca ma fino a sera non erano intervenute. I migranti temono che si attenda l’arrivo dei libici, e alcuni di loro hanno detto di voler raggiungere a nuoto uno dei mercantili pur di non essere riportati in Libia. Cosa, peraltro, che in questi giorni è accaduta ad almeno altre 600 persone; da inizio anno sono ormai 7mila.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: …
Titolo: L’Iran: scambio di detenuti. Ma gli Usa negano
Tema: Iran-Usa
Rivelazioni, negoziati, cortine fumogene: sullo sfondo, le rivalità tra moderati e conservatori nelle elezioni presidenziali del 18 giugno. L’ambasciatore russo a Vienna Mikhail Ulyanov esprime «prudente ma crescente ottimismo» sui negoziati per il ritorno di Washington e Teheran all’accordo nucleare, fissando in tre settimane la possibile conclusione (prima cioè delle elezioni), ma secondo la Casa Bianca c’è ancora «una buona distanza da colmare». A complicare i negoziati sul nucleare c’è la questione dei detenuti in Iran con passaporto straniero. La tv di Stato di Teheran, controllata dal conservatori, ha diffuso ieri la notizia del rilascio di 4 iraniani-americani – Siamak e suo padre Baquer Namazi; un altro imprenditore, Emad Shargi; e l’ambientalista Morat Tahbaz – in cambio di altrettanti detenuti iraniani all’estero e dello scongelamento di 7 miliardi di dollari da banche straniere. Si parla della liberazione dell’iranianabri tannica Nazanin Zaghari-Ratcliffe, in cambio del pagamento di un vecchio debito di 400 milioni di sterline per forniture militari mai consegnate da Londra. Che le trattative siano in corso è noto, ma fonti britanniche e americane negano l’intesa. Intanto la Guida suprema Ali Khamenei ha definito un «grosso errore» le critiche rivelate in tm audio del ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif verso i Pasdran e il loro generale Qassem Soleimani, ucciso dagli Usa. Zarif si è scusato: improbabile una sua candidatura al voto del 18 giugno.
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