A vent’anni Giovanni Basagni confezionava pigiami, oggi a 75 veste i bambini di tutto il mondo. Russia compresa. Ma la sua visione di impresa non si ferma al business. «C’è una filosofia di vita che passa attraverso valori antichi».
Quali?
«La responsabilità sociale, il rispetto di sé e degli altri, la tutela della sicurezza sul lavoro e dell’ambiente. Questa è la cosa più importante, il modo di ragionare e il modo di essere». Parla da politico ‘visionario’. Ha questa tentazione? «No, ma me lo hanno chiesto tante volte. Per me esiste la politica del fare mettendosi a disposizione delle persone, la politica di partito non mi appartiene».
Presidente, oggi guida un’azienda da 70 milioni di euro. Come ci è arrivato?
«Ero perito industriale in un’azienda del Casentino, poi mi sono messo in proprio con i 2 milioni di lire della liquidazione e l’appoggio di mio fratello e mia cugina, ancora miei soci. Miniconf nasce grazie a un’opportunità: realizzare 30mila camicie per bambini al prezzo di mille lire. Era il 1973, eravamo in 6 in 150 metri quadrati di laboratorio. E’ passato mezzo secolo e ora produciamo 7 milioni di capi all’anno».
Di strada ne ha fatta…
«Abbiamo quattro brand del gruppo Miniconf e due licenze».
E la celebre pubblicità con i sei gemelli Giannini, quella che divenne un caso tv?
«Era il 1983, avevano tre anni, il padre veniva a scuola con me».
Perché la scelta di vestire proprio i piccoli?
«Le ha figli? Glieli compra i vestiti? C’è grande interesse a vestire i bambini, non dico a coprirli. II nostro non è lusso ma una fascia intermedia che guarda alla moda e al comfort. L’abbigliamento è un modo per esprimersi. E poi…».
E poi cosa?
«I bambini ispirano i nostri valori».
Siete rimasti qui, nella vostra terra…
«Sì, a Ortignano Raggiolo, il legame con il territorio è importante. Qui c’è la direzione strategica, tutto il design, la parte commerciale e marketing, quella di gestione e logistica, oltre al controllo dei capi. La produzione è tra Far East e Nord Africa».
Fatturato, previsioni, personale?
«Abbiamo 350 dipendenti, 80 nei monomarca, 25 persone all’estero tra Russia, Spagna e Cipro. 40 punti vendita marchiati ‘IDO’. Siamo presenti in 1500 negozi multiplayer, abbiamo una filiale in Russia e una rappresentanza in Cina. II nostro fatturato è di settanta milioni, 9 punti in più rispetto al 2019, l’estero pesa il 150. Nel 2022 ci aspettiamo di superare di 20 punti percentuali il 2020».
Se dico sostenibilità…
«Recuperiamo 50mila capi l’anno, da non poter consegnare, li ricondizioniamo e produciamo abiti che durano nel tempo».
Oggi invece tutto passa molto velocemente…
«I nostri capi sono concepiti per entrare in un circuito familiare ed essere scambiati tra fratelli, cugini o amici. Ce lo dicono spesso i nostri clienti, è un sistema che funziona».
Abiti con pelli e pellicce?
«Siamo animal friends mai pelliccia o piuma d’oca».
Chi guiderà in futuro Miniconf? Ha pensato al passaggio generazionale?
«Sono 4 anni che abbiamo avviato la transizione, uno dei miei figli segue la finanza ma abbiamo intrapreso anche un processo di managerizzazione. Comunque io resterò un anno o due come amministratore».
Come sta andando la parte retail?
«Nel 2021 ho aperto 10 negozi in affiliazione, quest’anno altri 10: è un programma di investimenti fino al 2024. Abbiamo anche una rete di negozi monomarca iDO, che in Italia ne conta oggi 40 e presenti in 1500 punti multipara».
E se dico digitale?
«Siamo indietro: l’e-commerce è assai complesso».
Giovani e donne: la vera scommessa del post pandemia…
«Da noi le donne rappresentano l’80 per cento, l’età media è di 42 anni. Abbiamo lavorato sulla conciliazione vita-lavoro con progetti specifici, tra cui una scuola a tempo integrato: era un plesso scolastico che stava per chiudere e che abbiamo contribuito a finanziare. Partecipiamo, sempre in collaborazione con il Comune del luogo, alla realizzazione di un asilo nido».
Lei è Cavaliere del lavoro, cosa ha significato?
«Un onore, ne sono orgoglioso, siamo 550 in tutto. Rientrare in questa cerchia ristretta per me ha significato tanto».
II Covid ha pesato?
«Nel 2020 abbiamo perso 10 milioni di fatturato ma mantenuto l’azienda in equilibrio pur dovendo vivere distanza».
Minrus, filiale a Mosca: cos’è accaduto dopo lo scoppio della guerra?
«Abbiamo un negozio a Mosca con 4 persone avendo saldato la merce entro febbraio, prima dell’inizio della guerra. Non sappiamo cosa succederà: avevamo un distributore in Ucraina che collaborava da 15 anni e 250mi1a euro di ordine che ovviamente non è stato consegnato».
Molti però in Russia hanno chiuso…
«Il negozio di Mosca è aperto e abbiamo mantenuto in organico i dipendenti. Non siamo nel range dell’embargo: è un prodotto che costa una decimo rispetto a quei valori. II nostro negozio fra un po’ si chiude per conto suo, non ci sono opportunità».
Dopo il Covid e in costanza di guerra c’è spazio per ripartire?
«Vediamo un futuro e una crescita per Miniconf: abbiamo davanti un consumatore che ha meno soldi ma probabilmente ci saranno anche meno player: in un sistema competitivo siamo pronti a raccogliere quote di mercato».
Per lei soltanto lavoro?
«Leggo, mi piace sciare e in montagna faccio le ferrate ma, per il resto mi sono sempre totalmente dedicato all’azienda».
Articolo pubblicato il 15 Maggio da La Nazione Arezzo