Il drago sofferente che si accascia trafitto dalla lancia di San Giorgio richiama alla vittoria del bene sul male. Settant’anni come sede della Fondazione Giorgio Cini, dopo mille come cenobio benedettino (982-1806) e 145 di degrado (1806-1951) hanno fatto rinascere l’isola di San Giorgio a Venezia quale luogo più incomparabile di tutto il mondo.
Consigliere dal 1987 e presidente dal 1999, il presidente emerito di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, racconta questa storia di rinascita.
«Sono stati ventitré anni di fedeltà allo statuto della Fondazione» racconta Bazoli. «La Fondazione Giorgio Cini è l’eredità che Vittorio Cini ha lasciato a Venezia, sua città di elezione. Nel 1951 la Fondazione fu creata, in ricordo del figlio, in soli tre anni. Uno dei due scopi dello statuto era quello di promuovere il ripristino del complesso monumentale creando nuove istituzioni sull’isola, che la Cini ha in concessione dal demanio. Il secondo scopo era di coltivare studi sulla storia di Venezia come punto di incontro di civiltà, ed è ciò che è stato fatto con l’Istituto di Storia dell’Arte, l’Istituto per la Storia della Società e dello Stato Veneziano, l’istituto per il Teatro e il Melodramma e la Musica e l’istituto interculturale di Studi musicali».
Cosa può dire degli anni che hanno preceduto la sua presidenza?
«Alla morte di Vittorio Cini nel 1977 la Fondazione fu affidata a Bruno Visentini, con Renzo Zorzi. Zorzi era studioso di grande qualità, Visentini era più manageriale. Ricordo poi Vittore Branca e Feliciano Benvenuti. Benvenuti, che era stato mio maestro, era coltissimo e non lo mostrava. Quando diventai presidente del Nuovo Banco Ambrosiano lo designai alla Banca Cattolica del Veneto, che tradizionalmente finanziava la Cini. Branca era un cattolico libero e di ampie vedute e fu il più importante studioso di Boccaccio e Dante. Con lui, il Centro di cultura e civiltà favorì manifestazioni del più alto livello e si svilupparono i corsi di alta formazione, che con Carlo Ossola abbiamo ripreso».
Poi arrivarono i suoi anni…
«Fui accolto benissimo… forse perché non ero veneziano! Nel 2000, la Cini ottenne per la prima e unica volta di partecipare alla distribuzione dei fondi previsti dalla Legge speciale per Venezia, necessari per realizzare interventi sul complesso monumentale paragonabili per importanza e ampiezza a quelli compiuti dal fondatore. Così, grazie anche a una modifica di statuto che concesse l’ingresso di soci sostenitori (Intesa Sanpaolo, Assicurazioni Generali, Eni e Cariplo), abbiamo intrapreso i grandi interventi di rinascita dell’isola. Nel 2002 chiamai Pasquale Gagliardi, che era direttore del centro di formazione professionale Istud, come segretario generale: dimostrò capacità imprenditoriali, fantasia nell’innovazione e capacità relazionali».
Quali interventi ricorda con mggior interesse?
«Il ripristino del refettorio palladiano, con la copia clonata da Adam Lowe delle Nozze di Cana di Paolo Veronese senza il quale risultava incomprensibile lo spazio progettato da Andrea Palladio. Salvatore Settis incoraggiò l’iniziativa e ora i colori acrilici con cui è realizzato e la luce veneziana rendono l’opera più godibile che l’originale portato al Louvre da Napoleone. Poi la biblioteca della Manica Lunga, con 6o mila volumi, il centro espositivo nelle Sale del Convitto, il Labirinto Borges nato da uno spazio abbandonato e il recupero dello Squero, diventato un luogo magico per l’ascolto musicale con vista incomparabile sulla Laguna. Quindi la Residenza del Centro internazionale di Studi Vittore Branca, gli spazi espositivi dove c’era la scuola marinara, le dieci Vatican Chapels proposte dal cardinale Gianfranco Ravasi nel 2018 come partecipazione della Santa Sede alla Biennale di Architettura e le Stanze del vetro della collezione Landau: ogni loro mostra è realizzata con dovizia e completezza».
Negli anni sono continuate le acquisizioni di archivi e le proposte editoriali.
«A quelli storici di Sibilla Aleramo, Eleonora Duse vanno aggiungendosi molti archivi musicali, a partire da quello di Roman Vlad. Per l’editoria, la Fondazione ha promosso grandi opere come l’Enciclopedia universale dell’arte (15 volumi), l’Enciclopedia dello spettacolo, Le civiltà dell’Oriente, l’Enciclopedia filosofica. Resta ancora da recuperare il Teatro verde concepito nel 1954 dall’architetto Luigi Vietti».
Guardiamo al futuro. Come continuare?
«Con una modifica di statuto che assesti la presenza privata e che promuova un comitato scientifico di particolari caratteristiche. Inoltre, è venuto il tempo per pubblicare una biografia sul fondatore, Vittorio Cini, ora che la famiglia ha messo a disposizione l’archivio. Una apposita commissione sceglierà il biografo. Cini fu una figura poliedrica, per decenni, insieme al conte Volpi, protagonista di Venezia e dell’Italia».
li ha ancora ragione d’essere questa missione di studio della storia e di Venezia quale punto di incontro di civiltà e saperi?
«Assolutamente sì e intorno a questo si deve elaborare il programma futuro. II tema essenziale è quello del rapporto tra sapere umanistico e scientifico. Oggi il sapere scientifico è prevalente e lo diventerà sempre più anche perché, grazie alla tecnologia, migliora le condizioni di vita. Ma ci sono problemi che la scienza non è in grado di risolvere da sola e occorre qualcosa di più di un generico rispetto per la cultura umanistica, il passato e le civiltà. Nel Novecento abbiamo assistito a una tensione tra questi due poli del sapere come se uno disconoscesse l’altro. Venezia, San Giorgio e la Cini sono il luogo ideale per l’integrazione tra i due saperi e tra le civiltà. L’isola di San Giorgio è stata al centro del mondo quando sono stati ospitati due G7 ed esempio di inclusività quando, negli anni della guerra fredda, studiosi di oltrecortina furono autorizzati a partecipare ai convegni. Se non fossi trattenuto da un senso delle proporzioni direi che l’Isola di San Giorgio potrebbe essere utile anche oggi per la Pace».
Articolo pubblicato il 21 ottobre da Il Corriere della Sera