Claudio Marenzi, presidente di Hemo, ha sempre creduto nell’importanza delle associazioni di settore, in particolare all’interno di una filiera come quella del Tma (tessile-moda accessorio), che comprende aziende molto diverse per vocazione produttiva, storia e dimensioni. Al suo impegno si deve in larga parte la nascita di Confindustria Moda, la federazione, appunto, delle associazioni di settore, nata nel 2017 e della quale è stato il primo presidente, nonché rappresentante della parte abbigliamento della filiera, passando poi il testimone a Cirillo Marcolin, dell’omonima famiglia protagonista nell’occhialeria, e a Ercole Botto Poala, ad di Reda, tra i più importanti lanifici italiani.
Marenzi ha appena concluso un doppio mandato di presidente di Pitti Immagine, la società che organizza le fiere di Firenze ed è oggi “solo” presidente dell’azienda fondata dal padre Giuseppe nel 1948 e di Montura, azienda di outdoor acquisita nel 2021.
È arrivato il momento di occuparsi a tempo pieno di Herno?
Sono molto felice del lavoro e dell’energia che, negli ultimi dieci anni, ho dedicato a Sistema moda Italia, Confindustria Moda e Pitti Immagine e il mio impegno per le associazioni continuerà, anche senza incarichi di vertice. In Herno ho costruito una squadra di persone capaci e affiatate ed è grazie a loro che ho potuto avere vite parallele. Per un imprenditore l’impegno istituzionale nel proprio settore deve avere un inizio e una fine e io anni mi sembrano corretti! Tomo a fare l’imprenditore e lo gnomo di fabbrica, come mi piace dire, ed è importante anche per Montura.
Come è maturata l’altra recente scelta, la nomina di un ceo di Herno?
Avere ogni responsabilità operativa e allo stesso tempo riflettere sul medio e lungo periodo non mi è più sembrata la scelta migliore per me e soprattutto per il futuro dell’azienda e di tutte le persone che, con grande passione, ci lavorano. La persona che ho scelto non viene dall’esterno, non è un marziano che piomba in Hemo. Esattamente l’opposto: dall’inizio di aprile il nuovo ceo Gabriele Baldinotti, che da tempo consideravo il mio braccio destro e che in azienda ha ricoperto vari ruoli, da brand manager a head of marketing and sales.
Sono passate poche settimane, nota già dei cambiamenti?
Dal punto di vista strettamente operativo non ancora: come dicevo, con Gabriele lavoravamo fianco a fianco da tempo e condividiamo una visione e le scelte che ne conseguono. I primi cambiamenti che vedo sono di altro tipo eli considero molto positivi: le persone in azienda parlano con maggior facilità delle loro idee, avanzano magari qualche critica, forniscono apertamente utilissimi spunti. Ho sempre cercato di far passare il messaggio: ditemi con franchezza cosa pensate di quello che stiamo facendo. Ma è chiaro che non sempre è facile contraddire il capo, se in lui si concentrano tutte le funzioni.
Rimpianti per Pitti Immagine?
Ho lasciato una grande squadra, dalla quale ho imparato moltissimo e dove tutti hanno rispetto degli altri e, forse ancora più importante, sanno interpretare e a volte persino anticipare i cambiamenti del mercato. Parlo dell’ad Raffaello Napoleone, di Lapo Cianchi, Agostino Poletto e Antonio Cristaudo e, davvero, di tutti i membri del team. Ho contribuito con Antonella Mansi (presidente Cfmi, ndr) a costruire la squadra del nuovo cda , al mio posto è arrivato Antonio De Matteis, ceo di Kiton, un amico da 35 anni, sono sicuro che Pitti Immagine anche i prossimi saranno armi di crescita per le fiere e di osmosi con l’intera filiera
Come è stato il 2022 per Herno?
Un ottimo anno, chiuso in crescita del 22% a 155 milioni e indici di redditività molto positivi, che ci permettono nuovi investimenti nella digitaliz7azione e, ad esempio, nel retail fisico. Senza dimenticare la sostenibilità, in cui credo da sempre ma che penso abbia bisogno di un sistema diverso di certificazioni e trasparenza.
Cosa intende?
Oggi esistono moltissimi protocolli e procedure che portano a ottenere attestati di sostenibilità nei vari segmenti, ambientale e sociale. Gli enti che li rilasciano sono giustamente esterni alle aziende. Ma più che a società private, che svolgono un servizio di certificazione a pagamento, sarebbe opportuno iniziare a lavorare, come filiera, a standard istituzionali e il più possibile globali.
Articolo pubblicato il 21 aprile da Sole 24 Ore Moda 24