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A tavola con Enrico Marchi: Il capitalismo italiano osservato con lo sguardo radicato a Nordest

20.11.2023

Enrico Marchi – banchiere e imprenditore, classe 1956 – è nella foresteria della sua Finint. Dalla sala da pranzo, attraverso un’ampia vetrata, si vede in lontananza la collina su cui sorge la villa dove abita, nella Marca Trevigiana. Come antipasti, vengono servite una crema di fagioli con capesante arrostite e pancetta e una tartare di fassona all’uovo e spinacino. Marchi incarna bene e ricompone a unità le contraddizioni del Nordest, arrotondandone gli eccessi: manifesta la vitalità che però non tracima in spacconeria, esprime la solitudine di una comunità povera diventata benestante nel lampo di sessant’anni ma senza attorcigliarsi nel compiacimento e ha il pragmatismo autoironico delle Gens Veneta che trasforma la voglia di fare, di fare e di fare ancora in un senso del possesso della vita rapido e divertito. In più Marchi ha una dose di distacco da quello che accade nei grandi teatri italiani che, espressa a Conegliano, è ancora più significativa, mentre il potere del nostro Paese – fra Roma e Milano – ascolta il silenzio successivo alla fine della guerra intorno a Mediobanca, con l’assalto dato da Francesco Gaetano Caltagirone e da Francesco Milleri al fortilizio di Alberto Nagel, che ha resistito: «Quando mi chiedono dove mi colloco, rispondo sempre che mi colloco a Conegliano.

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