Menu

“Logistica chiave per la competitività” a colloquio con Damiano FROSI | Civiltà del Lavoro 1/2024

24.05.2024

Articolo pubblicato nella rivista n.1/2024 di Civiltà del Lavoro

 

Le crisi del Covid-19, dell’Ucraina e del Medio Oriente, con l’impatto sulla via­bilità del Mar Rosso, hanno fatto capi­re l’importanza del settore logistico, a lungo sottovalutato. Eppure produ­ce un fatturato che è pari a11’8% del Pii e non c’è azienda che nel suo day by day non debba misurarsi con questio­ni di carattere logistico, specialmente quelle più votate all’esportazione.
Con Damiano Frasi, direttore dell’Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” del Politecnico di Milano, abbia­mo approfondito il tema richiamando anche il ruolo che potranno giocare gli investimenti del Pnrr.

Professore, si è diffusa da poco la consapevolezza che la logistica è un elemento fondamentale per la compe­titività del Paese e del sistema produttivo. Come mai solo ora?
Sono state le recenti sfide di contesto a mettere in luce il valore strategico della logistica per la competitività del sistema Paese. La pandemia da Covid-19 ha sottolineato l’importanza della logistica per la continuità delle catene di fornitura e per il funzionamento delle filiere, la cui in­terruzione provoca disagi per le aziende e per i cittadini. Nel periodo post pandemico sono stati gli eventi geopoli­tici – dalla guerra in Ucraina con gli effetti sui costi ener­getici e sullo shortage di manodopera (anche data la si­gnificativa presenza di autisti originari del Nord Europa) al recente conflitto in Medio Oriente e ai suoi effetti sul traffico marittimo nel Mar Rosso – a sottolineare l’impor­tanza di un solido sistema logistico per supportare e ga­rantire lo sviluppo competitivo del Paese.

L’Italia ha una delle prime manifatture al mondo ed è un forte esportatore, ma è solo al 19° posto per com­petitività della logistica. Come mai questo squilibrio? E che rischi ci sono per il sistema produttivo?
Alcune cause sono implicite nella risposta precedente e risiedono essenzialmente nella mancanza di consapevo­lezza dell’importanza della logistica.
Quest’ultima è stata spesso considerata una commodity, mentre dovrebbe essere considerata un settore strategi­co, sia per il suo peso economico, sia per il suo contribu­to fondamentale nel garantire la continuità di funziona­mento delle filiere e assicurare lo sviluppo del business. In Italia, infatti, il mercato della logistica rappresenta più dell’8% del Pii e il fatturato stimato della logistica conto terzi per il 2023 supera i 110 miliardi di euro. Anche per questo è importante che si diffonda una maggiore cul­tura sulla tematica all’interno delle aziende, che devono impostare una strategia logistica, in modo da essere in grado di rispondere ai repentini mutamenti di contesto. In una ricerca del 2023 abbiamo individuato sei strategie per la logistica che le aziende stanno iniziando a implementare: logistica industriale, logistica omnicanale, logi­stica circolare, logistica sostenibile, logistica smart e ri­configurazione logistica, figlie del contesto di incertezza e complessità attuale.
Queste strategie sono state analizzate in termini di atti­vità coinvolte, Kpi considerati, posizione lungo la filiera e oggetto, inteso in termini di tipologia di prodotto (pro­dotto finito, semilavorati, etc.) e informazioni.

Come fronteggiare i rischi nel Mar Rosso e per i vali­chi alpini con Austria e Svizzera che frenano il passag­gio dei Tir?
Gran parte del lavoro è in mano alla politica e alle istitu­zioni. Le aziende di logistica e committenti sono chiamate ad elaborare strategie innovative. La soluzione nel breve termine passa da una modifica delle rotte e da un mag­giore utilizzo del trasporto aereo e ferroviario; da segna­lare i nuovi servizi implementati per il trasporto su ferro dall’Asia all’Europa.
L’uso di modalità alternative va pensato non come una so­luzione a sé, ma come parte di una strategia complessiva mirata a una gestione della supply chain più flessibile e resiliente, basata sulla collaborazione, sulla gestione del rischio e sul ruolo importante della tecnologia.
Nel medio periodo potremo assistere a una revisione del­le logiche di fornitura delle aziende, con politiche di near­shoring e diversificazione. Questo sull’Italia potrà avere effetti negativi – il ricorso crescente ai porti del Nord Eu­ropa – o positivi, grazie alla vicinanza strategica con pa­esi importanti, quali quelli del Nord Africa o la Turchia. Se prevarrà un’alternativa o l’altra dipenderà anche dalla capacità del nostro sistema logistico, che deve essere con­siderato sempre più strategico per il nostro sistema Paese.

La frammentazione del settore logistico è ritenuta un elemento di debolezza: come affrontarla?
In Italia il problema è particolarmente vero, con circa 82mila aziende fornitrici di servizi logistici operanti sul mercato, seppur con differenze tra categorie di operatori. Sono 75mila le aziende di autotrasporto, di cui 63mila di piccola dimensione. Mentre sono circa 600 i corrieri, con la quasi totalità del mercato gestita da un ristretto nume­ro di grandi player o da piccole aziende locali.
È tuttavia in atto un processo di consolidamento: dal 2009 a oggi abbiamo assistito alla riduzione di quasi 3omila aziende. Il fermento in atto viene awalorato dall’analisi delle opera­zioni straordinarie, che conferma alcuni trend significati­vi, dal consolidamento del network delle aziende all’acqui­sizione di player tecnologici, alle politiche di integrazione verticale dei grandi attori di trasporto internazionale. In questo contesto, la capacità delle aziende di struttu­rarsi e offrire servizi sempre più specializzati e avanzati, nonché di puntare su un lavoro di qualità, è il modo giu­sto per creare valore come filiera logistica.

C’è anche un’eccessiva prevalenza del traffico merci su strada rispetto alla ferrovia e al mare. Riusciremo a rag­giungere gli obiettivi di riequilibrio europei? E come? L’Italia ha un ritardo rispetto ad altri paesi europei: si pen­si che la percentuale di merci trasportata su strada da noi è di circa 1’85% e poco più del 60% in Germania. Questo è determinato in parte da alcune difficoltà ogget­tive nella costruzione delle infrastrutture ferroviarie e in parte dalle caratteristiche del nostro sistema produttivo, con la preponderanza di attività di piccola-media dimen­sione, più difficilmente servibili dalla ridotta capillarità del­la rete di collegamenti del trasporto via treno.
Queste considerazioni e i limiti di capacità del nostro si­stema ferroviario, anche considerando l’implementazio­ne degli investimenti previsti dal Pnrr, portano alla con­clusione che la soluzione per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione non può passare solo dall’uso di al­tre modalità di trasporto.
Sarà necessario accompagnare anche la transizione del trasporto stradale, con investimenti infrastrutturali – si pensi alle colonnine di ricarica elettrica-, in mezzi a mi­nor impatto ambientale e in soluzioni di revisione di atti­vità e processi, per esempio finalizzate all’aumento del­la saturazione dei mezzi, la riduzione dei viaggi a vuoto e dei tempi di attesa nei centri distributivi.

Che cosa servirebbe per migliorare l’intermodalità del sistema? Quali sarebbero le infrastrutture e gli incen­tivi necessari?
Per supportare l’intermodalità è necessario un approc­cio di sistema. Dal punto di vista infrastrutturale sono fondamentali gli investimenti per aumentare la capacità effettiva di trasporto, in particolare ferroviario. In que­sto senso, gli investimenti previsti dal Pnrr in linee ad Alta Capacità sono un buon primo passo.
Inoltre, è necessario un potenziamento dei nodi di col­legamento tra le diverse modalità: porti e interporti sempre più efficienti dal punto di vista infrastrutturale, tecnologico e manageriale. Ancora, è necessaria una re­visione del network e delle logiche operative delle azien­de e un alto livello di collaborazione, non solo tra azien­de committenti e fornitori di servizi logistici, ma anche con i gestori dei terminal interportuali e delle infrastrut­ture ferroviarie, a livello nazionale e internazionale per aumentare la flessibilità e l’affidabilità del sistema, gra­zie anche al supporto chiave delle tecnologie digitali.

Il Pnrr può essere lo strumento per far fare un salto di qualità alla nostra logistica?
Assolutamente sì, il Pnrr rappresenta una grande op­portunità per la logistica. Data la sua trasversalità, non è possibile individuare una sola Missione o un solo mi­nistero che racchiuda tutte le risorse di cui questo set­tore può beneficiare. Fondamentale è la quota destinata al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, respon­sabile di circa 62 miliardi di euro.
Questi fondi sono rivolti alla realizzazione di interven­ti infrastrutturali relativi, ad esempio, alle linee ferro­viarie ad Alta Velocità e Alta Capacità e allo sviluppo di porti e del trasporto marittimo, indispensabili per il raf­forzamento delle infrastrutture presenti e per garanti­re modalità di trasporto più green rispetto alla gomma. Tuttavia, è importante ricordare che il settore è compo­sto anche da aziende che offrono servizi logistici e biso­gna assicurare loro la possibilità di innovarli e migliorar­li. Investire in questo ambito, dunque, è fondamentale per il rafforzamento del settore e spesso questo aspet­to viene dimenticato.
Risultano essere molto importanti anche i fondi per la transizione ecologica e per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, con particolare riferimento ai fondi per la sperimentazione dell’idrogeno nel trasporto stra­dale (0,23 miliardi di euro), per le infrastrutture di rica­rica elettrica (0,74 miliardi di euro) e per l’infrastruttu­ra 5G (6,7 miliardi di euro).
Importanti per le aziende sono i fondi destinati alla digi­talizzazione e all’automazione delle attività logistiche e industriali, anche se si tratta di fondi non direttamente indirizzati al settore della logistica.

Sfoglia l’articolo

Scarica la rivista completa

SCARICA L'APP