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“La Pubblica amministrazione tra riforme e PNRR” | Civiltà del Lavoro 1/2024

03.06.2024

Articolo pubblicato nella rivista n.1/2024 di Civiltà del Lavoro

 

Pubblica amministrazione tra riforme e Pnrr” è il tema del seminario orga­nizzato il primo febbraio scorso dalla nostra Rivista, al quale hanno partecipato il Cavaliere Francesco Averna, presidente del Comitato editoriale di Civiltà del Lavoro; il professor Enrico Giovannini, economista, ministro del Lavoro e delle politiche sociali durante il governo Letta e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti con il go­verno Draghi, già presidente dell’lstat e attuale porta­voce dell’ASvlS; Paola Caporossi, presidente della Fon­dazione Etica; e Luca Bianchi, direttore generale dello Svimez. Riportiamo di seguito un’ampia sintesi degli in­terventi del seminario.

AVERNA: “Il Pnrr è un’occasione di modernizzazione”
La Pubblica amministrazione (Pa) non gode in Italia di una grande popolarità. Le sue ca­renze sono evidenziate da tem­po. Sono andato a riguardarmi le proposte di riforma. La pri- ma, se non vado errato, è del 1990 di un governo Andreotti con il ministro Gaspari; parliamo quindi di prima Repubblica.
L’ultima riforma, approvata nel 2015, è quella del ministro Madia del governo Renzi passando, in 35 anni, per i pro­getti dei ministri Cassese, Bassanini e Brunetta.
Tutti questi progetti di riforma avevano obiettivi molto simili: snellire le procedure; chiarire le competenze tra i vari enti territoriali che sono spesso confuse e con­traddittorie; migliorare i rapporti tra Pa e cittadini e col mondo produttivo, attuare sistemi di valutazione e di incentivazione dei dipendenti. Tutti questi tentativi non hanno avuto grandi risultati. Lo prova il fatto che tutte le valutazioni internazionali sull’efficacia della Pa italiana, danno risultati non esaltanti. La ricerca 2023 di Eurostat sui 27 paesi e le 237 regioni europee ci vede all’ultimo posto tra i grandi paesi europei, dopo quelli scandinavi che sono ai primi posti, l’Olanda, il Belgio, la Germania, l’Irlanda, la Francia e la Spagna.
Non solo: la prima regione d’Italia è il Trentino, al 130° posto tra 237 regioni, quindi già nella seconda parte del­la classifica, ma la cosa ancora più grave è che tutte le regioni del Mezzogiorno si sono classificate tra le ulti­me 20 dell’Ue.
Eppure sarebbe ingeneroso affermare che non sia stato fatto nulla: penso allo SPID, il sistema di identità digita­le, che a fine 2023 ha superato i 37 milioni di utenti; pen­so alla ormai grandissima diffusione della carta d’identi­tà elettronica; all’app lo con la quale è possibile, in certi limiti, accedere ai servizi pubblici tramite lo smartphone; all’informatizzazione di molti adempimenti fiscali e, tra questi, in modo particolare, la fattura elettronica che ha dato risultati decisamente positivi, non solo dal punto di vista dell’efficienza delle transazioni, ma anche, cosa non banale, del miglioramento della trasparenza fiscale, cosa molto importante nel nostro Paese.
Eppure, nonostante questi passi in avanti, la nostra Pa rimane, a giudizio di molti, un fattore di debolezza per la competitività del Paese nonché per la sua attrattività per gli investimenti internazionali.
Oggi abbiamo un’opportunità che non possiamo perde­re: il Pnrr ha assegnato al nostro Paese circa 200 miliardi di euro e impone una forte accelerazione delle procedu­re per rispettare le scadenze semestrali, alle quali corri­spondono le tranche di finanziamento.
La Commissione Ue ha dato alcune indicazioni di massi­ma individuando obiettivi di crescita digitale e di moder­nizzazione della Pa, ha sollecitato un forte ricambio ge­nerazionale dei dipendenti pubblici – ricordo che oggi la media è superiore ai cinquant’anni – mettendo l’accento sulle professionalità più avanzate, per esempio informa­tiche e manageriali, ha stanziato nel Piano oltre 8 miliardi per la digitalizzazione e chiede impulso alla semplifica­zione delle procedure e all’eliminazione di molti passaggi formali, alla riduzione dei tempi e dei costi per i cittadi­ni e per le imprese.
Le mie preoccupazioni per la realizzazione di questi obiet­tivi passano da due fattori che, a mio avviso, hanno osta­colato il successo di tutte le riforme precedenti. Sono: la resistenza di una parte dei dipendenti pubblici a introdurre meccanismi seri di valutazione delle performance alle qua­li, ovviamente, possano essere legati incentivi economici;
e la contrarietà anche dei sindacati, a valorizzare, a dare uno spazio più importante al merito e alla professionalità. Sono convinto che realizzare i progetti del Pnrr sia, per
il nostro Paese, un’occasione storica per fare un vero e proprio salto di qualità, introducendo nella nostra mac­china amministrativa – non solo a livello centrale, ma for­se ancor più a livello regionale e locale – metodi e criteri di gestione legati ai risultati, stabilendo tempi certi per la realizzazione dei progetti, cosa alla quale, purtroppo, non siamo abituati.
Se riusciremo a realizzare questo piano nei tempi stabi­liti, la Pa avrà imparato ad operare in modo più moder­no ed efficiente secondo obiettivi, traguardi intermedi e controllo dei risultati. In definitiva, il Pnrr sarà stato per la Pa un enorme corso di formazione e sono certo che a quel punto non si po­trà più tornare indietro.

GIOVANNINI: “Il Pnrr sta già migliorando la Pa”
Ci sono sei punti da sottoline­are. Il primo: non credo che il Pnrr sia nella condizione di­sastrosa che alcuni dicono, al contrario. Il ministero che ho diretto è responsabile di 61 mi­liardi, e adesso con la rimodu-lazione anche di più, e siamo stati rapidissimi nella distribuzione agli enti locali dei fondi per gli autobus, l’idrico e tante altre cose, al pun­to tale che il Pnrr è stato approvato dall’Ue a luglio 2021 e a novembre dello stesso anno avevamo collocato qua­si 30 miliardi d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Che cosa è cambiato? Siamo diventati dei Superman? No, semplicemente il Pnrr ha regole molto diverse rispetto a quelle precedenti: quindi ogni riferimento al ritardo con cui abbiamo speso i fondi europei è assolutamente im­proprio perché la logica del Pnrr è che i soldi vengono rimborsati se entro una certa data hai messo in opera gli interventi necessari e hai raggiunto gli obiettivi previsti: per esempio, se hai effettivamente ridotto le perdite idri­che, non solo se hai speso i soldi per le reti e le tubature. Questo ha cambiato radicalmente il gioco tra governo ed enti locali, che hanno capito che ogni giorno passato a discutere di qualche euro in più, voleva dire un giorno in meno per realizzare i progetti. E ha cambiato radical­mente il gioco, pur nella difficoltà enorme legata al fat­to che per anni non abbiamo progettato niente perché pensando di non avere soldi, non ci siamo neanche im­pegnati nella progettazione.
C’è stata una velocizzazione straordinaria: Anac e Cre­sme mostrano che il periodo tra la chiusura delle gare e l’apertura dei cantieri è molto breve. I dati disponibili ci mostrano questo. Ovviamente abbiamo un serio proble­ma di monitoraggio. Sono stati commessi errori, in par­ticolare dal Mef, nel disegno del database del Pnrr, che si chiama ReGis, perché non sono state inserite, benché noi lo avessimo proposto, le date di chiusura delle gare, non solo quelle di apertura, e anche quelle di avvio dei lavori perché ReGis è stato pensato come un sistema di rendicontazione finanziaria. La mancanza di queste infor­mazioni fa sì che ci siano stime molto eterogenee sulla spesa effettiva del Pnrr, sullo stato dei lavori.
Detto questo, trovo insensata la discussione macroeco­nomica sul fatto che i tempi del Pnrr siano quelli che so­no, perché il 2022 è stato dedicato in gran parte a pro­gettare, il 2023 è stato in gran parte dedicato a fare le gare e a chiuderle, basta vedere i dati Cresme 2021-2022 con un boom straordinario non solo dei bandi ma anche delle assegnazioni, nel 2023 sono partiti i lavori o le pro­gettazioni esecutive ed è un bene che la grande spinta sul territorio del Pnrr sia quest’ anno, quando l’economia rallenta e quindi ha bisogno di una spinta.
Seconda considerazione. Certo, la Pa ha mostrato tutti i propri limiti. Questo lo dico per aver guidato un ministe­ro in cui abbiamo provato a reclutare figure tecniche; non c’è dubbio che il Pnrr abbia avuto un effetto boomerang sulla disponibilità di personale tecnico nella Pa, perché abbiamo stimolato esattamente quei settori economici, a partire dalle costruzioni, che si sono messe alla ricer­ca disperata di architetti, ingegneri e così via, strappan­doli alla Pa, visto che li pagano molto di più.
Terza considerazione. Le nuove regole hanno funziona­to da molti punti di vista, compresa la possibilità di non bloccare una gara nel caso in cui un ricorso al Tar viene vinto e quindi dovrebbe esserci la sostituzione del vinci­tore. Questo non è più possibile, ma c’è una compensa­zione del ricorrente vincitore.

Detto questo, non c’è dubbio che ci siano tanti proble­mi, soprattutto nelle piccole amministrazioni. Attenzio­ne, però, perché tante critiche sul fatto che ci sono stati troppi interventi a pioggia. In realtà sono stati interven­ti per fare le manutenzioni che da decenni il nostro Pae­se non faceva. Non può essere una considerazione usa­ta strumentalmente per poi dire che le amministrazioni non fanno in tempo. Perché un’amministrazione comu­nale, per quanto piccola, per quanto disastrata, non rie­sce a mettere in gara per realizzare un lavoro di 7omila euro in cinque anni?
Quarta considerazione. Il piano si chiama “di ripresa e resilienza”. Questo vuol dire che non è semplicemente un piano di ripresa, di spesa, ma è un piano di trasforma­zione per rendere il nostro e gli altri paesi più resilienti ai futuri shock. Quindi le riforme sono altrettanto impor­tanti degli investimenti.
I porti, per esempio, non riuscivano a fare la program­mazione del proprio sviluppo perché c’era poca chiarez­za nelle competenze dei comuni, delle Regioni e così via. Abbiamo fatto la riforma e mentre in cinque anni un solo porto era riuscito a fare la programmazione strategica, in nove mesi, dopo la riforma sono riusciti a farle nove porti. Quinta considerazione: la Pubblica amministrazione ha un capitale umano drammaticamente anziano, in cui è totalmente radicata la convinzione, e sappiamo bene da cosa deriva, che i rischi di firma sono enormi, quindi me­no si firma meglio è.
I Cavalieri del Lavoro sono noti per aver raggiunto stra­ordinari risultati nelle imprese private. Ripeto una cosa che ho detto una volta in Confindustria, determinando grande sorpresa: se in un’impresa privata il capo del per­sonale licenzia qualcuno su ordine dell’amministratore delegato e il giudice del lavoro lo reintegra e obbliga al­la compensazione di un danno, chi paga? La risposta è: l’impresa. Nella Pubblica amministrazione è il dirigente che ha firmato. Questa asimmetria in un mondo normale determina o no un comportamento naturalissimo di prudenza massima?
Con il governo Conte Il, e poi con Draghi, il danno erariale è stato limitato al caso di dolo e non di colpa grave, concet­to piuttosto aleatorio. La Corte dei Conti è andata su tutte le furie, ma io credo che sia stata la cosa giusta. Ma poiché vi è stata una sospensione del danno erariale fino al 2022, estesa poi al 2026, non sta determinando un cambiamen­to profondo della cultura del pubblico amministratore. Sesta e ultima considerazione: faccio un’autocitazione del libro “I ministri tecnici non esistono” che ho pubblicato per Laterza: nei 20 mesi del governo Draghi abbia­mo emanato oltre 300 decreti attuativi, alcuni dei quali risalivano al governo Monti.
La mia prima richiesta all’ufficio legislativo è stata di fare un monitoraggio settimanale dei decreti pendenti. Così ne abbiamo fatti 320. Questo è un tema a cui normalmente i ministri non si dedicano ed è invece fondamentale per­ché la velocità di trasformazione delle norme in bandi, in regolamenti, in atti, è fondamentale per dare ritmo a tutta la Pubblica amministrazione.

CAPOROSSI: “Migliorare il monitoraggio della Pa”
La Pubblica amministrazione non è in difficoltà sul Pnrr, è in difficoltà in generale. Ed es­sendo in difficoltà in genera­le, è difficile poi che si possa muovere solo perché arrivano i soldi. A me dà un po’ l’idea di una macchina che ha il motore in panne e continuano a metterci la benzina: non migliorerà la sua performance. Il principale limite è che bisognava preparare prima la macchina amministrativa per poter fare progetti adeguati e avere una capacità non solo di celerità, di messa a terra degli investimenti, ma anche di investimenti fatti bene. La Commissione europea ci dice da tempo che un elemen­to di sviluppo non solo sociale ma di sviluppo economico, è avere una Pubblica amministrazione che funziona. Ma la macchina amministrativa si migliora quando la si co­nosce, quando si sa quali sono i punti di forza e quelli di debolezza. Questo invece, al momento, non è possibile. Se non abbiamo questa conoscenza, questa mappatu­ra, non potremo migliorare la macchina e il Pnrr maga­ri avrà dei momenti di realizzazione estremamente po­sitivi ma non cambierà il Paese. La grande occasione del Pnrr è questa, non di fare tanti begli investimenti anche utili, ma di cambiare, modernizzare il modo stesso di far funzionare il Paese.
Faccio un esempio sulle assunzioni. Si diceva dell’im­portanza del personale, che ha una certa età. Per for­za, perché abbiamo fatto il blocco del turnover, quindi il personale giovane per anni non è entrato. Assumere oggi in Italia è necessario soprattutto a livello territoria­le. Assumere, però, sulla base di che cosa? Questi sono gli ultimi dati disponibili: la Lombardia ha un numero di dipendenti a tempo indeterminato che è dello 0,3. Se guardiamo le Marche o l’Umbria, siamo ben oltre, sia­mo a 1,2/1,4. Lasciamo perdere il Sud, anche se la Puglia non va così male con lo o,6, mentre la Sardegna è al 2,3.
Voglio dire che o la Lombardia ha dei fenomeni, oppu­re c’è qualcosa che non va altrove. Nel momento in cui assume il decisore pubblico ce l’ha il controllo della si­tuazione? Bisogna capire se in Lombardia sono dei fe­nomeni, oppure se in altre Regioni ci sono troppi dipen­denti che non funzionano.
Questo ci fa capire come non basta assumere, bisogna assumere dove serve, come serve e soprattutto chi serve. Oggi la regola è che non si assume più in base alla pian­ta organica e al turnover; oggi si assume in base al prin­cipio della “capacità di assunzione”.
li legislatore nel 2020 ha detto: “Puoi aver bisogno di una persona, ma se non hai i soldi non la assumi”. Poi ci tro­viamo davanti il di Sud del settembre scorso, noto come “decreto Zes” e c’è una norma che prevede l’assunzione di 2.200 persone nei comuni del Sud, che per cinque an­ni saranno pagati con fondi europei, ma poi le dovremo pagare con fondi nazionali. Si assume quindi a carico del­la fiscalità generale, depauperando fondi già stanziati ad esempio per i trasporti.

L’altro grande problema è che si assume al buio. Molto spesso si cerca di migliorare senza conoscere. Agrigento, Cuneo e Trani hanno popolazione simile, intorno ai 55mi­la abitanti: ma Trani ha 2,7 dipendenti ogni mille abitanti, Cuneo il doppio, Agrigento il triplo. Allora assumere va benissimo, è un atto dovuto, ma assumiamo anche cor­reggendo queste storture.
Ma non basta. Il decreto legge 33 del 2013, noto come “Decreto Trasparenza”, ci consente di mappare moltis­simi aspetti delle Pubbliche amministrazioni per capire i punti di forza o di debolezza di ciascuna. Guardiamo la capacità di spesa ordinaria: ci sono comuni che hanno il 3,3 di capacità di spesa ordinaria e altri che hanno il 98. Dal 3,3 al 98!
Capite allora che in un paese così diversificato, in cui ci sono comuni che vanno in dissesto perché non riescono a riscuotere le multe, che hanno una capacità di spesa per la gestione ordinaria del 3,3, è chiaro che non si può intervenire come in un comune che ha il 98% di capaci­tà di spesa ordinaria, possono anche arrivare i milioni ma non li so gestire per mille motivi.
Se non si ha questa mappatura, se non si guardano que­sti numeri, sarà difficile aiutare questi enti perché non tutti hanno bisogno, ma molti sì. Si vede infatti che que­sta capacità di spesa è bassa soprattutto nei comuni più piccoli, perché meno attrezzati dal punto di vista orga­nizzativo, e in quelli più poveri.
Ultimo punto: l’efficienza. I comuni fanno le carte d’i­dentità, le variazioni anagrafiche, gli appalti, fanno tutti le stesse cose. Voi mi insegnate che se devo acquistare un’azienda faccio la due diligence, vado a vedere quan­ti prodotti fa in un anno e con che costo. Nella Pubblica amministrazione è la stessa cosa, tant’è che quel decreto del 2013 obbligava tutte le amministrazioni a pubblicare questi dati perché altrimenti come si può valutare se un comune è più efficiente dell’altro?
Nel 2016 la riforma Madia ha tolto quest’obbligo. Ha tolto l’obbligo, non la possibilità. Tant’è che la Regione Lombar­dia non lo pubblica più, ma il comune di Prato continua a farlo. Questa è l’efficienza! Perché Prato è efficiente? In­nanzitutto, perché mi dice quante carte di identità fa, in quanto tempo, quanti utenti serve: di questo rende con­to e allora so dove posso aiutarlo, in quale settore. Lo fa anche Napoli, in un modo meno carino. Trento fa ancora di più: mi dice quanto costano i servizi sociali.
In conclusione: possiamo ancora farcela, ma soltanto se al termine di questo periodo avremo messo a posto la macchina amministrativa e lo potremo fare solo se ab­biamo una mappatura grazie alla quale il decisore pubbli­co può intervenire in modo mirato, e quindi più veloce, sulle efficienze, sulle carenze e sui bisogni delle singole amministrazioni.

BIANCHI: “Investire in una Pa indebolita”
La Pubblica amministrazione è oggettivamente un’infrastrut­tura fondamentale dell’econo­mia e della società territoriale. Se è vero che al Sud mediamen­te abbiamo indicatori minori di efficienza, va smentita la vulga­ta che nel Sud ci sia una presenza di dipendenti significa­tivamente superiore rispetto al resto del Paese.
Ho davanti gli ultimi dati del 2020 relativi agli occupa­ti della Pubblica amministrazione negli enti territoriali: il numero dei dipendenti per 1.000 abitanti delle regio­ni a statuto ordinario del Mezzogiorno è più o meno lo stesso di quelle del centro Nord o leggermente inferio­re. Quindi non è vero che ci sono più dipendi al Sud che nel resto del Paese.
Chiaramente quei dati vengono spesso citati come quo­ta dei dipendenti sull’occupazione totale, ma in quel caso mi sembra un indicatore brutale, probabilmente sbaglia­to, perché il numero dei dipendenti dipende dai servizi che devi erogare, quindi dal numero dei cittadini, non dal fatto che ci siano meno dipendenti privati perché c’è un tasso di occupazione più basso.
Detto questo, ci troviamo di fatto davanti ad una Pub­blica amministrazione che nel complesso si è profonda­mente indebolita: tra il 2010 e il 2019 si è ridotta del 15% l’occupazione negli enti locali e addirittura abbiamo un 27% in meno nel Mezzogiorno contro un 18% in meno nel centro Nord.
Ciò ha comportato non solo una riduzione dal punto di vista quantitativo, come complesso di occupati, ma an­che qualitativo, perché per effetto del blocco del turn­over abbiamo un’occupazione molto invecchiata.
In alcuni comuni del Sud la quota di laureati non raggiun­ge il 20%. Inoltre, quasi un terzo della popolazione del Sud vive in comuni in dissesto o pre-dissesto o in situa­zioni di squilibrio finanziario e ciò ha comportato ulte­riori restrizioni sulle possibilità di assunzione. Tuttavia, il Sud e il Nord soffrono medesimi problemi, chiaramen­te con un’intensità che al Sud è decisamente superiore. Questo disinvestimento ha portato a un indebolimento generale e in questo ambito il Sud ha mostrato difficol­tà molto più rilevanti. Emerge con forza che bisogna ri­cominciare ad investire nella Pubblica amministrazione. Il Pnrr è una straordinaria opportunità.

Devo dire che, dalle nostre analisi, sono emersi due ele­menti. Primo, uno shock da un certo punto di vista po­sitivo, nel senso che il Pnrr, proprio per la natura della sua costruzione, se lo confrontiamo con le classiche po­litiche di coesione territoriale di cui il Sud beneficia, co­me altre regioni del Paese, aveva una struttura in qual­che misura più centralista non tanto nell’attuazione, ma nella definizione degli obiettivi. Questo ha fatto sì che si generasse uno straordinario interesse: tutti i comuni, an­che i più piccoli, hanno partecipato ad almeno un bando e molti ne hanno vinto almeno uno.
A fronte di questo shock positivo, che ha un po’ rianimato la Pubblica amministrazione, sono venuti però inevitabil­mente al pettine i nodi irrisolti. Perché il modello compe­titivo del Pnrr, se da un lato ha stimolato tutti, dall’altro ha rischiato di non tenere presenti le differenze nei punti di partenza, che sono fondamentali per poter accedere alle risorse e realizzare le opere.
Qui veniamo ad un difetto di impostazione che io riten­go molto grave nel nostro Pnrr, per esempio su servizi sociali come asili, mense scolastiche o palestre. Si sono distribuite le risorse senza un’analisi ex ante di dove fos­sero realmente i fabbisogni. Quindi c’è il rischio di di­stribuire le risorse non in base al reale fabbisogno, ma in base alla capacità di fare il progetto, vincerlo e rea­lizzare l’opera.
Il paradosso è che il rafforzamento della Pubblica ammi­nistrazione è un obiettivo del Pnrr ma, allo stesso tem­po, è un elemento che ne condiziona l’attuazione in una sorta di corto circuito interno.
Si è scelto di rafforzare con forti iniezioni di assistenza tecnica le amministrazione centrali, tutti i ministeri han­no aperto nuove direzioni, si sono avvalse dei centri di competenze nazionali, mentre sulle amministrazioni locali, che poi dovevano essere quelle che concretamente attivavano, non sono state date risorse per l’assistenza tecnica, non sono stati definiti dei centri di competenza territoriali che potessero aiutare le amministrazioni, co­me i piccoli comuni, per realizzare le opere.
Noi avevamo proposto di utilizzare le università del Sud per creare centri di assistenza tecnica ai comuni e forse si potrebbe ancora fare. Per questo abbiamo un differen­ziale di 20/30 punti percentuali tra il Sud e il Nord. Ciò si­gnifica che mentre nel Nord abbiamo circa il 60% delle risorse messe a bando, al Sud sono solo il 40%. La conse­guenza è che i servizi che il Pnrr doveva consentire di ero­gare, in realtà non riesce ad erogarli nei territori più biso­gnosi; quindi la famiglia del comune dell’entroterra della Sicilia che doveva avere un asilo nido, in realtà non l’avrà; il che è, in qualche misura, un venir meno all’obiettivo di riequilibrio territoriale del Pnrr.
Ultimo tema, la capacità della Pubblica amministrazione di attrarre giovani talenti. Purtroppo il Sud continua ad espellere giovani, soprattutto laureati, che vengono at­tratti da mercati del lavoro più dinamici del centro Nord, che a sua volta perde talenti a favore dell’estero.
Nella Pubblica amministrazione c’è dunque un proble­ma di modelli organizzativi, di valorizzazione, di premia­re la produttività; c’è il problema di garantire la crescita professionale, di garantire un giusto modello di spoil sys­tem, ma che se stressato in maniera eccessiva rischia di penalizzare le carriere pubbliche.
Abbiamo, infine, sulla testa la spada di Damocle dell’au­tonomia differenziata che, proprio con riferimento alla Pubblica amministrazione, può portare ad un’ulteriore di­versificazione territoriale e quindi ad un ulteriore peggiora­mento nell’offerta dei servizi non solo tra Sud e Nord, ma anche all’interno del Nord tra centro e periferie.

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