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Collegio Universitario Lamaro Pozzani NASCITA DI UN’INTUIZIONE di Gianni LETTA | Civiltà del Lavoro 2/2024

28.09.2024

Articolo pubblicato nella rivista n.2/2024 di Civiltà del Lavoro

Ho incontrato Gianni Cavina la prima volta quando avevo 18 anni, e lui ne aveva 29. Era arrivato ad Avezzano, dove io “tentavo” le mie prime esperienze giornalistiche. Ero stato nominato corrispondente di un giornale di Roma, Il Tempo, della Rai e dell’Ansa. Ero appena uscito dal Liceo, mi ero iscritto all’università, e Cavina arrivò inaspettato e sconosciuto come direttore dell’Ente Maremma e Fucino, l’ente di riforma agraria, al seguito del presidente dell’ente che era il senatore Giuseppe Medici. Sconosciuto, inaspettato, una grande sorpresa che generò sgomento e non fu infatti un articolo di benvenuto quello che pubblicai sul Tempo per dare la notizia della nomina e dell’arrivo ad Avezzano di questo giovanotto.


[…] Cavina si dedicò non ai problemi dell’agricoltura, né a quelli amministrativi, ma pensò di fare un grande programma di promozione sociale, di promozione umana, professionale, spirituale, culturale. Nel ’54 fu fatta una legge che separava la Maremma dal Fucino e nacque l’Ente per lo Sviluppo del Fucino. Un successo di Cavina. Nel frattempo, però, le condizioni erano migliorate, e quindi si era insinuata la politica e le polemiche che spesso la politica porta con sé. E Cavina cominciò ad avere così qualche difficoltà, qualche invidia, qualche gelosia, la rivendicazione dei posti di direzione per i locali, capì che la sua funzione era finita e preferì lasciare prima che l’insoddisfazione lo costringesse a farlo.


Verso la metà degli anni ’50 Gianni Cavina tornò a Roma. Arrivò senza lavoro e a Roma ci ritrovammo, perché anche io nel frattempo mi ero trasferito, ero arrivato da corrispondente alla redazione centrale de Il Tempo, ma siccome non mi bastava lo stipendio magro di un giornalista alle prime armi, mi ero trovato un secondo lavoro e avevo trovato una persona straordinaria, il presidente della Federazione dei Cavalieri del Lavoro Enrico Pozzani, un imprenditore milanese, una personalità di una grandissima sensibilità umana e di grandissima spiritualità, come Cavina, il quale voleva fare qualcosa, voleva che gli imprenditori (i Cavalieri del Lavoro sono gli imprenditori migliori d’Italia, quelli che meritano il riconoscimento della Repubblica per ciò che hanno fatto, per i posti di lavoro che hanno creato, per le aziende che hanno fondato) ma voleva che l’impegno fosse anche sul piano sociale e che fosse più ampio dell’orizzonte aziendale.

E pensò, (oggi il Cardinal Ravasi ci ha dato quella bellissima definizione di “tempio”) a un tempio del lavoro che riunisse armonicamente tutte le componenti del lavoro, e quindi fece un accordo con la Federazione dei Maestri del Lavoro, che sono i dirigenti d’azienda che hanno ben meritato dopo una lunga militanza in azienda, e con gli Anziani, che sono quelli che hanno trascorso tutta la vita in un’azienda. Fece con loro un patto per la costituzione di un Ente che dopo si chiamò Palazzo della Civiltà del Lavoro, perché prima nacque l’alleanza tra le tre componenti del mondo del lavoro e poi la ricerca del luogo dove fondare questo tempio che riunisse in armonia e componesse quei dissidi, quei conflitti, quella lotta di classe che qualcuno andava predicando.


Il commissario dell’Ente Eur era un suo carissimo amico, il senatore Aldo Ferrabino, un grande latinista, un umanista dei vecchi tempi. Pozzani chiese a Ferrabino la concessione di Palazzo della Civiltà, il Colosseo quadrato, che non era stato finito. Il Palazzo della Civiltà aveva i suoi archi ma all’interno era vuoto. Pozzani prese il palazzo e fece quel tempio del lavoro che chiamò Palazzo della Civiltà, quel palazzo si chiamava Palazzo della Civiltà Italiana e lo ribattezzò il Palazzo della Civiltà del Lavoro. La prima cosa che Pozzani disse fu “noi dobbiamo favorire l’incontro dei giovani con il mondo del lavoro”; e quindi si dette il programma di organizzare, prima a Roma e poi in tutta Italia, un programma intenso di incontri tra i giovani e il mondo del lavoro. Ma una cosa è dirlo, una cosa è farlo.

E poi ebbe l’intuizione di premiare assieme e a fianco dei Cavalieri del Lavoro i 25 migliori studenti d’Italia. Dice: “Se noi a fianco di ogni Cavaliere, che è colui che ha realizzato successi in campo imprenditoriale, mettiamo un giovane che comincia la sua storia ma che ha dimostrato di impegnarsi alla stessa maniera e con lo stesso merito, forse facciamo la fortuna di quei giovani o diamo un’indicazione e un esempio”.


E fu facile convincere lo Stato a dare questo riconoscimento. E quindi nacquero gli Alfieri del Lavoro, che erano coloro che avrebbero dovuto assieme agli imprenditori, favorire l’incontro dei giovani con il mondo del lavoro. Ma non tutti i Cavalieri erano d’accordo, anche Pozzani ebbe qualche resistenza, e quindi cercava e sognava una persona capace, che credesse in un progetto del genere, che avesse la sensibilità umana e sociale, che avesse quell’ideale, quella spiritualità che lo spingesse a credere a un progetto del genere e che ci si dedicasse.

E tante mattine all’alba, quando andavo da lui prima di andare a fare l’altro lavoro, mi raccontava questi progetti, questi programmi che sembravano dei sogni, finché una mattina gli dissi “presidente, io ho la persona giusta: se conosce Giovanni Cavina, troverà la persona che le fa questo programma molto più e molto meglio di quanto lei lo descriva e lei lo descrive benissimo perché è nato per questo; io l’ho visto all’opera in una situazione drammaticamente più difficile”. E dice: Portamelo”. E una mattina portai a Via di Ripetta n. 1, al terzo piano, Giovanni Cavina, al quale, siccome era rimasto senza lavoro, avevo trovato un altro posto: era direttore dell’Air Terminal, e devo dire che non è che questo lavoro lo entusiasmasse.


Lo portai da Pozzani, l’intesa fu immediata. Cavina venne al Palazzo della Civiltà del Lavoro, cominciò a lavorare, fece il programma, realizzò un programma infinito di incontri in giro per l’Italia e poi da lì tutto il programma di “Panorama per i Giovani”. E poi nacque la Residenza universitaria dei Cavalieri del Lavoro, che fu una trasformazione di una donazione dei fratelli Lamaro di un terreno destinato a una casa per gli anziani e che invece Pozzani riconvertì, con il consenso dei donatori e dei suoi successori, in una casa per gli universitari.

Un luogo che ha prodotto un magnifico rettore della Sapienza e tanti altri personaggi che siete voi, e che oggi si chiama Collegio Universitario di Merito. A questa missione, a questo apostolato, Cavina si è dedicato con la stessa passione, con la stessa spiritualità, animato dagli stessi ideali con i quali aveva compiuto quella trasformazione che sembrava impossibile nel Fucino.


Perché questo era Cavina, uno che voleva andare oltre, che sapeva guardare in alto, che aveva la dimensione verticale e quella orizzontale per dirla con Ravasi, che era ispirato ma che aveva una fortissima empatia, che entrava in contatto con i giovani purché fossero vogliosi di quella ricerca di verità, di quell’impegno e quindi volessero guadagnarsi ciò che volevano con merito e fatica. E fa piacere leggere, nel volume a lui dedicato, L’abbazia laica. Giovanni Cavina educatore visionario, quelle testimonianze meravigliose che sono la introduzione ai singoli temi o al singolo blocco degli editoriali di Cavina, perché c’è una perfetta corrispondenza e sintonia tra ciò che Cavina era e che traspare dai suoi scritti, e quello che i presentatori hanno assorbito e restituiscono; una serie di testimonianze che dicono che la fortuna chi la trova se la sa anche guadagnare, e che finché ci sono persone come queste, potrà essere conseguita per la migliore fortuna di questo Paese al quale Gianni Cavina ha dato tanto.

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