Articolo pubblicato nella rivista n.3/2024 di Civiltà del Lavoro
L’idea dell’Europa rimane forte. È uscita confermata dalle elezioni europee di inizio giugno in cui il centro popolare ha retto. Parte della destra populista è entrata nel sistema europeo. Non c’è più nessuno che chieda esplicitamente di uscire dall’Unione europea e neppure dall’euro. E alle elezioni inglesi sono stati duramente sconfitti i conservatori che avevano voluto la Brexit”.
A parlare è Daniel Gros, economista e attualmente direttore dell’Istituto europeo e policy making dell’Università Bocconi di Milano. Con lui abbiamo fatto una riflessione sui risultati della tornata elettorale di giugno-luglio, tra elezioni europee, elezioni legislative francesi e inglesi.
Professor Gros, alle europee tuttavia c’è stata un’avanzata delle destre nazionaliste euroscettiche, che vorrebbero un’Unione europea concentrata su meno competenze e non vogliono il superamento del diritto di veto. Come convivere con queste spinte?
Le spinte nazionaliste, arginate alle elezioni legislative francesi con la sconfitta della Le Pen grazie alle desistenze, sono piuttosto vaghe. In concreto, esercitano un’azione di freno su alcune iniziative europee, ma sinora non hanno proposto un modello alternativo di Unione europea.
Sulle politiche europee concrete, dall’industria alla difesa comune, al Green Deal, cosa potrebbe accadere?
Sulla politica industriale e dei dazi, come quelli recentemente imposti in via transitoria sulle auto elettriche cinesi che godono di contributi pubblici, i nazionalisti dovrebbero essere d’accordo, perché sono politiche di protezione della produzione europea e nazionale. Della difesa comune si è parlato molto, ma sinora si è combinato poco. Sul Green Deal e le politiche ambientali, su cui sono già pressoché completati le direttive e i regolamenti, è prevedibile che ci sarà un rallentamento della fase di attuazione e un confronto tra Unione e Stati membri che potrebbe portare a qualche aggiustamento pratico. Ma è difficile che il Green Deal venga rimesso in discussione. Poi, sulla difesa ci possono essere iniziative extra UE. Ricordo che l’Italia è impegnata nello sviluppo di un caccia di ultima generazione con Gran Bretagna e Giappone e che la Germania ha promosso uno scudo integrato di difesa aerea basato su missili balistici (European Sky Shield Initiative, Essi), sul modello dell’Iron Dome israeliano, cui hanno aderito sinora 21 paesi, tra cui Norvegia e Svizzera che non fanno parte dell’Unione europea.
Ha fatto scalpore la visita del premier ungherese Orban, presidente di turno della UE, a Putin. Il presidente uscente del Consiglio europeo Michel si è affrettato a dire che Orban non aveva mandato per parlare a nome della UE. Pensa che il sostegno all’Ucraina possa dividere l’Unione europea?
Dopo il risultato delle elezioni legislative francesi e il vertice NATO in USA, non credo che il sostegno all’Ucraina possa creare divisioni in Europa, al di là del protagonismo di Orban. La Francia, la cui politica estera dipende dal Presidente della Repubblica, resta saldamente ancorata alla NATO. E poi il destino dell’Ucraina dipende soprattutto dal sostegno degli Stati Uniti. Quindi il vero quesito è che cosa accadrebbe in caso di vittoria di Trump alle elezioni presidenziali di novembre. Ma nessuno è in grado di rispondere a questa domanda.
Anche il governo tedesco del Cancelliere Scholz è uscito indebolito dalle elezioni europee. Come potrebbe influire questa debolezza sul futuro dell’Europa?
Non vedo grandi cambiamenti. Sia perché la Germania non è mai stata il motore di una maggiore integrazione, sia perché le europee hanno rafforzato la CDU-CSU, che è il perno del partito popolare europeo che ha espresso Ursula Von der Leyen. Non credo che ci saranno sorprese neppure in Germania: penso che la legislatura tedesca andrà a scadenza naturale, sia pure con qualche scossone dovuto alle elezioni regionali dove l’AfD potrebbe rafforzarsi soprattutto nei Laender orientali.
La forte affermazione dei laburisti in Gran Bretagna potrebbe avviare un processo di riavvicinamento all’Unione europea?
Non credo a ipotesi di rientro della Gran Bretagna nell’Unione europea, escluse del resto dallo stesso neo primo ministro Starmer. Aumento delle collaborazioni e delle intese possono invece essere possibili, come ha dichiarato il neo ministro degli Esteri Lammy, con un approccio meno ideologico e più pragmatico. Qui si può spaziare dai programmi di ricerca al programma Erasmus, dalle collaborazioni economiche per facilitare l’ingresso di lavoratori europei, a intese sulla difesa. La Gran Bretagna potrebbe, per esempio, entrare nello scudo di difesa antiaerea.
Veniamo ai rapporti Italia-UE. La nostra premier è uscita rafforzata dal G7 e dalle elezioni europee, ma poi si è ritrovata isolata in Europa sulla scelta delle cariche di vertice. Come mai?
Perché in Europa si è ricostituita la maggioranza di centrosinistra tra popolari, socialisti e liberali, che ha scelto le cariche di vertice con il consenso di 25 governi su 27. Questa maggioranza non poteva negoziare con i conservatori e accettare il loro appoggio esplicito. E certo in questo caso non ha giovato a Meloni essere capo del governo italiano e allo stesso tempo capo del gruppo conservatore ECR.
C’è il timore diffuso che l’indebolimento del cosiddetto asse franco-tedesco non consentirà all’Europa di fare significativi passi avanti.
Non prevedo passi avanti significativi sulla strada dell’integrazione. Basterebbe che l’Unione fosse in grado di gestire e attuare i progetti già avviati: sarebbe moltissimo. Dopo di che, l’Unione europea ha progredito soprattutto reagendo alle sfide esterne, come abbiamo visto coi vaccini anti Covid e col Next Generation EU. La prossima sfida potrebbe venire dall’eventuale presidenza Trump negli Stati Uniti, che obbligherebbe l’Unione europea ad affrontare davvero il tema della difesa comune e di un maggiore impegno a sostegno di Kiev.