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IL POTENZIALE AFRICA | Civiltà del Lavoro 4-5/2024

02.02.2025

Negli ultimi anni il dibattito pubblico sull’Africa ha assunto un taglio sempre più economico e geopolitico. Accanto al tema dell’immigrazione, che ha contribuito non poco a creare una visione parziale di questo immenso continente, si è sviluppato un maggiore interesse sugli aspetti più squisita mente economici, vuoi per il tasso di crescita di alcuni paesi (Mozambico, Tanzania), vuoi per la questione demografica, che vede un’età media decisamente più bassa rispetto all’Europa e dunque un mercato potenziale interessante per le imprese italiane; il settore dell’agribusiness non fa eccezione. Di questo e altro abbiamo parlato con Massimo Dal Checco, presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo, l’associazione che supporta le imprese italiane nel loro percorso di crescita in Africa e Medio Oriente e di cui fanno parte Pmi, gran di gruppi industriali, banche e associazioni del sistema Confindustria.

Presidente Dal Checco, l’Africa è considerata un continente strategico per le sue molteplici risorse naturali. L’Europa punta ad avere un approccio collaborativo attraverso il progetto Global Gateway per l’Africa e sulla stessa scia si inserisce il Piano Mattei voluto dal governo italiano. Dal vostro punto di osservazione, in che misura oggi le imprese italiane sono presenti?
Dal nostro punto di vista, il Piano Mattei può accelerare quel processo, in corso in questi ultimi anni, che vede sempre più Pmi attive e presenti nei mercati africani, dove prima operavano quasi esclusivamente i grandi gruppi industriali. Tra i nostri associati, il numero di piccole e medie imprese è in continua crescita.
Sono le stesse controparti africane a esprimere grande interesse per le tecnologie e i macchinari che possano favorire l’industrializzazione e la diversificazione delle economie locali.
Tuttavia, la presenza del tessuto imprenditoriale italiano nel continente è ancora limitata, sia dal punto di vista de gli investimenti che dell’export. L’Africa potrebbe assorbire ben più dell’attuale 3,3% dell’export italiano totale. Come associazione, oltre a informare costantemente sulle opportunità di business nel continente, stiamo facendo un lavoro di comunicazione sui procurement delle istituzioni finanziare internazionali, delle agenzie di Cooperazione, delle agenzie Onu e delle banche di sviluppo che hanno progetti in loco, in quanto li consideriamo un ottimo canale per cominciare ad operare in questi paesi, soprattutto per le aziende che ancora non conoscono questi mercati.

L’agricoltura è uno dei settori con maggiori prospetti ve per le aziende italiane. Che tipo di know how espor tano nei paesi africani? Quali sono le complessità le gate al trasferimento tecnologico?
Le opportunità nell’agribusiness in Africa sono molteplici e lungo tutta la filiera: dalla produzione ai macchinari, allo stoccaggio, alla catena del freddo fino al packaging. Le nostre imprese sono molto attive nei sistemi di irrigazione di precisione, nelle pompe idrauliche, nella produzione contro stagione di frutta e verdura. Tra le nostre aziende associate abbiamo anche aziende che progettano, producono e commercializzano macchine e sistemi per lo stoccaggio dei prodotti agricoli sfusi, come cereali, grano, soia, semi di cacao, in Costa d’Avorio e in Algeria. Un altro settore in forte crescita è quello legato alla catena del valore dei biocarburanti.
Infine, insieme a fiere italiane quali Macfrut, il principale evento mondiale dedicato all’ortofrutta, ed Eima, specializzata sui macchinari agricoli, stiamo lavorando insieme per far conoscere i mercati africani alle imprese italiane e per rafforzare i legami con i buyers africani del settore.

Quali attività di formazione si rendono necessarie per il personale locale?
La formazione dei giovani e del personale locale è un te ma imprescindibile per qualunque progetto implementato con partner africani. Dalla formazione manageriale a quella tecnica, il rafforzamento delle skills del personale in loco è una priorità delle nostre imprese che operano in questi paesi.
Tra i nostri associati, abbiamo aziende specializzate proprio nella progettazione, nello sviluppo e nella produzione di attrezzature per la formazione tecnica e nell’implementazione di corsi professionali, alle quali i governi africani spesso si rivolgono per la costruzione di centri di formazione. Alle attività delle singole imprese si aggiungono i progetti, i webinar e le iniziative in materia di formazione organizzati da Agenzia Ice e dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics), ma anche di realtà come E4Impact, molto attiva in Africa.

Quali difficoltà affrontano le imprese italiane, anche le Pmi, che abitualmente lavorano con l’Africa?
Le aziende che operano in questi paesi ci segnalano spesso difficoltà con la riscossione dei pagamenti a causa della scarsità di valuta estera. Un altro problema riguarda l’accesso ai finanziamenti per gli investimenti e la poca rappresentatività del sistema bancario italiano in questi mercati. Apprezziamo gli sforzi che Cassa Depositi e Prestiti, Sace e Simest stanno facendo, nel quadro del Piano Mattei, per creare nuovi strumenti e rafforzare quelli esistenti, volti a sostenere l’affiancamento finanziario e assicurativo e permettere alle imprese nazionali di investire e operare in modo stabile nei paesi partner. Non ultimo, i paesi dell’Africa subsahariana rappresentano ancora, per molte imprese italiane di piccole dimensioni, mercati poco conosciuti e nei quali bisogna investire tempo e risorse, in cui occorre essere presenti, conosce re personalmente gli interlocutori, impegnarsi nella formazione del personale locale, muoversi in forma aggregata e per filiere. L’export “mordi e fuggi” non funziona come in altri mercati più strutturati.

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