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RICETTE contro la denatalità | Civiltà del Lavoro 4-5/2024

02.02.2025

La prima sessione del Convegno Nazionale della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro ha visto protagoniste sul palco le esperienze di Elena Goitini, Ad di Bnl e responsabile Bnp Paribas per l’Italia, e dei Cavalieri del Lavoro Vincenzo Divella, Ad di F. Divella, e Olga Urbani, presidente della Urbani Tartufi.

ELENA GOITINI: Far lavo rare insieme le generazioni
Il contesto economico è a rischio, sono molti i paesi sotto il 2,1% di natalità; erano poco più di 90 nel 1980, sono diventati 123 nel 2021, diventeranno 136 nel 2030. Questo significa che abbiamo un problema. Pensando alla finanza, oggi i giovani non entrano in banca perché usufruiscono dell’ecosistema finanziario cui una banca può permettere di accedere, ma non lo fa per il tramite della banca per come la immaginiamo oggi. Per me, quindi, la demografia è importante per capire come devo ripensare il mio modello operativo distributivo. Poi è chiaro che oggi gestire il capitale umano all’interno di una banca, come di qualsiasi azienda, richiede di comprendere bene come far evolvere quel tipo di competenze e come ne devo creare di nuove.
Essendo consapevoli che quello che facciamo oggi darà risultati tra 20-25 anni. Possiamo però trovare soluzioni tattiche accanto alle soluzioni strategiche, per includere meglio e colmare i nostri ritardi: per esempio solo il 55,8% di occupazione femminile che, rispetto alla media europea è indietro di quasi 20 punti.
Abbiamo parlato poco di generazioni, in Italia abbiamo un’età media di 49 anni col 30,5% di over 55. Uno dei problemi più importanti che abbiamo è di far parlare in azienda più generazioni. Oggi ne abbiamo quattro: i baby boomer, di cui io sono una orgogliosissima rappresentante, e poi gli X, Y, e Z; li abbiamo tutti, e devono la vorare bene insieme.
Sento tantissimo parlare di scontro generazionale, di conflitto, a me piace pensare ad un’alleanza, alla capacità di costruire un ponte. Abbiamo per esempio istituito il “reverse mentoring”. Anche io ho un mentor, molto più giovane di me che mi sta sdoganando il potenziale della tecnologia. È una persona che mi aiuta a comprendere come la tecnologia mi può rendere più semplici delle cose che magari mi assorbono un sacco di tempo, liberandomene tanto.
Il “reverse mentoring”, creare delle community a cui gli over 55 contribuiscono, non creando delle barriere ma mettendosi al servizio degli altri, fa tanta differenza. Ho anche l’onore di essere presidente del Consorzio Elis, che si occupa di formazione con l’obiettivo di “include re per crescere”, cioè, considerare l’inclusione non come qualcosa che, prima faccio bene, quindi raggiungo una buona situazione finanziaria e poi destino una parte degli utili a fare del bene, a fare charity.
Occorre invece considerare l’inclusione come un’inversione di paradigma, come uno strumento per poter crescere meglio, quindi più nel lungo termine.
In Elis sono capaci di fare sistema e questa è una cosa che a noi italiani riesce un po’ meno bene che ad altri. Dobbiamo fare sistema, dobbiamo fare in modo che pubblico, privato, istituzioni e accademia riescano a lavorare meglio insieme guadagnando scala. Questo è estremamente importante.

VINCENZO DIVELLA: Punta re su tecnologia e immigrati
Credo che oggi le tecnologie sono l’unica vera risposta al calo demografico per continuare a far crescere il nostro benessere. Siamo in una fase particolare, densa di evoluzioni tecnologiche, la capacità di calcolo progredisce rapidamente, la ricerca di energia a costi bassi, vedi gli avanzamenti nelle fusioni nucleari, lo sviluppo della blockchain in grado di memorizzare dati di qualsiasi tipo, la robotica avanzata, sono solo degli esempi di questa tecnologia avanzata.
Ma se si guarda alla complementarità tra le nuove tecnologie digitali e il fattore lavoro, è importante ricordare quanto, per l’adozione dell’innovazione, siano cruciali i giovani: per la loro apertura mentale, la capacità di assumere rischi e anche per la loro familiarità con le nuove tecnologie. Secondo uno studio di un’università americana, il 60% delle nuove startup tecnologiche di successo è fondata da giovani di età inferiore ai 35 anni. La domanda che ci dobbiamo porre allora è: ma se ci sono meno giovani, che cosa succede della tecnologia?
Permettetemi di fare alcune considerazioni personali e alcune idee proprie per il futuro. Io non vedo soluzioni immediate, i dibattiti che in questi giorni ci sono sui giornali sono di ripensare alle politiche migratorie per attrarre più persone, far fuggire meno i cervelli. Dall’altra parte, portare più gente al lavoro, in particolar modo giovani e donne.
Francesco Bizzarri, rettore dell’Università Bocconi, ha evidenziato che una maggiore immigrazione può rallentare o invertire il declino delle nascite. Se non ci fossero state le migrazioni interne dal Sud al Nord, il Nord-Ovest avrebbe oggi molti meno abitanti. L’integrazione forse non è stata facile, ma il processo di migrazione interna è stata cruciale per il boom economico del dopoguerra. Ora le migrazioni interne non bastano e bisogna contare sulle immigrazioni di altri paesi. Nel 2023 l’8,6% della popolazione residente in Italia era straniera, in Germania siamo oltre il 13%.
Il contributo degli stranieri sia alla produzione in termini di maggiori ore lavorative, sia alla crescita demografica, è importante e andrebbe sostenuto per combatte re l’inverno demografico.
Dobbiamo agire anche per arginare le fughe dei cervelli. Ad oggi sono moltissimi i ragazzi che lasciano il nostro Paese per andare a studiare o a lavorare, ma anche per creare impresa, all’estero. In uno studio recente si stimava che, ogni mille italiani emigrati tra il 2008 e il 2015, ogni anno sono state registrate circa 36 imprese in meno. Questa “fuga di imprenditorialità” è particolarmente grave per le imprese di persone di età inferiore ai 45 anni e gravissima per le startup innovative.
Politiche mirate, come investimenti in istruzione, ricerca, startup, infrastrutture digitali, possono creare un ambiente favorevole ai giovani innovatori.
Io sono stato assunto più di 60 anni fa in quinta categoria in azienda. Dopo anni e anni, sono arrivato a fare l’amministratore. Perché non raccontarlo ai giovani? Raccontare noi, anche come Cavalieri del Lavoro, le nostre esperienze, la nostra vita, quello che siamo riusciti a fare, credo che sia un orgoglio per noi e uno slancio per i giovani a restare da noi a tentare la fortuna del lavoro.

OLGA URBANI: Il nostro impegno per una vera impresa sociale
Rappresento un’azienda che vive da 172 anni ed è sempre stata a Scheggino, piccolissimo paese della Valnerina. È talmente piccolo che è diventato famoso nel mondo perché esportiamo in 80 paesi circa 600 prodotti a base di tartufo. Ora stiamo raddoppiando la superficie della produzione e dobbiamo meccanizzare tutti i processi perché non troviamo manodopera. Noi siamo arrivati alla settima generazione e i nostri dipendenti erano prima il nonno, poi il padre, poi il figlio. Ma oggi anche questo è più raro. Il costo del lavoro è diventato altissimo perché dobbiamo offrire cifre incredibili per portare da noi manager o persone altamente specializzate.
Abbiamo anche un’azienda che produce alberi da tartufo in cui pratichiamo, da otto anni, la tartuficoltura, cosa che in Spagna è iniziata trent’anni fa ed è il motivo per cui gli spagnoli sono i più forti al mondo nel tartufo. Lo dico con un po’ di tristezza perché, fino a cinquant’anni fa, i primi al mondo eravamo noi italiani. Abbiamo iniziato a utilizzare personale extra Ue con tutte le problematiche del caso. Devo di re che l’Umbria forse è ancora un paradiso isolato in cui si trovano queste persone, ovviamente regolari e ben pagate. Siamo impegnati a realizzare una vera impresa sociale, che mi piace chiamare “la grande famiglia del tartufo”, dove la persona è al centro e anche nella costruzione di questi nuovi stabilimenti la persona è sempre al centro, sono tutti di vetro immersi nel verde.
Auspico che la Federazione dei Cavalieri del Lavoro sollevi il problema che affligge ogni nostra azienda e possa avare un impatto, un dialogo con le istituzioni che devono prendere le decisioni.

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