Fate i buoni è uno degli ultimi claim pubblicitari della Balocco. Ma era anche una frase che piaceva molto ad Aldo Balocco, 91 anni, presidente onorario dell’omonima azienda, scomparso la notte tra venerdì e sabato. Proprio la forza della comunicazione pubblicitaria è stata una delle rivoluzioni introdotte dal «ragionier Balocco» nella storica azienda dolciaria da lui portata ad essere una delle realtà industriali più note e solide del Paese. La storia inizia a Fossano, in provincia di Cuneo, nel 1930: la mamma muore durante il parte e Aldo viene allevato prima dalle zie e poi dalle commesse delle pasticcerie paterne. Intanto però arriva la guerra che distrugge entrambe le pasticcerie di famiglia. Nel 1943 Aldo e H padre sono costretti a scappare a Dogliani, nelle Langhe, rifugiandosi in una cascina accanto ai poderi di Luigi Einaudi.
Aldo studia a Cuneo dove lo accoglie lo zio Piero Cussino, fratello minore della mamma, che è anche l’artefice della straordinaria rinascita del cioccolato Venchi. Terminati gli studi, Aldo Balocco ritorna al paese dove il padre ha rimesso in piedi le due pasticcerie. Finita la guerra, però, è tempo di pensare in grande e nasce il primo stabilimento con 30 addetti e vengono installati i primi forni per la produzione di panettoni. Aldo non ha ancora vent’anni, ma sin da piccolo è vissuto in mezzo ai pasticceri e ha già le idee ben chiare: l’attività dei negozi, con la pasticceria fresca è ben avviata, ma il lavoro si concentra perlopiù nei fine settimana.
Come sfruttare al meglio la capacità produttiva del laboratorio? Un giorno Aldo rivela a suo padre il suo sogno che si rivelerà un’intuizione imprenditoriale: «Dobbiamo insistere sulla pasticceria secca e cominciare a produrre dolci da vendere all’ingrosso». Ma per poter spingere panettoni della Balocco oltre i confini di Fossano e della provincia cuneese, occorreva superare l’ostacolo della loro conservazione. E arriva nel 1955 uno dei momenti chiave del successo: Aldo Balocco assume un giovane lombardo, sfollato a Cuneo negli anni bui della guerra, che aveva lavorato a Milano alla Motta e all’Alemagna, già all’epoca due colossi dell’industria dolciaria. Ermanno Crespi, originario di Abbiategrasso, introduce a Fossano la tecnologia della «lievitazione naturale». I due immaginano e progettano un panettone del tutto nuovo, una sintesi tra le tradizioni regionali tra Piemonte e Lombardia: alto come quello milanese, ma glassato come quello basso piemontese. Nasce così il «Mandorlato Balocco», un panettone che diventerà ambasciatore in tutto il mondo dell’azienda di Fossano.
Nel 1970 la Balocco si sposta nella nuova sede di via Santa Lucia, sempre a Fossano: 20.000 metri quadrati contro i 5.000 del precedente stabilimento. Arrivano nuovi e più moderni macchinari e sotto la guida di Aldo l’azienda continua a crescere. Proprio negli anni Settanta la pubblicità diventa una delle leve vincenti dell’azienda: si comincia con l’immancabile Carosello del ’75 mala svolta è quando Aldo Balocco decide di affidare le sorti del suo mandorlato alle soubrette più famose del momento, le gemelle Alice e Ellen Kessler: ed è sulle loro famosissime gambe che il mandorlato entra nelle case di tutti gli italiani. Belle gambe da ballerina, soubrette e grande popolarità è una formula che si ripete parecchi anni dopo con Heather Parisi, protagonista di una campagna pubblicitaria che fece epoca negli anni Ottanta. Nel 1990 entrano in azienda Alessandra ed Alberto, terza generazione della famiglia Balocco, che ha condotto il passaggio a un’azienda che produca non più soltanto dolci delle feste (panettoni e colombe) ma anche bakery e prodotti per la colazione. Oggi la Balocco dispone di oltre 75.000 mq coperti, con dieci impianti di produzione per biscotti da prima colazione, lievitati da ricorrenza e wafer. Negli ultimi dieci anni ha sostenuto investimenti tecnologici per oltre 1oo milioni di euro. Sviluppa un giro d’affari di 200 milioni di euro, con 5oo addetti, ed esporta in oltre 7o Paesi nel mondo. L’intuizione del «signor Balocco» era proprio corretta.
Articolo pubblicato il 3 luglio da il Corriere della Sera