Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2017
27 DOSSIER CIVILTÀ DEL LAVORO IV • V - 2017 C’è stato un indebolimento delle frontiere che ha porta- to questi flussi migratori e poi il tutto è stato ingigantito dai media e anche i vari partiti populisti hanno cavalcato l’onda di questa situazione. Tutto è interconnesso e queste tendenze si possono ve- dere in diversi paesi del mondo. La reazione antiglobaliz- zazione è eterogenea, c’è il terrorismo nel nome dell’I- slam, c’è l’islamofobia (discriminazione dell’Islam) e ci sono anche movimenti di sinistra che rifiutano gli accordi bilaterali, come pure fa la destra. Il denominatore comune è il rifiuto della globalizzazione, dell’interdipendenza e degli sforzi collettivi di gestire tut- to questo. Sforzi che alla fine hanno mantenuto il mondo in pace e prosperità per settant’anni. Il ritirarsi da questi sforzi implica molti rischi e pericoli. L’e- rosione della cooperazione globale è il quarto e ultimo elemento della mia slide, che porta a chiudere il cerchio. Siamo passati dal circolo virtuoso che vi ho presentato all’inizio (interdipendenza che ha portato alla prosperità nel dopoguerra) a una sorta di stallo negativo, che gene- ra una globalizzazione mal gestita con il ritorno di fiam- ma dei movimenti populisti e una riduzione della coope- razione internazionale. Adesso concludo riassumendo il tutto. Data la situazione attuale la democrazia sta a mezza strada fra la dispera- zione e la speranza, perché ha la possibilità di contene- re il dispotismo e perché tutte le decisioni politiche sono sempre soggette allo scrutinio parlamentare e sottopo- ste al commento dei media. Tutto questo è legato a una storia di secoli di dibattito politico. Dal ’45 in poi la democrazia è sempre stata sostenuta da- gli accordi del dopoguerra e ci sono state anche delle svol- te che hanno dato uno slancio all’economia, alla stabilità geopolitica e via dicendo, ma quello che funzionava allo- ra adesso funziona meno, perché ci troviamo in una fase di stallo in cui non si è più in grado di risolvere i problemi (crisi finanziaria globale, flussi migratori, modelli di terro- rismo che cambiano). La guerra al terrorismo dopo l’11 settembre fa sì che la politica del compromesso non fun- zioni più, dando adito a questi populismi. Questa è la macrotendenza di adesso, anche se non è im- mutabile, come ci ricorda un grande filosofo tedesco, cioè che la saggezza viene quando ci si guarda alle spalle e difficilmente quando si guarda avanti. Noi non sappiamo come finirà questo circolo vizioso, ma sappiamo che c’è una grande sfida che incombe sul futuro della nostra vi- ta pubblica. • David Held Guido Finato Martinati, Presidente Gruppo Triveneto obbligati a guardare avanti C’è un filo rosso che lega idealmente i convegni organizzati dai Cavalieri del Lavoro sotto la presidenza D’Amato ed è la rifles- sione sul destino delle democrazie occidentali. Lo mette in luce Guido Finato Martinati, alla guida del Gruppo Triveneto, che, nel dare il benvenuto agli ospiti e illustrare il tema del Convegno, descrive il crinale lungo cui si muovono da qualche tempo le democrazie europee, strette da un lato dalla “dinamicità, forse apparente, dei regimi autoritari e la nostra incapacità di rialza- re tangibilmente la testa e tornare a percorrere la strada delle crescita duratura, del benessere diffuso, della solidarietà reale”. Ad accrescere l’instabilità ha contribuito in tempi recenti la scel- ta del Regno Unito di uscire dall’Unione europea, sintomo pro- babilmente del fatto che “il progetto Ue non è mai decollato compiutamente: complici le divisioni all’interno dell’Eurozona”. “Nell’Unione – spiega Martinati – manca un’identità politica prima ancora che una politica economica e una politica estera comuni”. In tutto ciò l’Italia è parte di questo scenario, in quanto si misu- ra con una grave crisi economica che peggiora i problemi di cui soffre da tempo, ovvero la bassa produttività e la forte disoccu- pazione giovanile. È come se il Paese non riuscisse a valorizzare i tanti fattori competitivi di cui dispone e che Martinati, invece, ricorda al pubblico essere tanti: il capitale umano, il patrimonio artistico e culturale, la grande tradizione manifatturiera, l’unicità dello stile di vita e non ultima la posizione geografica. La sfida, dunque, è lanciata. “Abbiamo l’obbligo – conclude – di guarda- re avanti e contiamo che anche i nostri governanti, italiani ed europei, abbiano lo stesso grado di responsabilità, sentano gli stessi obblighi, si facciano pervadere dalla stessa indole che ab- biamo noi imprenditori”.
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