Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2017

CIVILTÀ DEL LAVORO IV • V - 2017 30 DOSSIER della produttività è crollato negli Stai Uniti (anche in Ita- lia la crescita della produttività è stata bassissima, ma qui la questione va al di là del minor progresso tecnologico). Alcuni hanno sostenuto che è tutto un problema di mi- surazione: i metodi tradizionali di misurazione del Pil non catturerebbero gli effetti dell’informatizzazione dell’eco- nomia. Altri, come l’economista americano Robert Gordon e tendo a concordare con lui, pensano invece semplice- mente che l’innovazione tecnologia che abbiamo speri- mentato negli ultimi decenni non è per nulla comparabi- le alla rivoluzione tecnologica che si verificò tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo. La crescita del- la produttività resta, invece, elevata nei paesi emergen- ti essenzialmente per lo spostamento massiccio di forza lavoro dal settore agricolo agli altri settori. La quarta causa dei fenomeni in atto nelle economie avan- zate è la crescita, che ormai definirei ipertrofica, del siste- ma finanziario. Per esempio, la quota dei servizi finanziari nel Pil statunitense è cresciuta dal 2,8% nel 1950 all’8,3% poco prima della crisi del 2008-2009. Non è questa la sede per discutere a fondo perché si sia manifestata una cre- scita così rapida, ma credo che la progressiva deregola- mentazione del sistema finanziario nel corso degli ultimi decenni, interrotta soltanto dalla crisi finanziaria globale del 2008-2009, ne sia una causa fondamentale. La finanziarizzazione dell’economia dei paesi occidentali ha comportato una maggiore fragilità della stessa, cui si è solo di recente cercato di porre rimedio, attraverso un rafforzamento della regolamentazione finanziaria, con ri- sultati ancora solo parziali a mio giudizio. Questi fenomeni (calo demografico, rallentamento tecno- logico, globalizzazione, finanziarizzazione dell’economia) hanno ridotto le prospettive di crescita e aumentato l’in- certezza economica per la maggior parte della popola- zione dei paesi avanzati. Non c’è quindi da stupirsi se si siano verificate reazioni di rigetto per almeno alcuni di questi fenomeni e, in generale, se sia cresciuta un’insod- disfazione verso l’establishment dei paesi avanzati che ri- assumiamo spesso con il termine populismo. C’è il rischio che la reazione politica a fronte di questi svi- luppi sia quella di cercare soluzioni semplicistiche (popu- liste mi verrebbe da dire) e puntate sul breve periodo. Il tentativo potrebbe essere – e abbiamo segni evidenti di questa tendenza negli Stati Uniti ma anche in paesi eu- ropei – di usare la finanza pubblica, l’aumento del debito pubblico o il rallentamento nei processi di correzione fisca- le nei paesi che già hanno un debito alto, come strumento per comprare il consenso e generare una crescita drogata. Ci potrebbe essere anche la tentazione di continuare po- litiche monetarie troppo espansive troppo a lungo, in particolare negli Stati Uniti dove l’economia ha raggiun- to ormai uno stato di piena occupazione, con il rischio di alimentare bolle finanziarie. Vale la pena di ricordare in NEGLI STATI UNITI C'È IL RISCHIO ELEVATO CHE, PER SOSTENERE NEL BREVE PERIODO L'ECONOMIA, SI TORNI A UNA FASE DI DEREGOLAMENTAZIONE FINANZIARIA

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