Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2017
CIVILTÀ DEL LAVORO IV • V - 2017 38 DOSSIER nell’euro, la cultura della stabilità di Ciampi, di Andreat- ta e di tanti altri, cioè l’idea che sia fondamentale ridur- re il debito pubblico. È chiaro che, per chi ha il problema di vincere le elezioni fra sei mesi, poter elargire più soldi rappresenti una bella utilità. Ciò detto, non sono un difensore del Fiscal Com- pact così com’è, perché avrebbe comportato un aggiusta- mento troppo rapido. Il Fmi ci critica e ci ricorda che, dal 2013 a oggi, noi italiani abbiamo ridotto l’avanzo prima- rio. Tenendo conto che nel frattempo la crescita econo- mica da negativa è diventata positiva, l’avanzo primario avrebbe dovuto migliorare. Il fatto che invece sia peggio- rato indica che l’andamento di fondo dei nostri conti ha registrato un peggioramento, secondo le stime del Fon- do, di due punti di Pil. Naturalmente non sono questi i ragionamenti che preval- gono in Parlamento, dove c’è il partito unico della spesa pubblica. Credo che tutti dobbiamo fare qualcosa per ar- ginare questo “partito”. Adesso, ad esempio, assistiamo al tentativo di tornare indietro sulla riforma pensionistica; bisogna ribadire chiaramente quanto affermato dal go- vernatore Visco e cioè che l’invecchiamento della popo- lazione ci impone di adottare certe regole pensionistiche. La crescita la devono fare le imprese. È presente una cri- tica all’imprenditoria, ma va sottolineato che la crescita che abbiamo sperimentato nel dopoguerra è dovuta alle imprese. Una critica frequente dice che ci sono imprendi- tori che hanno fatto la scelta di andare nei settori protetti della rendita, delle concessioni pubbliche. È una critica che non capisco: se lo Stato – rappresentato nella fattispecie da alcune delle sue figure più prestigio- se come Ciampi o Draghi – ti chiede di comprare un’au- tostrada, perché un imprenditore non dovrebbe farlo? L’imprenditore va dove sono presenti delle possibilità di guadagno. E se il guadagno in qualche caso è eccessivo, ammesso che lo sia, l’eventuale demerito è dello Stato che ha concesso condizioni troppo favorevoli, non certo dell’imprenditore. LUCREZIA REICHLIN unione monetaria da completare Il debito pubblico è dovuto all’inefficienza della macchina statale e a una politica che vive sulla distribuzione clien- telare, mentre la difficoltà della crescita strutturale è do- vuta al calo della produttività, che ha cominciato a mani- festarsi in Italia dall’inizio degli anni Novanta. È sbagliato dare la colpa alla Europa. L’Italia si trova di fronte a un problema che va al di là dell’Europa e delle regole fiscali tanto odiate. Dobbiamo affrontare il problema della cre- scita della produttività e abbiamo bisogno di avviare un consolidamento dei conti pubblici che abbia un orizzonte non di brevissimo periodo per evitare di dare uno shock negativo eccessivo a un’economia ancora fragile.Alcu- ne cose sono state fatte, come ad esempio le pensioni, e anch’io vedo con grande preoccupazione il tornare in- dietro su questo. Detto questo, però, credo che ci sia an- che un problema di riforma della architettura economica dell’euro. A livello europeo bisogna aprire un discorso più generale su come si affronta il problema del debito e ri- pensare le regole che ci siamo dati con Maastricht. In un’u- nione con una moneta unica e Stati diversi con autorità fiscale e di bilancio decentrata, è necessario darsi regole di disciplina perché il fallimento di uno Stato – pensiamo al caso della Grecia – ha delle forti ripercussioni negli al- tri. Abbiamo, quindi, tutti quanti l’interesse che anche gli altri Stati si “comportino bene”. È per questo che ci sia- mo dati delle regole abbastanza forti e del resto anche gli Stati Uniti hanno delle regole simili. Maastricht impo- ne la regola del no bail-out e il veto sulla monetizzazione del debito. In questa situazione, per rimanere nell’euro, uno stato insolvente può solo ristrutturare, ma la ristrut- turazione fa paura perché potrebbe creare panico tra gli investitori. Quindi abbiamo pochi strumenti in caso di in- solvenza. Il mercato lo sa e in situazioni di tensione si ge- nerano attacchi speculativi contro il debito sovrano. Per questo dobbiamo completare l’unione. E ora che siamo rimasti senza l’Inghilterra, è essenziale che si trovi un ac- cordo guidato da Francia e Germania, che sia basato su un compromesso. Abbiamo bisogno di regole per la disciplina di bilancio, ma anche di meccanismi per la condivisione »
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