Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2017

CIVILTÀ DEL LAVORO IV • V - 2017 42 DOSSIER contributo forte. Ma ciò si può fare solo se c’è una volon- tà politica di portarlo, ma se si è assenti ci si può soltan- to lamentare che gli altri lavorano. L’Italia oggi, nell’interesse nazionale ed europeo, ha il do- vere di inserirsi in un contesto europeo per avere un’Euro- pa più equilibrata. Io credo che, da questo punto di vista, noi dobbiamo svolgere un’azione per tutelare l’economia reale, perché è giusto occuparci di macroeconomia, è giu- sto affrontare il tema delle banche, ma in realtà la macro- economia deve essere anche al servizio della microecono- mia, che a sua volta deve essere a servizio del cittadino, creando ricchezza per allargare l’area del benessere. L’o- biettivo finale, infatti, deve essere sempre il cittadino. Forse serve guardare con maggiore attenzione a una po- litica industriale europea con una strategia che punti su- gli investimenti per permettere all’Europa di avere infra- strutture non soltanto stradali, ferroviarie o aeroportuali, ma anche strutture digitali uguali in tutti i paesi. L’Europa forse affronta con non sufficiente attenzione que- sto problema, ma adesso arriveranno una serie di propo- ste da parte della Commissione su tutto ciò che si deve fare nel digitale e fortunatamente la nuova Commissa- ria europea è fortemente intenzionata a sostenere anche le industrie, finalizzando alcune politiche che non posso- no essere distinte, nel quadro di una riforma dell’Europa, da un’armonizzazione fiscale che renderebbe più equa la competizione all’interno, ma impedirebbe che accada- no scempi come quelli che sono accaduti con le vicen- de delle grandi piattaforme quando quattro euro di tasse in qualche paese europeo non hanno creato alcun posto di lavoro, hanno inviato tutti i proventi negli Stati Uniti e hanno provocato un danno enorme all’identità culturale dell’Unione europea, all’industria del cinema, all’industria della fiction e al turismo europeo. Allora ben venga una tassazione e ben vengano anche le sanzioni nei confron- ti di chi non rispetta determinate regole e servono anche delle azioni politiche per tutelare questa economia reale. Stiamo discutendo con la Commissione e il Consiglio sul- le norme antidumping, perché se vogliamo competere a livello globale abbiamo il dovere di difendere le attività produttive dell’Europa, a cominciare dall’acciaio per pas- sare alla ceramica, alle biciclette e così via, dove siamo costretti a subire l’assalto da parte di industrie di paesi ex- traeuropei che lavorano senza rispettare le regole di Sta- to, senza rispettare i diritti dei lavoratori e senza rispetta- re i diritti dei minori. Questi paesi, certamente per risolvere i loro problemi di sovracapacità produttiva, vengono a invadere i mercati europei senza alcun rispetto delle regole e questo signi- fica che, se non saremo capaci di adottare le giuste con- tromisure per far rispettare il principio della concorrenza, noi vedremo cancellare dall’Europa la nostra industria si- derurgica a favore di una industria con minori prezzi, che però, successivamente, saranno destinati a innalzarsi. In questo modo si avrebbe un danno al tessuto industria- le e all’economia dell’Unione europea; ecco perché ser- ve anche qui fare una scelta politica complessiva strate- gica, che non può essere solo quella commercio teorico. Il commercio è uno strumento per fare business e per per- mettere ai prodotti dell’industria di essere venduti, quindi anche la politica commerciale non può essere sbilancia- ta, che guarda solo agli interessi di una parte dell’Europa. L’industria e l’impresa fanno parte del dna dell’Europa. Quando noi parliamo di industria parliamo lo stesso lin- guaggio sia a Parigi che a Roma, o a Berlino, o a Varsa- via, o a Madrid. La nostra cultura è una cultura di imprese ed è un mo- dello di civiltà che nasce dall’homo faber, che costruisce e si mette in gioco. Voi siete tutti imprenditori e questa è anche una scelta culturale e di identità. Il modello in- dustriale certamente deve essere rispettoso dell’ambien- te, ma tutte queste cose si possono fare lo stesso, senza cambiare i trattati e facendo delle scelte politiche. Quando si decide, finalmente, anche se con grande ritar- do, di avviare un’azione di controllo della qualità degli in- vestimenti extraeuropei in Europa è per vedere se sono investimenti per la crescita o se sono per portare via il nostro saper fare e impiantarlo in un’altra parte del mon- do, ammazzando così la qualità della produzione europea. Si tratta di scelte politiche che noi dobbiamo avere il co- raggio di fare e di portare a termine; per rinforzare tali scelte politiche possiamo cominciare col costruire un bi-

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