Civiltà del Lavoro, n. 6/2017

CIVILTÀ DEL LAVORO VI - 2017 34 FOCUS individuare le diverse tipologie di borghi sintetizzabili, in una generica ripartizione, in: • borghi affermati che sono conosciuti per la qualità del patrimonio culturale, le produzioni artigianali e le spe- cialità gastronomiche, il paesaggio o le risorse naturali. La molteplicità di un’offerta di qualità consente l’am- pliamento dell’organizzazione produttiva e turistica, soprattutto nella promozione internazionale; • borghi a elevato potenziale ma con scarsa capacità d’offerta turistica e bassa notorietà. Qui vale di più un sostegno alle attività esistenti o l’incentivo a insedia- re nuove attività con buona prospettiva di successo; • borghi in spopolamento con priorità di ricostituire una comunità, persone oltre che restauri. Se non si rende possibile la trasformazione del patrimonio attraendo nuovi utenti e stabilizzando almeno un presidio, si ri- schia l’abbandono totale. Naturalmente, la realtà e le situazioni sono certamente più complesse, a tal fine andrebbe opportunamente spe- cificata la strategia, basandosi sulle diverse tipologie esi- stenti nei diversi territori. Alcune reti e associazioni hanno in questi anni certifica- to l’esistenza di un tale patrimonio culturale diffuso, basti pensare alle 215 “Bandiere Arancioni” del Touring Club Italiano, alle 87 Cittaslow e ai 258 “Borghi più belli d’Ita- lia”, associazione nata in ambito Anci. La stessa offerta museale che pure presenta numerosissi- mi poli di eccellenza è costituita da un’estesa rete di istitu- zioni statali e non. A fronte infatti dei 424 siti statali (mu- sei, monumenti e aree archeologiche), di cui si è detto in precedenza, ritroviamo ben 4.340 istituti aperti al pubblico appartenenti a enti locali, ecclesiastici o soggetti privati. In confronto con i grandi musei a impatto internaziona- le, la cosiddetta rete minore può sembrare difficilmente comparabile, tuttavia la presenza nel territorio di edifici storici che ospitano anche piccole, ma significative, rac- colte di opere, costituisce un dato di grande interesse e di potenziale attrattività. Un’ulteriore specificità italiana è rappresentata dall’im- pronta che, a partire dal dopoguerra, si è voluta afferma- re nelle politiche di salvaguardia e valorizzazione. L’at- tenzione si è infatti rapidamente spostata dal preservare il singolo bene al conservare il più possibile la morfolo- gia del tessuto e del paesaggio direttamente collegato al bene monumentale. Da qui il valore riconosciuto all’intera struttura dei centri storici e non soltanto alle emergenze artistiche o archi- tettoniche, l’interazione con l’ambiente naturale, la con- servazione delle tradizioni e delle culture locali. Il Codi- ce dei beni culturali ha ben definito, nel 2004, il concetto stesso di paesaggio quale “parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrogazioni”. La grande densità di beni disseminati praticamente sull’in- tero territorio nazionale, nonostante un’azione molto in- tensa di tutela ma con risorse insufficienti, non ha annul- lato la vulnerabilità dei beni culturali italiani. Se aggiungiamo a tali fattori anche il rischio sismico e idro- geologico, che interessa territori fragili come l’Appenni- no, ricchi di testimonianze culturali ma con gravi proble- mi di spopolamento, troveremo un ulteriore elemento a

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