Civiltà del Lavoro, n. 2/2018
DOSSIER CIVILTÀ DEL LAVORO II- 2018 52 dove intervenire e quali rotte per la crescita sono anco- ra percorribili, senza cadere nelle trappole e nei miraggi che pure sembrano abbagliare qualcuno. Se cominciano a intravedersi all’orizzonte timidi segnali positivi, occorre non lasciarsi ingannare dalle illusioni ot- tiche: apparenti miglioramenti di segno sono quasi sem- pre l’effetto di un processo di scrematura che ha “selezio- nato” la popolazione industriale delle regioni meridionali, non solo espellendo dal mercato le imprese inefficienti, ma aggredendo anche una porzione sana del tessuto pro- duttivo: sana ma non in grado – e in particolare proprio a causa delle sue dimensioni “minime” – di fronteggia- re e resistere nel tempo a una fase recessiva così lunga. Imprese “piccole” e troppo “locali” per compensare con una maggior penetrazione nei mercati internazionali il crollo della domanda interna, troppo “deboli” per riposi- zionarsi attraverso investimenti in innovazione e in mar- keting nelle catene globali della fornitura e della grande distribuzione organizzata. Per questi motivi, abbiamo provato a indagare in profon- dità un’area dell’economia industriale del Mezzogiorno an- cora non esplorata a fondo: le medie imprese manifattu- riere. Imprese medie, e quindi in grado di aver compiuto quel salto dimensionale che rende tali organizzazioni una specie rara nel sistema imprenditoriale meridionale, pro- vando a comprendere i processi di crescita, e dunque con un evidente risvolto “pedagogico” per le micro e piccole imprese che invece rimangono intrappolate in una stra- da che rischia di trasformarsi presto in un vicolo cieco. Imprese medie, perché da molti anni sono considerate la spina dorsale dell’imprenditoria italiana, la fascia più di- namica, in grado – con l’agilità in luogo della forza – di te- nere in piedi l’Italia negli anni della crisi con un modello organizzativo che combina la flessibilità produttiva con la capacità di proiezione internazionale in mercati di nicchia. Imprese industriali, perché è nostra convinzione che per l’economia italiana, e ancor più per il Mezzogiorno, l’in- dustria “è importante al di là di ogni ragionevole dubbio“ (Iuzzolino, 2014: 131). E che la “decrescita serena” non è la terapia adatta a un’area di 20 milioni di abitanti. Le medie imprese industriali del Mezzogiorno rivelano in molti casi caratteristiche comuni alle “colleghe” del Nord: proprietà e governance familiare con una presenza mar- ginale di manager esterni; strategie spinte di focalizza- zione in segmenti di nicchia, soprattutto nei settori del made in Italy; forte proiezione nei mercati internaziona- li; crescita lenta ma costante. La vera differenza è la re- lazione con il territorio: forte nelle regioni settentrionali, in particolare nel Nord-Est; debole, in certi casi inesisten- te, nel Mezzogiorno. Raramente le imprese appartengono a distretti industriali intesi in modo canonico e anche quando sono localizzate in aree di specializzazione non mostrano né i caratteri, né i comportamenti tipici del capitalismo distrettuale; anzi, come affiora dalle parole raccolte negli incontri personali, l’ambiente, il milieu, il territorio raramente vengono per- cepiti come fonte di vantaggio competitivo, ma piuttosto come limite, come ostacolo da superare, a volte perfino come “pericolo” da fronteggiare. Fragilità delle filiere produttive locali e difficoltà a trarre
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