Civiltà del Lavoro, n. 2/2018
DOSSIER CIVILTÀ DEL LAVORO II- 2018 54 era stato oltre il 70% delle imprese del campione). Tutta- via, a fronte di un innegabile calo della redditività opera- tiva, è da considerare con attenzione il significativo raffor- zamento della solidità patrimoniale: le imprese che hanno ridotto il proprio rapporto di indebitamento (con un au- mento dei mezzi propri sulle risorse di terzi) sono infatti il 69%. Dall’analisi incrociata dei due indicatori emergono quattro differenti raggruppamenti di imprese. Il primo comprende le imprese “migliori”, quelle in grado di far segnare nel periodo di osservazione un incremento sia della profittabilità sia della solidità (34%). Abbiamo definito questo gruppo come quello degli “esploratori”. Le imprese che vi fanno parte sono riuscite, in anni diffi- cili, a guadagnare altrove spazi di mercato e opportunità di crescita. Il consolidamento delle posizioni competitive ha consentito di migliorare l’equilibrio patrimoniale. Di- mostrano altresì che il successo non è mai causale, né si improvvisa: molte delle imprese con migliori performan- ce avevano già segnato risultati positivi prima che la crisi si manifestasse in tutta la sua durezza. Sembrano inoltre confermare che l’impegno della proprietà, segnalato all’in- terno come all’esterno con l’aumento della dotazione di capitale proprio, sia associato a migliori risultati economici. Sul fronte opposto, le imprese “sofferenti” (19%), in ar- retramento per entrambi gli indicatori: la profittabilità in calo si accompagna ad un aumento del rapporto di inde- bitamento, segnalando l’ingresso in una zona di alto ri- schio per la sopravvivenza futura. Di estremo interesse è il terzo raggruppamento, costituito dal 35% delle imprese (è il segmento più popoloso) che associano a una profittabilità in calo un incremento della solidità (le abbiamo definite “le formiche”). Appare pro- babile che la crisi oltre a determinare un restringimen- to dell’accesso al credito abbia spinto gli imprenditori alla guida di aziende con redditività in discesa a interventi di ricapitalizzazione, attingendo anche al patrimonio fami- liare. E ancora, è verosimile che tale scelta sia stata det- tata dalla volontà di “soddisfare” le esigenze di rientro da parte degli istituti di credito, rinunciando ad opportunità di investimento profittevoli. In ogni caso, pur esercitan- do un effetto negativo sugli equilibri economici di breve termine, la ristrutturazione nelle fonti di finanziamento di una larga parte delle medie imprese del Mezzogiorno dovrebbe premiare gli equilibri finanziari di lungo perio- do. Una lungimiranza “forzosa” perché, quando i margini operativi hanno ripreso a crescere, ha favorito un effetto di leva finanziaria (la maggiore solidità si è difatti accom- pagnata a una riduzione del costo del debito) con un im- patto positivo sulla redditività netta. Infine, il segmento più piccolo (12%) è composto da im- prese che registrano un incremento della profittabilità a danno, però, del grado di solidità, probabilmente spinte dall’onda di investimenti realizzati in anni appena prece- denti la crisi o capaci di cogliere opportunità di mercato con il favore delle banche, puntando sulla propria capa- cità di generare valore che nei prossimi anni riequilibrerà l’esposizione debitoria (abbiamo definito per questi motivi il segmento come quello degli “scommettitori”). La seconda matrice adopera ancora una volta il valore medio della variazione annua in termini di Roi, stavolta, però, affiancato alla variazione di fatturato nell’arco tem- porale che va dal 2007 al 2016. LE LEPRI E I RESISTENTI Anche in questo caso, emergono due segmenti non trop- po differenti per numerosità accanto a un terzo raggrup- pamento invece molto esiguo. Nel primo si collocano le “lepri”, le imprese che nonostante la crisi sono riuscite a incrementare profittabilità e fatturato. In basso a destra, re- gistrando una contrazione di redditività, ma nel contempo una crescita del fatturato, vi è il segmento dei “resistenti”, imprese che hanno compresso ai limiti i propri margini pur di non perdere quota nel mercato: sono pari al 37% e il loro futuro rimane incerto, in attesa di comprendere qua- li effetti possa aver generato sulla propria competitività la rinuncia obbligata a destinare risorse agli investimen- ti. La situazione appare ancor più critica per le imprese “perdenti”: sono le aziende che hanno segnato riduzioni sia nella profittabilità sia nei ricavi; è l’effetto probabile di una secca contrazione del volume d’affari con inevitabi- li conseguenze sulla redditività aziendale, senza che im-
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