Civiltà del Lavoro, n. 2/2018
CIVILTÀ DEL LAVORO II- 2018 DIVORZIO TRA POLITICA ED ECONOMIA REALE ADESSO che siamo proiettati verso nuove elezioni, nel pieno di una crisi politico-istituzionale senza precedenti, molti si chiedono quali saranno le conseguenze sull’eco- nomia, che negli ultimi due anni ha iniziato un sia pur lento percorso di uscita dalla crisi. Il “contratto di gover- no” elaborato tra Lega e M5S, che sarà la base del pro- gramma elettorale dei due partiti, prevedeva interventi (flat tax, reddito di cittadinanza, abolizione della Forne- ro…) che gli economisti avevano valutato in un cifra va- riabile tra i 78 e i 125 miliardi di maggiori spese, senza contare l’abolizione degli aumenti Iva: 12,5 miliardi nel 2019 che diventano 19 miliardi nel 2020. Le maggiori en- trate certe, le famose coperture, valevano invece poche centinaia di milioni di maggiori entrate: tagli dei vitalizi, delle “pensioni d’oro” (da ricalcolare col metodo contri- butivo), riduzione dei parlamentari e abolizione del Cnel (che richiedono riforme costituzionali), anche se il M5S promettevano anche una sforbiciata da 40 miliardi alle agevolazioni fiscali, su cui però gli ultimi governi si sono esercitati senza successo. In più, doveva esserci la cosid- detta “pace fiscale”, cioè l’opportunità data a tutti i con- tribuenti che hanno contenziosi col Fisco di chiuderle pa- gando solo una piccola percentuale (10-15%) del dovuto: Ma questi incassi, che potrebbero anche essere significa- tivi, sarebbero una tantum e dunque non potrebbero fi- nanziare aumenti di spesa permanenti. Questa incertezza sulle coperture del programma dei vin- citori delle elezioni avevano cominciato a scalfire l’indif- ferenza dei mercati già nelle prime settimane dopo le elezioni: la Borsa ha inanellato una serie di perdite per qualche decina di miliardi, mentre lo spread è salito in pochi giorni dal 130 a oltre 300 punti (ed è quasi rad- doppiato per le scadenze sotto i 3 anni), il che significa un aumento dei tassi sui nostri titoli di Stato che, se do- vesse proseguire negli anni ed estendersi all’intero de- bito di 2300 miliardi, comporterebbe una maggior spesa di parecchi miliardi per gli interessi. L’allarme dei mercati e delle istituzioni internazionale (Bce e Ue) è aumenta- to con la candidatura al ministero dell’Economia del pro- fessor Paolo Savona, che aveva esplicitamente proposto una trattativa dura con l’Europa, senza escludere, in caso di fallimento, l’uscita dell’Italia da Euro e Ue (il cosiddet- to “piano B”). Il no di Mattarella alla candidatura di Savo- na, che a giudizio del Capo dello Stato avrebbe messo a rischio i risparmi che la Costituzione tutela, ha portato al fallimento del governo Conte-Salvini-Di Maio, al governo “neutrale” di Carlo Cottarelli e a probabili nuove elezio- ni in autunno. Le nuove elezioni, come ha detto Salvini, diventeran- no fatalmente un referendum sulla nostra appartenenza all’Europa, sulle regole, sui vantaggi e sui vincoli che es- sa comporta. Anche perché il leader della Lega ha detto esplicitamente che in caso di vittoria ripresenterà lo stes- so programma e gli stessi ministri, Savona compreso. E così l’Euro, che era rimasto in sordina con qualche ipo- crisia durante la scorsa campagna elettorale e durante le trattative tra Di Maio e Salvini, diventerà l’assoluto prota- gonista della prossima campagna elettorale. Gli elettori dovranno chiedersi che futuro ci potrebbe essere per l’e- conomia italiana fuori dalla moneta unica: recupereremmo sovranità monetaria e potremmo stampare moneta per finanziare la riduzione di tasse, il reddito di cittadinanza e gli investimenti “ad alto potenziale”, ma ci ritroveremmo con un’inflazione elevata (negli anni settanta ha supera- to il 20%), moneta e risparmi svalutati, un debito pubbli- co che dovremmo comunque ripagare in euro e probabili dazi che i nostri (ex) partner europei imporrebbero sulle nostre merci, che per la svalutazione del cambio farebbe- ro concorrenza sleale ai loro prodotti. È curioso che que- sto dibattito avvenga nel momento in cui le nostre impre- se hanno ricominciato a investire, innovare e assumere, anche grazie a Industria 4.0 e al Jobs Act; si fanno onore sui mercati mondiali con esportazioni per 450 miliardi, in avanzo di oltre 50 miliardi nel 2017 e conquistano posi- zioni nelle alleanze industriali all’estero e nelle catene in- ternazionali del valore, come hanno certificato il recente Rapporto Istat e le considerazioni finali del Governatore Visco il 29 maggio scorso. Ma Visco ha anche ammonito che “bisogna avere sempre presente il rischio gravissimo di disperdere in poco tempo e con poche mosse il bene insostituibile della fiducia“. Quanto potrà durare questo divorzio tra politica ed economia reale? • EDITORIALE 9
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