Civiltà del Lavoro, n. 3/2018

CIVILTÀ DEL LAVORO III - 2018 16 digitali. Tuttavia solo 1,5 milioni di americani avrà le giu- ste competenze, i restanti due milioni di lavoratori dovran- no essere reperiti altrove per incapacità delle high scho- ol e dei college di fornire una preparazione professionale adatta. Un sistema formativo incapace di rispondere alle esigenze del mondo del lavoro e, si può dire, del mondo tout court, è un sistema formativo destinato a morire. E non da solo, perché insieme a esso deperisce necessaria- mente tutto il sistema sociale. Le grandi imprese ne so- no consapevoli e per evitare indesiderati requiem hanno cominciato a darsi da fare. Nel 2011, per esempio, Ibm ha avviato insieme ad altre 300 realtà industriali un pro- gramma che prevede il finanziamento di 60 scuole pro- fessionali in sei Stati con percorsi professionali di sei anni. Come negli States, sono stati avviati progetti che vedo- no insieme atenei, scuole, aziende e Pubblica ammini- strazione in Gran Bretagna, in Giappone, in Australia e in Europa. Nel vecchio continente sono quindici, in partico- lare, i programmi per Industria 4.0: in Germania, Francia, Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Spagna, Un- gheria, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Polonia, Portogal- lo, Svezia e Italia. Per dirla con il programma tedesco, che nel 2011 ha fatto da apripista, con Industria 4.0 si tratta di “adeguare il mondo della formazione e della produ- zione alla quarta rivoluzione industriale, un nuovo stadio di organizzazione e controllo dell’intera catena del valore per tutto il ciclo vitale dei prodotti. Punto chiave dell’In- dustria 4.0 è la rete di connessioni intelligenti e in tempo reale, a livello orizzontale e verticale, capace di collegare persone, macchine, oggetti e sistemi Itc per una gestio- ne dinamica di sistemi complessi”. IL LAVORO NELL’EPOCA DELL’“INFOSFERA” Se è vero che siamo nel mezzo della quarta rivoluzione industriale, rimane da chiedersi quali siano i profili pro- fessionali più adatti a gestirla. Quali sono i lavoratori e i professionisti capaci di creare ricchezza da “reti sempre più estese di connessioni intelligenti”? Chi sarà chiamato a riconfigurare il mondo del lavoro? Data analyst, designer engineer, cybersecurity specialist, innovation manager, big data scientist, robotics & automation manager, cognitive computing specialist, business intelligent analyst, digital learning specialist, l’elenco delle figure professionali del mondo interconnesso pare uscito da un manuale di infor- matica e, a pensarci bene, suonerebbe strano il contrario. Viviamo nell’“Infosfera”, spiega Luciano Floridi, ordinario di Filosofia dell’informazione all’Università di Oxford e di- rettore dell’Ethics group dell’Alan Turing Institute, l’istituto britannico che si occupa di data science. “Il mondo è infor- mazione, tutto ciò che è reale è informazionale, tutto ciò che è informazionale è reale”. Se si arriva a parafrasare il celebre passaggio della “Fenomenologia dello Spirito” di Hegel, le ipotesi sono due: o chi lo fa si prende un po’ troppo sul serio o la situazione è davvero critica. Lucia- no Floridi non è il tipo di intellettuale incline alla militan- za teoretica. Più sobriamente preferisce far parlare i fatti. Quali sono i fatti? Qualche esempio: oggi c’è in media più potere computazionale in un’automobile di quanto ne di- sponesse la Nasa nel 1969 per inviare gli astronauti sulla Luna; nel 2015 i dispositivi connessi a Internet erano 25 miliardi e si calcola che nel 2020 raddoppieranno; assistia- mo a una crescita esponenziale dell’Internet of Things, tan- to che la comunicazione tra esseri umani già rappresenta una piccola parte di un fenomeno che avviene in misura

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