Civiltà del Lavoro, n. 3/2018
ESTERI CIVILTÀ DEL LAVORO III- 2018 76 L’Ue non perde solo tutto l’interscambio previsto in cre- scita verso l’Iran, ma perde soprattutto il paese che già si è spinto verso l’organizzazione per la cooperazione di Shangai (Sco), che, dopo l’adesione di India e Pakistan, unisce quasi la metà della popolazione mondiale e un quarto del territorio globale. Questa organizzazione è diventata il gruppo G8 euroa- siatico e ha superato il G7 per volume delle economie. Il G7 produceva il 70% del Pil mondiale (adesso il 43%); inoltre dopo il “flop” del 44° summit svolto in Canada, il gruppo leader del mondo delle economie più ricche non esiste: ci sono gli Stati Uniti e gli “altri”. Nella prima metà di giugno scorso sono accaduti fatti il cui contrasto non potrebbe essere più evidente. A Singapore, il vertice storico tra il presidente Trump e quel- lo della Corea del Nord Kim Jong-un ha avviato un proces- so che può andare ben oltre la regione stessa. Allo stesso tempo, il vertice annuale della Shangai Coo- peration Organization tenutosi a Qingdao (terra di Confu- cio) dal 9 al 10 giugno ha aperto un “nuovo capitolo” nel- la storia del blocco regionale (Europa-Asia). Sono entrati India e Pakistan come nuovi membri accanto a Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tagikistan e Uzbe- kistan, mentre Afghanistan, Bielorussia, Mongolia e Iran hanno partecipato come osservatori. Tutti i Capi di Stato si sono pronunciati sul fatto che vada perseguita per il bene comune, l’armonia e l’unità e che la comunità del- le nazioni condivida valori quali fiducia, uguaglianza e ri- spetto per le civiltà diverse così come il perseguimento dello sviluppo comune. Negli stessi giorni il G7 in Quebec (Canada) è stato un fal- limento clamoroso, (“deprimente” lo ha definito Angela Merkel). La proposta del ministro tedesco Horst Seehofer di fermare i profughi sul confine tedesco, se sono già re- gistrati in un altro paese membro dell’Ue, sarebbe la fine dell’accordo di Schengen e la distruzione dei fondamenti dell’unione monetaria. Fra 20 anni l’Africa sarà popolata da due miliardi di perso- ne, molte delle quali giovani, che hanno bisogno di istru- zione, di lavoro e più in generale di una prospettiva per il futuro. In questo senso la Cina ha aiutato l’Africa a ridurre la povertà dal 56% del 1990 al 43% del 2012. Dal 1999 la dottrina dell’interventismo e delle guerre permanenti ha sostituito il diritto internazionale e la Car- ta delle Nazioni Unite, provocando il sacrificio di milioni di vite umane, consentendo ai gruppi terroristici con l’eti- chetta islamica di diventare una minaccia seria e causando flussi migratori senza precedenti. In questo processo so- no state attivate provocazioni cosiddette “false flag”, che si aggiungono alla lunga serie di guerre alimentate dalle menzogne, quali ad esempio la falsa notizia dei “bambini lasciati morire nelle incubatrici” (Kuwait 1991), l’operazione Horseshoe sulle accuse di pulizia etnica (Kosovo 1999), la “frode delle armi chimiche di distruzione di massa” (Iraq 2003) fino agli inganni più recenti, come l’affare Skripal e l’accusa di impiego di armi chimiche in Siria, nei quali è stato messo a nudo il ruolo dei servizi segreti britannici. L’espansione a est della Nato fino ai confini con la Russia, la demonizzazione del presidente Putin e il tentato gol- pe contro il presidente Trump sono il risultato del mede- simo tentativo di mantenere in piedi un ordine mondiale unipolare. Per non parlare delle bizzarrie diplomatiche di Trump: Iran “cattivo” e Corea del Nord “buona”. Abbiamo bisogno di un cambiamento politico dalle fon- damenta, del ripristino del diritto internazionale e del- la Carta delle Nazioni Unite e della sostituzione esplicita della geopolitica con il principio superiore degli interessi dell’umanità intera. La migliore approssimazione dei rapporti internazionali coerenti con il nuovo paradigma è oggi offerta dal G8 di Shanghai, che fonda la cooperazione economica e scien- tifica sul vantaggio reciproco delle nazioni sovrane. Anche Angelo Panebianco (Corriere della Sera, 22 giugno 2018) scrive che “ciò che un tempo si chiamava Occiden- te, ove convivevano il legame atlantico e l’integrazione
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