Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2018
CIVILTÀ DEL LAVORO IV • V - 2018 27 FOCUS rica. Non sono il Giappone o la Corea, o la Cina. Sebbene la rete mondiale sia stata inventata qui, sono le aziende che affacciano sul Pacifico che ci hanno guada- gnato in denaro. Possiamo dunque imparare qualcosa dalla Cina e dall’America. Recentemente ho tenuto una presentazione presso il Reichstag a Berlino, e ho detto: “Dovete stare al pas- so con la Cina, dovete fare quello che Pechino sta fa- cendo ora”. Pechino sta investendo due miliardi per un parco dedicato all’intelligenza artificiale, un campus. E ho detto: “Dovete fare lo stesso in Germa- nia in qualche città famosa, magari Berlino o Monaco di Baviera”. Qui in Italia dove- te fare la stessa cosa: creare un campus dedicato all’in- telligenza artificiale. Costerà qualche miliar- do, ma ve ne rientreranno molti di più, perché è que- sto il futuro dell’industria. E questa è una fetta più grande dell’economia glo- bale rispetto a quel poco di marketing che attualmente domina i profitti nel campo dell’intelligenza artificiale. Sarà almeno il 15%, o pro- babilmente molto di più, e influenzerà ogni aspetto del- la nostra civiltà. • le relazioni. Questa è una vera rivoluzione della so- cietà”. E fa un esempio. “Sono spesso in Cina e quan- do posso vado per mercatini. Dieci anni fa i commer- cianti usavano l’abaco, poi hanno cominciato a usare la calcolatrice. Da un paio d’anni il venditore cinese usa lo smartphone e non pare calcoli, ma per tradur- re e contrattare. È una rivoluzione sociale”. Molti i dati emersi nel corso della tavola rotonda, tra cui i ritardi dell’Italia non solo nella digitalizzazione delle piccole e medie imprese (il 50% delle imprese sotto i 250 dipendenti è totalmente analogica), ma anche nella formazione. L’Italia non genera figure professionali: oggi sono so- lo 9mila gli iscritti agli Istituti tecnici, mentre in Ger- mania sono 700mila e in Francia 500mila. Sulla formazione interviene Nicolais, mettendo in evi- denza la necessità di intrecciare ricerca e impresa. “Viviamo una rivoluzione sociale e non possiamo più immaginare di avere un’università o enti di ricerca senza collaborazione con imprese. Questo non signifi- ca rinunciare alla ricerca blue sky, significa creare pre- messe per dare valore ai processi. Non c’è problema di capitale o di scienza pura. Guardiamo al dottorato industriale, sta dimostrando nella pratica l’utilità di una collaborazione tra ricercatori e attori produttivi”. Anche Nicolais fa un esempio concreto. “Se guardia- mo nuove tecnologie vediamo business nuovi, si pen- si alla maker economy. Gli artigiani non esistono più se non si connettono al mondo. Lo dico spesso ai sar- ti napoletani, eccellenza mondiale. Devono accedere alla 3D manifactury, crearsi un modello per ogni clien- te, sia egli in Australia, Brasile o Russia”. Chiude la tavola rotonda David Orban ammonendo tutti sulla radicalità dei cambiamenti e, soprattutto, sul fatto che molte delle cose di cui spesso si parla oggi sono già storia. “Alla Singularity University ci occupiamo di capire come la rivoluzione tecnologica cambia la società. Mi pare un po’ strano oggi parlare di trasformazione digitale, è come parlare dell’aria che respiriamo. Se non pren- diamo consapevolezza che un nuovo modello di eco- nomia è in atto rischiamo di morire”. E alla doman- da se siano solo big player come Google o Amazon a guidare questa fase, Orban risponde che anche nel- la prima rivoluzione industriale si temeva che a fare le ferrovie e a estrarre il petrolio, fossero solo pochi monopolisti. “Poi le cose sono andate diversamente e molti hanno potuto fare business”. •
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