Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2018

CIVILTÀ DEL LAVORO IV • V - 2018 30 FOCUS Prima parlavamo di “progresso” tecnico, di “progresso” tecnologico, adesso non parliamo più di progresso, la pa- rola “progresso” è sparita. Dunque, dice Gordon, se la pa- rola è sparita è perché non c’è più progresso. E si vede nelle statistiche: la produzione sarà in una si- tuazione di stagnazione a livello attuale anche in futuro. Ma io non credo a questa tesi della stagnazione secola- re, perché non credo che gli uomini – e quando dico gli uomini penso alle donne – siano così stupidi da prepara- re un mondo dove non avranno più un posto. Le nuove tecnologie trasformeranno il mondo come è suc- cesso per la scoperta dell’elettricità o della ruota? Non lo so. Adesso è troppo presto per dire se la rivoluzione 4.0 avrà un effetto forte sulla produttività o no. Io però non vedo perché non dovrebbe averlo. Il 4.0 è una tecnologia generica, che si applica a tutte le attività. Questo ci fa essere fiduciosi. Ma sappiamo anche che abbiamo un problema grosso davanti a noi, il capita- le umano, che dobbiamo sviluppare in modo intelligen- te, non come si fa in Italia o in Francia dove si produce un capitale umano di alto livello per regalarlo a Paesi esteri. E quindi non è tanto un problema di teoria della crescita o della stagnazione. Se la crescita non è forte, se c’è una stagnazione, è per- ché l’investimento che facciamo è negativo, dipende dal rapporto tra capitale reale e capitale umano, e se il capi- tale umano decresce la crescita sparisce. E come decresce il capitale umano? Il capitale umano de- cresce – l’Europa è specialista nella decrescita del capita- le umano – nel modo in cui noi facciamo le politiche che facciamo oggi. Le politiche di austerità generalizzata fanno aumentare la disoccupazione e la disoccupazione è una perdita di ca- pitale umano per due ragioni: perché le persone perdo- no l’abitudine al lavoro e, secondo, perché non sono più formate nell’impresa, non imparano più dalla formazio- Il cambiamento del mercato del lavoro innescato dal- le nuove forme di produzione dettate dalle tecnolo- gie va governato ma per farlo serve capirla e saperla usare. “Siamo un paese in ritardo” esordisce Vittorio Colao, amministratore delegato Vodafone Group nel- la tavola rotonda con Patrizio Bianchi, professore di Economia applicata all’Università degli Studi di Ferrara e Mario Deaglio, emerito di Economia Internazionale dell’Università degli Studi di Torino. “Dobbiamo far qualcosa per non diventare un Paese di serie B? Ma noi siamo già un Paese di serie B. Co- minciamo a parlare chiaro. Siamo un Paese di serie B, ce lo dicono le statistiche. Il contenuto tecnologico della produzione italiana è al 10% a fronte del 18% di quello Usa. Se dalla produzione ci spostiamo alla for- mazione le cose sono ancora più gravi. La nostra for- mazione scolastica è sotto la media Ocse e abbiamo la metà dei ricercatori francesi e tedeschi”. Per restituire l’immagine di un Paese in affanno il Cavaliere Colao invita la platea a fare una piccola ri- cerca su Google. “Provate ad andare a cercare ‘Setup business in Uk‘ su Google”. Bene – dice – dopo i ri- sultati sponsorizzati il primo contenuto che trovate è quello del Governo che vi spiega come fare per apri- re un’impresa lì. Rifate l’esperimento per l’Italia e ca- pirete quanto abbiamo da recuperare”. “La situazione è molto complicata”, gli fa eco Patrizio Bianchi ma abbiamo molte chance. “Da noi il 4.0 c’e- ra già prima che i tedeschi ne inventassero il nome. Abbiamo macchine che fanno prodotti personalizza- ti e in grado di connettersi tra loro. Oltretutto, abbia- mo assistito a un cambiamento profondo nelle nostre esportazioni. Fino a 20 anni fa esportavamo soprat- tutto abbigliamento e agroalimentare. Oggi per i 2/3 della bilancia commerciale esportiamo meccanica e tecnologie”. E aggiunge: “Tecnologia e dottori di ricer- ca. Se serve fare un investimento serve farlo nella for- Scenario di policy: una sfida per l’Italia - Tavola rotonda Formazione, non assistenza

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