Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2018

CIVILTÀ DEL LAVORO IV • V - 2018 59 DOSSIER la metalmeccanica del 3,9%, mentre il sistema casa è a stento tornato al fatturato del 2008), sia delle imprese agro-alimentari in aree non distrettuali. Anche nell’ultimo anno i cui dati sono disponibili – il 2016 – in tutte le filie- re agroalimentari distrettuali il fatturato è cresciuto, con un aumento del 3,6% sull’anno precedente. La redditivi- tà complessiva ha superato di slancio i valori pre-crisi. E le stime per le imprese dei distretti alimentari prevedo- no per i prossimi anni tanto un’espansione del fatturato quanto un rafforzamento della redditività. I distretti alimentari hanno consolidato negli anni della crisi la propria posizione nel sistema industriale italiano, mostrando una buona capacità di reazione, irrobustendo e rendendo più competitivo il tessuto produttivo, allungan- do il raggio d’azione nei mercati internazionali, giungen- do a servire paesi sempre più lontani e ad alto potenzia- le, sfruttando la reputazione del made in Italy e potendo comunque contare su una gamma ricchissima – la più estesa nell’Unione europea – di produzione a indicazione geografica (Dop e Igp). La quota di imprese dei distretti agro-alimentari sul to- tale delle imprese distrettuali è aumentata in modo significativo, e al lieve ridimensionamento della base pro- duttiva in termini numerici ha corrisposto un ampliamen- to per valori di fatturato. La ricomposizione del settore a favore delle imprese di medie dimensioni con l’uscita del mercato delle imprese più piccole ha determinato un inevitabile aumento del grado di concentrazione. Inoltre, è aumentato il grado di integrazione verticale, forse una delle conseguenze di maggior interesse che lascia in ere- dità la crisi, per i suoi effetti di lungo periodo sulle stra- tegie e le performance delle imprese. L’internalizzazione sempre più spinta delle attività della catena del valore (benché ancora sotto il 20% a fronte di un processo di integra- zione verticale ben più spinto nei distret- ti della metalmeccanica e del sistema ca- sa, dove il rapporto fra valore aggiunto e fatturato ha superato la soglia del 30%) si accompagna a un costante processo di accumulo di capitale. In tale prospettiva, è da condividere l’ipotesi degli analisi di Banca Intesa che nel Rapporto 2017 (p. 9) sull’economia e finanza dei distretti os- servano come «in presenza di un conte- sto competitivo sempre più complesso e difficile, le imprese capofila abbiano pun- tato ad avere un maggior controllo del processo produttivo e degli standard di qualità della produzione (a discapito di subfornitori e ter- zisti non qualificati) e realizzando al proprio interno una quota maggiore delle lavorazioni più strategiche». Oltre al rafforzamento delle imprese con un miglior posiziona- mento strategico e una maggiore apertura internazionale, è molto probabile che la chiusura di piccole e piccolissime imprese, con lavorazioni a più basso valore aggiunto, non in grado di sostenere i colpi violenti della crisi, possa aver “cancellato” nelle filiere alimentari uno o più anelli della catena di fornitura, “costringendo” le imprese di maggiori dimensioni ad allungare il proprio raggio d’azione e ad au- mentare la presa sui segmenti a maggior valore strategi- co del processo di produzione. Chi ha superato indenne la crisi o è riuscito a ripararne i danni ha dunque modificato l’organizzazione della catena del valore, con l’obiettivo di innalzare il grado di controllo della filiera così da mante- nere alti gli standard di qualità del prodotto e affrontare la concorrenza internazionale, rinunciando a fornitori non strategici o trasferendo al proprio interno fasi del proces- so produttivo, anche attraverso operazioni di acquisizione. Anche per tali ragioni, con un’intensificazione della con- correnza fra imprese e la contrazione di spazi di manovra lungo le filiere produttive, sono aumentate – e ancor più che nei distretti industriali non alimentari – la dispersio- ne delle performance e la distanza tra le imprese miglio- ri e le imprese peggiori. Ciò appare evidente per esempio misurando il divario fra le imprese migliori degli ultimi anni messe a confronto con le migliori prima della crisi (almeno due punti separano le best in class del 2014-2015 da quale del 2006-2007) o con le imprese peggiori (il distacco di 19 punti in termini di Ebitda fra il nono e il primo decile del 2006-2007 si è allungato fino ai 22 punti nel biennio 2014-2015). Fra le migliori venti aree distrettuali per cresci- ta e redditività – la classifica generale è guidata dall’occhialeria di Belluno con un punteggio di 82,2 su un potenziale valore massimo pari a 100 – sono sei i distretti alimentari: il prosecco di Conegliano e Val- dobbiadene al terzo posto (80,3), i salumi di Parma (al quarto, con 74,4), i vini del Veronese (al sesto, con 70,6), i vini del- le Langhe (al sedicesimo con 63,8), l’olio e la pasta del Barese (al diciannovesimo con 60,8) e la mozzarella di bufala cam- pana (al ventesimo con 60,7). Ma ancor più interessante è guardare alle variazioni in valore assoluto. Fra i distretti alimentari migliori per performance di crescita di »

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