Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2018

CIVILTÀ DEL LAVORO IV • V - 2018 60 DOSSIER fatturato spiccano il prosecco di Conegliano e Valdobbia- dene con quasi il 76% fra il 2008 e il 2016 (e un +8,7% solo nell’ultimo anno), i vini del Veronese (45,9% fra il 2008 e il 2016 e un +6,3% nell’ultimo anno) e l’olio e la pasta del Barese (42,1% fra il 2008 e il 2016 e un +9,4% nell’ultimo anno). Fra i migliori distretti per performan- ce di esportazione, dietro ancora una volta al prosecco (+164,3% fra il 2008 e il 2016), compaiono la mozzarel- la di bufala campana (+ 89,5% fra il 2008 e il 2016) e i salumi di Parma (+68,8%). Questi dati dimostrano non solo la capacità di compete- re nei mercati internazionali, così compensando con la domanda estera il calo (e solo negli ultimi anni la tiepi- da ripresa) del mercato interno e preservando i margi- ni di redditività riconquistati dopo la fase più dura della crisi, ma anche la varietà e la ricchezza delle produzioni. Un legame solido con le tradizioni territoriali confermato dalla leadership europea per numero di prodotti protetti da indicazioni geografiche (Ig): una specialità alimenta- re su 5 e un vino su 3 vantano una certificazione. I pro- dotti alimentari italiani a denominazione di origine e in- dicazione geografica sono 293, di cui 167 Dop e 126 Igp, ai quali sono da aggiungere 526 vini e 38 liquori e spiriti con denominazioni d’origine. La ricchezza e la varietà delle produzioni di nicchia italia- ne possiedono uno straordinario valore culturale, offren- do un contributo prezioso per la percezione del made in Italy nei mercati internazionali. Tuttavia è un classico fe- nomeno di “coda lunga”, con i primi dieci prodotti Dop e Igp che rappresentano quasi l’80% del valore complessi- vo alla produzione. Già i primi quattro (Grana padano Dop, Parmigiano Reggiano Dop, Prosciutto di Parma Dop e Ace- to balsamico di Modena Dop) coprono una quota superio- re al 51% del valore complessivo, con i primi due oltre il miliardo di euro per valore alla produzione. In ogni caso, dei 40 distretti agroalimentari monitorati da Banca Intesa, ben 29 sono riconducibili a una o più produzioni a indica- zione geografica. In particolare, fra i distretti alimentari, il lattiero-caseario della Lombardia sud-orientale vanta ben 12 prodotti Dop, il distretto dei salumi di Parma 9 prodotti fra Dop e Igp, le carni e i salumi di Cremona e Mantova, l’olio toscano, i salumi del Modenese, i salumi di Reggio Emilia e le carni di Verona 7 prodotti fra Dop e Igp. Sotto il profilo dei prodotti, a confermare l’importanza di que- ste produzioni per l’industria alimentare italiana e la sua competitività nei mercati internazionali, ben 79 possono essere ricollegati ad almeno uno dei distretti monitorati. Secondo le stime di Banca Intesa, nelle aree distrettuali, le imprese con prodotti a indicazioni geografiche (Dop o Igp) contribuiscono per quasi due terzi al fatturato dei di- stretti agroalimentari, con punte oltre il 90% per le carni e il lattiero-caseario. Guardando ai bilanci delle imprese dei distretti agroalimen- tari, si apprezza la diffusa capacità di rafforzare la struttura patrimoniale, soprattutto attraverso una maggiore capita- lizzazione e una contrazione dell’indebitamento bancario. Dall’analisi di un campione di bilanci composto da 3.161 imprese agroalimentari che operano nei 50 distretti identi- ficati da Intesa Sanpaolo, emerge che nell’arco del decen- nio le performance più elevate delle imprese distrettuali distinte per filiera sono state registrate dalle imprese di produzione di olio di oliva (+36,3% la variazione di fattu- rato tra il 2008 e il 2018 per valori mediani), seguite dal- le conserve (+33,2%), dalla pasta e dolci (+31,2%), dal lattiero-caseario (+29,1%), dal vino (+26,3%). Ma più in generale, in tutte le filiere produttive il fatturato a prezzi correnti è tornato al di sopra dei valori pre-crisi. Interes- sante notare come fra il 2015 e il 2016 la crescita supe- riore del fatturato è stata registrata dalle imprese me- die (+4,3%), sopra i valori segnati dalle piccole imprese (+3,8%) e dalle micro e grandi imprese (+3,3%). In termini di redditività, si osserva che il Roi medio negli ultimi anni ha oscillato fra il 3,8 e il 4,0%, ma sono ampi i divari fra le filiere produttive con i migliori risultati se- gnati dalla filiera della pasta e dei dolci (Roi all’8,0% nel 2016), delle carni (5,2%) e delle conserve (4,4%), contro il 2,5% del lattiero-caseario, dell’olio, del vino, mostran- do come per le filiere di trasformazione (la pasta, le car- ni e le conserve) il recupero di redditività post-crisi è sta- to più rapido rispetto alle filiere integrate a monte (olio, vino, lattiero-caseario). Differenze analoghe si riscontra- no osservando l’andamento dei margini operativi netti in percentuale del fatturato fra le diverse filiere produttive. Ponendo a confronto la redditività del 2016 con quella del 2008 (valori mediani), emerge con chiarezza che so- no state le grandi imprese a soffrire di più, con una diffe- renza negativa del Roi (come le micro-imprese, mentre un leggero differenziale positivo si registra per le piccole e, ancor di più, per le medie imprese). Nel complesso, sul

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