Civiltà del Lavoro, n. 6/2018
103 CIVILTÀ DEL LAVORO VI - 2018 INTERVISTE stabilità politica e manca un approccio culturale per fare squadra, tra noi italiani, per amare di più il nostro Paese e fare squadra nel modo di approcciare la società e l’e- conomia. Perché gli altri Paesi che la fanno sono più for- ti, perché la complessità a livello mondiale è tale per cui solo mettendo in rete i nostri cervelli possiamo pensa- re di farcela. Sempre pronti a gesti di grande generosità, siamo una fucina di talenti che purtroppo scappano e di furbi che spesso si annidano nella cosa pubblica; una so- cietà dove tutti sono allenatori e pronti a prendersela con i politici, ma dove ci sono anche tanti imprenditori che si fanno carico di mille problemi, con uno Stato che c’è troppo dove non dovrebbe ed è latitante dove servirebbe. Al termine della sua analisi, in cui non fa sconti a nessuno, emerge un messaggio di cauto ottimismo. Noi italiani abbiamo l’orgoglio e gli anticor- pi per un riscatto: l’I- talia ha un vantaggio competitivo “endoge- no” legato al concetto del bello, del buono, del ben fatto. Un’at- titudine che deriva sia dalla vena creati- va, alimentata dall’in- commensurabile pa- trimonio di bellezze del nostro Stivale che tutti al mondo ci invi- diano, sia dalla cultu- ra manifatturiera di mestieri tramandati da generazioni. Queste sono tutt’oggi le nostre armi di rilancio. Inoltre, a livello globale è in atto un cambiamento epo- cale, simile a quello del rinascimento, che dobbiamo ca- valcare. Ci porterà a una nuova era che io chiamo era del benessere, in cui il paradigma dello sfruttamento delle ri- sorse viene sostituito con il paradigma della rigenerazione delle risorse: mi riferisco all’economia circolare, all’econo- mia della condivisione, alle energie rinnovabili, ai cibi ri- generativi per l’ambiente e per la salute. Tutto questo sta già accadendo, ci vorrà qualche decennio ma stiamo co- struendo un mondo meraviglioso, dove l’economia sarà più sostenibile, ci sarà maggiore inclusione e avremo ri- creato un’armonia con l’ambiente. • Dentro una tazzina di espresso, composta da 50 chicchi di caffè, c’è un mondo intero: ci sono le culture che s’incon- trano, il profumo e l’esotismo di questi posti, mille anni di storia, l’arte che li rappresenta, i viaggi alla scoperta di luoghi meravigliosi. E poi c’è la scienza che studia la ma- teria prima e il prodotto finito, l’innovazione di prodotto e di processo. C’è anche l’arte del saper fare e trasformare la bevanda, con le sue regole precise e i suoi riti. Dal 2013 è presidente della Fondazione Altagamma, che riunisce le imprese ambasciatrici nel mondo del- lo stile di vita italiano. Secondo lei, gli italiani sono consapevoli di quanto valga il brand Italia nel mondo? Credo che gli italiani abbiano una percezione istintiva dell’alta considerazione che nel mondo gode la nostra industria culturale e creativa, quella di cui fanno parte i brand della moda, del design, dell’ali- mentare, dell’ospita- lità, della gioielleria, dei motori, della nau- tica. Brand che offro- no prodotti e servizi intimamente connessi alla nostra tradizione culturale e manifattu- riera. Quello che forse non tutti sanno è che Made in Italy è il ter- zo marchio più noto al mondo dopo Coca-Co- la e VISA secondo uno studio molto citato di KPMG. E forse non tutti conoscono i numeri che testimoniano l’importanza dell’alto di gam- ma italiano: ha una quota di mercato mondiale del 10% circa (con punte del 30% nel design, e di più del 22% nella moda e nell’alimentare), vale il 5% del Pil, e occu- pa più di 500.000 persone, tra addetti diretti e indiretti. “Che cosa manca all’Italia per essere felici?” È la pro- vocazione con la quale esordisce con il suo ultimo libro “Italia felix – Uscire dalla crisi e tornare a sorridere”, in cui esamina con rigore scientifico i fenomeni in at- to nel nostro Paese. Ce li può descrivere brevemente? Ci sono mille ragioni per lamentarsi, ma ce ne sono al- trettante per ringraziare il Paese dove siamo nati. Manca
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