Civiltà del Lavoro, n. 6/2018
89 CIVILTÀ DEL LAVORO VI - 2018 INTERVISTE la clinica è sempre stata un progetto di vita. Quanto alla Presidenza nazionale dell’Aiop, sono onorata e felice di es- sere stata scelta per ricoprire questo ruolo. Il fatto di esse- re la prima donna aumenta il mio senso di responsabilità. Da Casa di cura a centro avanzato di ricerca e di spe- rimentazione clinica, l’innovazione e nel vostro Dna: come giudica oggi la propensione a innovare del Pae- se e del Mezzogiorno? L’innovazione e lo sviluppo sono fondamentali per la cre- scita e la competitività, non solo delle aziende ma del Pa- ese. Scontiamo però un ritardo dovuto, anche, al fatto che, sovente, i governi hanno trattato, per usare un eufemi- smo, con evidente timidezza il tema della crescita e del- la competitività. In una prospettiva che non dovesse con- templare investimenti in ricerca e sviluppo, il nostro Paese rischierebbe di perdere competitività. In questo scenario si inserisce il Sud. Rispetto alla propensione a innovare del Mezzogiorno, in passato, quando si parlava di svilup- po del Meridione, si faceva riferimento a uno sviluppo “a macchia di leopardo”: aree economiche vivaci, con una propensione all’innovazione, e aree meno sviluppate, se non sottosviluppate. A distanza di decenni la situazione non è molto cambiata. Sarebbe, però, ingeneroso affer- mare che il Mezzogiorno d’Italia, nel suo complesso, non si confronta con l’innovazione. Qual e il suo primo ricordo alla guida della Casa di Cura? In un certo senso, sono stata predestinata. La zia nutri- va affetto materno per mio padre. Ma conoscendo la sua propensione per l’impegno universitario, la sua passione per la ricerca scientifica, i suoi impegni internazionali ha compreso che sarebbe stato ingeneroso chiedergli di ri- nunciare a realizzare quello nel quale credeva. È stato a mio padre che, nel 1983, ha consegnato la clinica ma, con una promessa mai dichiarata, come sovente avviene tra coloro che non hanno bisogno di dirsi le cose per com- prendersi, che lui avrebbe dovuto custodire la sua crea- tura per consegnarla a me, che tanto avevo di lei. La zia Eva è mancata nel 1984. Io l’anno dopo sono andata a studiare all’Universita cattolica di Milano, pensando di fa- re altro nella vita, perché altri erano i miei sogni. Poi, pe- rò, nel 1991, mio padre, che aveva tessuto un’intelligen- te e sofisticata rete di Penelope mi ha riportata a casa. Entrambi avevano compreso che la clinica sarebbe stata la mia casa e la mia vita, la realtà nella quale sarei riu- scita a realizzare me stessa. • una porta – mi diceva –. Devi crederci, essere determinato, non immaginare di potere andare incontro ad un insucces- so e, se dovesse avvenire, devi avere la capacità di tra- sformare una criticità in opportunità. Ma ricorda, sempre, che non riuscirai a raggiungere risultati importanti se non imparerai a lavorare in squadra”. La sua sfida più grande è stata quella di lasciare la Sicilia, per acquisire conoscen- ze e competenze, per poi ritornarvi e metterle al servizio di un'isola che ha sempre amato. Si è specializzato a Pa- rigi, nella scuola di Raul Palmer, uno dei più grandi gine- cologi al mondo. Ha lavorato a Lubiana e poi in Australia. Tutto quello che ha imparato lo ha reso patrimonio della sua terra. Nel 1984 ha creato la “Fondazione per la ripro- duzione umana”: la prima struttura in Italia che si è oc- cupata di sterilità. Nel 2006 trasformata in “Fondazione di Ricerche e studi ginecologici Eva Candela”. Negli anni successivi, sono stati organizzati convegni internazionali, con assegnazione di borse di studio a medici e biologi. Tra il 2009 e il 2015, per esempio, i progetti sulle biobanche di gameti e tessuti riproduttivi. Due occasioni che hanno consentito il potenziamento dei laboratori per la fecon- dazione assistita della nostra struttura, sia per quanto at- tiene la ricerca che la parte operativa. Dal 1991, quando ho assunto le redini dell’attività, il nu- mero dei servizi e delle prestazioni è notevolmente au- mentato, la superficie dell’azienda si è estesa del 40%, il fatturato è cresciuto in maniera significativa, l’impegno sociale nei confronti del territorio si è intensificato. Da poco e, anche, alla guida dell’Associazione Italia- na dell’ospedalità privata. E la prima donna a ricopri- re questo ruolo. Anche la Clinica Candela, del resto, ha una lunga tradizione imprenditoriale al femmini- le. Pionieri anche in questo? Anche sotto questo profilo, la mia famiglia è un'eccezione rispetto ad altre. È stato “naturale”, per mia zia Eva, negli anni in cui Pietro Germi raccontava la Sicilia di ‘Sedotta e abbandonata’, essere un imprenditore. Indiscutibilmente esisteva, anche, quella Sicilia. Ma nella storia siciliana, le donne che hanno dato prova di carattere, determinazio- ne, capacità, impegno e dedizione ci sono sempre state. E mia zia Eva era una di queste. Il passaggio di testimo- ne con me, ancorché non diretto, è stata una scelta sen- za tentennamenti, verosimilmente, per un’identificazio- ne, tra noi due, che si è sviluppata nel corso degli anni. Ho raccolto un’eredità, che per me non è, semplicemen- te, economica ma morale, perché per la nostra famiglia
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