Civiltà del Lavoro, n. 6/2018

93 CIVILTÀ DEL LAVORO VI - 2018 INTERVISTE A proposito del suo ruolo in Confindustria, l’ha arric- chita questa esperienza associativa? È stata per me un’esperienza positiva sia dal lato profes- sionale che umano. Certamente anche impegnativa perché due fatti impor- tanti sono intervenuti durante il mio mandato: l’inizio del- la grave crisi finanziaria ed economica con il fallimento di Lehman Brothers e l’uscita di Fiat da Confindustria. Questa crisi dalla quale il Paese non è ancora completa- mente uscito, ha avuto un impatto fortemente negati- vo soprattutto nei territori più industrializzati quali quel- lo bresciano. Crollo dei fatturati e stretta creditizia, hanno messo a ri- schio e hanno pregiudicato gli investimenti per molti anni. Hanno costretto molte imprese ad uscire dal mercato e hanno creato in molti imprenditori forti dubbi sul futuro delle loro aziende. In quegli anni ho toccato con mano quanto invece sia forte in tanti imprenditori piccoli e medi la forza di reazione, di resistere alle avversità e di continuare a credere nel futuro. L’uscita di Fiat dal sistema confindustriale è stato senz’al- tro un passaggio traumatico per l’Associazione a livello nazionale e a livello territoriale. Competizione globale, diversità di opinioni in materia sin- dacale e contrattuale, percezione di mancanza di voglia o paura di cambiamento, penso siano i fattori che hanno portato a questa decisione. Oggi, a distanza di anni, ritengo che quanto avvenuto sia stato comunque di aiuto ad innovare il mondo delle re- lazioni sindacali. • Un aumento notevole dei dazi da parte dell’amministra- zione americana su importazione di automobili dall’Eu- ropa avrebbe per noi un impatto negativo molto impor- tante in quanto sono i marchi premium i più interessati all’export verso gli Stati Uniti. Nel caso di una “Hard Brexit” vedo rischi per l’Europa, ma nello stesso tempo anche per il Regno Unito. Le catene logistiche globalizzate e l’Automotive sono un esempio da manuale. Soffrirebbero danni ingenti se ve- nissero imposti imbuti di dogane, tariffe e procedure com- plesse all’import e all’export. Il “made in Italy”, dal suo osservatorio privilegiato, gode ancora di un valore aggiunto? Un numero rilevante di indicatori conferma che il made in Italy gode di un valore aggiunto e non solo nei tradizio- nali settori della moda, del food e dei mobili, ma anche nel settore meccanico, dove siamo tra i primi esportato- ri al mondo. La cosa interessante è che i nostri prodotti si impongono non solo perché “fatti in Italia” ma bensì perché hanno alto contenuto tecnologico e perché com- petitivi a livello di prezzo con la concorrenza mondiale. Nel settore della componentistica auto, ad esempio, su un fatturato 2017 di circa 40 miliardi di euro, 17 miliar- di sono stati esportati in Germania, Usa, Gran Bretagna, Francia e altri mercati mondiali. Ne è conferma la nostra azienda che esporta il 90% della sua produzione in Germania e Gran Bretagna. Come presidente degli industriali di Brescia si è fat- to promotore del Liceo Internazionale per l’Impresa. Non le pare che, purtroppo, si tratti di iniziative trop- po sporadiche in un Paese così bisognoso di cultura d’impresa? L’investimento in cultura, formazione ed educazione, rac- cogliere la sfida della conoscenza come fattore prioritario della crescita economica e sociale, queste le motivazioni che ci hanno spinto a far nascere a Brescia il Liceo inter- nazionale per l’impresa Guido Carli, istituto totalmente fi- nanziato dall’Associazione Industriale Bresciana. Valorizzazione del merito e pari opportunità di accesso i principi fondativi. Una scuola di eccellenza che avrà ricadute positive sui sin- goli e sul territorio e che mi auguro possa essere replica- ta in altre zone del territorio nazionale.

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