Civiltà del Lavoro, n. 1/2019

CIVILTÀ DEL LAVORO I - 2019 21 quarta rivoluzione industriale; le precedenti prime due so- no state appannaggio dell’Europa, la terza ha visto attore prevalente gli Stati Uniti, questa è mondiale. La grande rivoluzione della conoscenza a portata di tutti proposta da Internet, l’elettronica, le energie rinnovabili, i nuovi materiali e i nuovi strumenti di produzione impongo- no agli uomini politici capacità di previsione e di attuazio- ne rapida delle scelte strategiche: l’alternativa è la stagna- zione o peggio la recessione o addirittura lo scioglimento dell’Unione europea. Il libero mercato, ormai imperativo categorico delle scel- te dei paesi democratici, non consente il dirigismo di altre epoche, però gli uomini politici europei, gli statisti, se vo- gliono essere riconosciuti come tali, devono avere presen- te la forza degli Stati emergenti, un tempo chiamati in via di sviluppo, per orientare le imprese europee verso pro- getti a forte valore aggiunto per competere con successo in un’economia globale. Nel cammino dell’Unione europea attualmente sono pre- senti due gravi problemi: il primo è il trasferimento, pre- valentemente dall’Africa, dei migranti che da paesi poveri cercano un futuro nei paesi ricchi dell’Europa, dove, come in Italia, esistono sacche di povertà; tali aspetti della situa- zione suscitano contrasto e diffidenza e il rimedio può es- sere soltanto un colossale piano pluriennale di interven- to dell’Europa nei paesi africani per sviluppare sul posto scuole superiori, strutture sociali e iniziative imprendito- riali con conseguente elevazione sociale e loro benessere; il secondo problema è che si stanno consolidando segnali di rallentamento dell’economia nei paesi dell’Unione eu- ropea, che invece nel 2017 aveva dato timidi segnali di ri- presa dopo anni di crisi; tale situazione investe oltre l’Italia anche la Germania, definita un tempo locomotiva d’Euro- pa, la Francia e altri. Le istituzioni europee dovranno tempestivamente interve- nire riconsiderando l’impianto fiscale di tutti i paesi d’Eu- ropa consentendo, con l’alleggerimento del sistema fiscale (flat tax?), margini di spesa per i privati e margini di inve- stimento per il rilancio delle imprese. Inoltre gli uomini politici e quindi i governi degli Stati mem- bri, abbandonando tempismi distruttivi, dovranno, per es- sere adeguati al ruolo, attuare iniziative di un forte aggior- namento della Ue e quindi in primis un sistema fiscale comune, un sistema giuridico comune e una difesa co- mune; tale programma, però, non può essere realizzato dai 27 Stati membri, difformi talora per dimensione e at- teggiamento politico; lo potranno soltanto i sei paesi del Trattato di Roma del 1957 più la Spagna. Una volta attua- to tale programma, questo sarà una calamita che attrar- rà irrevocabilmente gli altri Stati membri. Inoltre sarà ne- cessario rendere ancora più vincolante il ruolo della Banca centrale europea, affinché tutte le banche d’Europa abbia- no uno stesso ordinamento, indipendentemente dalla lo- ro collocazione territoriale. Mentre al momento della en- trata in vigore dei trattati di Roma i sei paesi sottoscrittori avevano una situazione economica pressoché omogenea, oggi la situazione è più complessa, si sono venute crean- do nel tempo difformità sulla struttura economica di alcu- ni dei paesi membri; l’Italia ha fatto una politica di spesa che sta creando notevoli difficoltà, però come nel 2002 fu consentito agli Stati europei dell’est qualche anno di mo- ratoria, così oggi deve essere adottata una politica di vera collaborazione: un evento quale quello cui fu sottoposta la Grecia per mancato tempismo dei vertici dell’Unione eu- ropea non deve più ripetersi. Non c’è dubbio che per la crisi del 2008 nell’immediato fos- se necessario affrontare un periodo di austerità, ma averlo fatto durare un decennio è stato un errore strategico di cui vediamo le conseguenze. Non è stato più possibile operare investimenti sulle infrastrutture e tale comportamento ha contratto lo sviluppo economico di molti paesi dell’Europa. Nei primi anni del ‘900, durante uno dei governi di Giovanni Giolitti, l’Italia era indebitata fortemente, quasi come oggi anche con banche internazionali, però questo debito si era venuto costituendo per consentire il rapido completamento di tutta la rete ferroviaria del Paese; tale infrastruttura con- sentì il rigoglioso sviluppo dell’Italia, che poté rimborsare » Il Trattato di Lisbona del 2007

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