Civiltà del Lavoro, n. 1/2019
CIVILTÀ DEL LAVORO I - 2019 25 un momento di confronto tra est e ovest. Senza il piano Marshall e l’iniziativa americana a favore delle istituzioni multilaterali difficilmente l’idea di Europa avrebbe avuto la forza di decollare. Oggi il problema strategico degli Sta- ti Uniti è rappresentato dalla Cina e l’attenzione è rivolta al Pacifico. L’Europa non è più al centro dell’equilibrio stra- tegico mondiale. Questo è stato uno dei fattori che ha spinto il Regno Unito a cercare una diversa collocazione internazionale attraver- so il progetto di uscita dall’Europa. La responsabilità di fare progredire l’idea di Europa non beneficia oggi di un sostegno esterno, ma ricade intera- mente sulla sua leadership, una leadership che deve esse- re espressa soprattutto dai paesi più importanti: la Germa- nia, la Francia e l’Italia. L’Europa delle origini aveva una visione strategica guidata dalla Francia. L’obiettivo era di inglobare la Germania in un progetto politico più vasto che la condizionasse e le impe- disse di tornare a minacciare gli altri paesi. Ma era una Ger- mania divisa e umiliata. La riunificazione tedesca dell’ottobre 1990 ha cambiato radicalmente la prospettiva riportando nuovamente la Germania al centro della scena europea. I francesi, consapevoli delle conseguenze dell’allargamen- to, hanno tentato di contenere la Germania imponendo la creazione di una nuova moneta e la rinuncia al marco. Il rafforzamento della Germania all’interno dell’Unione eu- ropea non è stato però accompagnato da un disegno poli- tico condiviso, come lo era quello delle origini. Il trattato di Maastricht del 1992 che avrebbe dovuto rap- presentare la nuova visione dell’Europa, si concentrò so- prattutto sui parametri di convergenza in vista dell’Unio- ne monetaria. Alla luce dell’esperienza successiva appare chiaro che il sistema di regole imposto dal trattato rappre- sentava la rinuncia alla definizione di una leadership po- litica: era la ricerca di un pilota automatico che impedisse la discrezionalità. Il dibattito su regole e flessibilità che ancora oggi domina in Europa è in realtà un dibattito sulla necessità o meno di una leadership. È impopolare dirlo e contrasta con il le- gittimo orgoglio degli altri paesi, ma spetta alla Germania definire una propria idea di Europa e condividerla con gli altri. Non basta su questo un accordo con la Francia come sta tentando di fare Macron con il Trattato di Aquisgrana. Per una condivisione di responsabilità occorre coinvolge- re una platea di paesi più vasta. È una sfida più comples- sa che richiede visione, generosità e azione, ma senza la quale difficilmente si potrà arrestare un processo involuti- vo dell’Europa dalle conseguenze molto gravi. Ci sono molte ragioni che militano a favore di una più stret- ta integrazione europea. E sono ragioni connesse alle esi- genze di difesa dell’Europa. Innanzitutto, alla difesa dei suoi valori, il più importante dei quali è rappresentato dall’idea di solidarietà definita dallo stato sociale. Ma anche alla di- fesa delle sue imprese e della sua economia. Sono cambiate le dimensioni per competere. L’asse dell’e- conomia si è spostato verso l’Asia. Paesi come la Cina e gli Stati Uniti in una prospettiva di riduzione degli scambi internazionali rafforzeranno le loro dimensioni industriali. I singoli paesi europei non hanno le dimensioni per com- petere in questo scenario. Occorre favorire processi di con- centrazione che definiscano come mercato rilevante l’in- tera Unione europea. C’è poi la dimensione militare. Il mondo di oggi ha dei ri- schi geopolitici non meno rilevanti di quelli che avevano caratterizzato il periodo della guerra fredda. Il tema di un potenziamento e messa in comune dei sistemi di difesa è una priorità, tenuto conto del fatto che fino ad ora l’Europa si è appoggiata sui sistemi di difesa americani. La leadership europea non si può limitare alla dimensio- ne economica proponendo regole e sorvegliando sul loro rispetto. Ma per fare evolvere l’Europa in questa direzio- ne occorre che anche l’Italia faccia la sua parte, avanzan- do proposte nelle sedi opportune con una presenza conti- nua e autorevole. L’Italia è uno dei paesi fondatori della comunità ed è uno dei paesi che ha contribuito con maggiore chiarezza a de- finirne il valore politico con il manifesto di Ventotene. Tra i grandi paesi fondatori è forse quello che avrebbe me- no difficoltà ad avanzare proposte senza suscitare negli altri il sospetto di voler esercitare un ruolo egemone. Bisogna, però, che la politica italiana capisca che è ora di cambiare atteggiamento, smettendo di lamentarsi e assu- mendo l’iniziativa nelle sedi opportune. • Franco Bernabè è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2011. È presidente di NEXI, società italiana leader nei pagamenti elettronici e presidente di FB Group. È stato presidente e amministratore delegato di Telecom Italia e amministratore delegato dell’Eni, della quale ha gestito la trasformazione da Ente di Stato in SpA
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