Civiltà del Lavoro, n. 1/2019

FORUM Il ritardo italiano: una questione di leadership Sappiamo che uno dei problemi fondamentali del nostro Paese è proprio quello della crescita. Abbiamo di fronte a noi una forbice, che ci differenzia costantemente rispet- to ai principali paesi europei e che si è generata a parti- re dall’anno 2000. Dietro la mancata crescita economica del nostro Paese, accanto a tanti altri problemi strutturali, vi è la caduta del- la produttività, iniziata anch’essa a partire dall’anno 2000. Ormai trova sempre più sostegno la tesi che uno dei fat- tori fondamentali di questa mancata crescita consista nel fatto che si è investito poco negli ultimi 15-20 anni, in par- ticolare si è investito poco in nuove tecnologie e innova- zione. Per essere al pari della media europea avremmo dovuto investire all’anno 25 miliardi di euro in più. Invece abbiamo accumulato un gap di oltre 300 miliardi di euro non investiti in innovazione all’interno del nostro sistema economico, del sistema delle imprese, della Pubblica am- ministrazione, all’interno dei nostri sistemi territoriali. Ciò significa che il capitale di innovazione iniettato nell’eco- nomia italiana è indubbiamente più basso, in percentua- le rispetto al Pil, rispetto agli altri paesi europei. E questo ci è costato molto caro in termini di crescita economica, bassi tassi di produttività, arretratezza nell’adozione di In- ternet, nell’e-commerce, nello sviluppo delle competen- ze, fattori che ci mantengono agli ultimi posti delle clas- sifiche internazionali. Fra i motivi per cui ciò è avvenuto va individuato il fatto risposte efficaci ai cambiamenti in atto. Né possono es- sere mantenute a lungo, considerando che ciò che sta cambiando sono proprio i fondamenti su cui finora si so- no basati gli economics di una società e del modello indu- striale sviluppato finora. Ormai abbiamo visto che la fase distruttiva di Internet è contestuale alla fase costruttiva, in cui sorgono i nuovi intermediari dell’ambiente digitale, sia per i flussi informativi che per i beni fisici. Prima ce ne rendiamo conto, prima impariamo a cavalcare quest’onda tecnologica, meno avremo da temere dal cambiamento perché diverrà un’opportunità. Non capirlo, resistere, ri- tardare, aver paura dell’innovazione, significa essere pri- ma o poi tagliati fuori. Le grosse sfide sul piano etico, della privacy, delle regole che accompagnano i cambiamenti strutturali in atto, richie- dono risposte chiare ed efficaci. Dobbiamo perciò essere consapevoli che la posta in gioco è altissima. A mano a mano che l’economia si digitalizza e saltano i tradizionali confini tra i mercati, in realtà si aprono più spazi di quanti se ne chiudano. Anche se ora facciamo fatica a compren- derla a pieno, la dinamica della trasformazione digitale è espansiva, potenzialmente inclusiva, collaborativa, tra- sversale. E mentre fa saltare i tradizionali confini fra set- tori, mentre rende obsolete le mansioni più ripetitive, at- traverso nuove integrazioni, nuove interconnessioni, crea nuovi mondi economici, relazionali, culturali. È partendo da questa premessa che occorre muoversi per analizzare lo scenario digitale italiano. IL RITARDO ITALIANO NEL CAPITALE ICT HA FRENATO LA CRESCITA Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Confindustria Digitale su fonti varie 100,0 103,0 2007 2009 2011 2013 106,0 109,0 112,0 115,0 118,0 121,0 124,0 127,0 94 2000 2005 2015 2000 2005 2015 98 102 106 110 114 118 0 30 25 20 15 10 5 Italia PIL (2000=100) Produttività (2000=100) Capitale ICT (in % del PIL) UE USA

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