Civiltà del Lavoro, n. 1/2019

CIVILTÀ DEL LAVORO I - 2019 70 FORUM 80mila adesso (e questo numero si allarga a 200mila nel giro dei prossimi due o tre anni), troverebbero lavoro og- gi pomeriggio. Vado avanti nella riflessione. Da qui a cinque anni avre- mo bisogno di riqualificare 800mila persone che lavorano nelle linee di produzione o comunque in fabbrica, ma an- che nel mondo finanziario e bancario. È l’intera economia che viene interessata da questa grande rotazione, trasfor- mazione, riqualificazione delle persone. Nei prossimi cinque anni dobbiamo riqualificare 800mila lavoratori e altri 800mila li dobbiamo preparare per oc- cupare le opportunità che non abbiamo. È evidente che questa tematica porta con sé anche tante paure. Le nuove tecnologie ci hanno messo davanti cose nuove, pensiamo alla privacy, al diritto d’autore, alla cyber- security, non c’è dubbio. Poi c’è anche il rischio del digi- tal divide, generazioni di persone che potrebbero sentirsi tagliate fuori. Non è esente da sfide sociali molto impor- tanti tutto ciò che stiamo vivendo, però attenzione, non dobbiamo farci guidare dalle paure nell’affrontare il nuo- vo. È sempre successo. Quando sei di fronte ad una tra- sformazione profonda la paura tende a sopraffare i bene- fici e far vedere tutto nero. Non è così, dobbiamo gestire con grande cautela e attenzione queste fasi di trasforma- zioni evitando che i problemi che esistono non diventino giganteschi per la società. L’esperienza ci dice che, se da un lato le tecnologie gene- rano nuovi problemi, nello stesso tempo aiutano anche a risolverli. C’è, quindi, anche un atteggiamento cultura- le importante che la classe dirigente deve portarsi dietro. Sulla formazione, lo dico brutalmente, questo è il grande buco del Governo, ma anche di quello precedente. Dati i numeri che Paolo ha letto, noi abbiamo bisogno di tripli- care il numero dei diplomati degli Istituti tecnici superio- ri, di raddoppiare ogni anno il numero dei laureati in di- scipline scientifiche. Abbiamo bisogno di mettere in ogni corso universitario l’informatica, il digitale. Non puoi es- sere architetto o medico senza conoscere il digitale. Ma queste cose, una volta fatti i numeri, rimangono lì. Non abbiamo visto azioni concrete per affrontare questo che è il cuore di tutti i problemi, la formazione manageriale, la formazione dei quadri, degli studenti, la riqualificazione all’interno delle imprese. Cioè, il tema della digitalizzazio- ne della popolazione del Paese. È drammatico. Abbiamo il numero chiuso in ingegneria e il numero aper- to in scienza della comunicazione. Con tutto il rispetto per chi l’ha fatta, io farei il contrario. I laureati in scienza del- la comunicazione o in filosofia non vengono assorbiti dal mercato del lavoro; dobbiamo fare il contrario. Se vai a parlare con tanti rettori cominciano a fare l’elen- co dei problemi del perché non si può fare. Mi piacerebbe vedere l’elenco delle soluzioni e non dei problemi. Questo è il passaggio che ancora il nostro mondo pubblico non riesce a fare. Non c’è una visione di un paese che cam- bia o di un paese che scommette sulla conoscenza, sulle competenze, sulla condivisione, sulla cultura aperta. Que- sto non sta emergendo, lo dobbiamo dire. Sull’intelligen- za artificiale sono stati messi 40 milioni di euro in tre an- ni rispetto ai quattro miliardi della Germania. Paradossalmente, per una struttura di piccole e medie im- prese, dove l’amore per il prodotto è straordinario, dove l’innovazione è parte della cultura dell’imprenditore, que- sto dovrebbe essere il pane quotidiano. La Pubblica amministrazione è lì, ancora come l’abbiamo lasciata tre o cinque anni fa, non riesce a fare la velociz- zazione. Il nuovo ministro per la Pubblica amministrazio- ne, Giulia Bongiorno, non aiuta perché afferma “siamo all’anno zero”. Non è così. Al ministro dico: “Dacci anche tu la roadmap, la scaletta per fare in modo che l’Anagrafe unica del cit- tadino venga veramente realizzata per tutti gli italiani, dicci esattamente cosa serve per avere un responsabile digitale”. C’è ancora troppa cultura del “non si può fare”. Come vedi faccio un bilancio sulla situazione, luci e om- bre. Siamo usciti dalla fase di stallo complessiva, il mon- do imprenditoriale si è messo in movimento. Peccato per quest’anno perso, ma la dinamica è tutta lì, si comincia a sentire che dietro questo c’è la sopravvivenza, parliamoci chiaro. Da parte del Governo stiamo un po’ tirando, inve- ce di essere loro a tirare con entusiasmo con risorse, con programmi. Davvero ci stiamo giocando il Paese, ci stia- L’ESPERIENZA CI DICE CHE, SE DA UN LATO LE TECNOLOGIE GENERANO NUOVI PROBLEMI, NELLO STESSO TEMPO AIUTANO ANCHE A RISOLVERLI. C’È, QUINDI, ANCHE UN ATTEGGIAMENTO CULTURALE IMPORTANTE CHE LA CLASSE DIRIGENTE DEVE PORTARSI DIETRO

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