Civiltà del Lavoro, n. 1/2019

CIVILTÀ DEL LAVORO I - 2019 76 FORUM dall’Erasmus in poi, stanno sperimentando ovunque nel mondo la totale orizzontalità, la trasparenza nell’acces- so alle informazioni, gli strumenti, l’open innovation non solo a livello imprenditoriale, ma anche a livello sociale. Questo dovrebbe abbattere tutti i timori e le paure che probabilmente sono dettati in una società come la no- stra, che è guidata da persone che per motivi culturali o anagrafici non hanno una prospettiva aperta verso il fu- turo o ce l’hanno verso un futuro molto a corto termine. Una sorta di delegittimazione arriva anche dal fatto che non siamo consapevoli di quanto ormai tante generazioni abbiano visibilità di come il nostro sistema non si evolva, resista a qualche cosa che, soprattutto e ancora di più dal loro punto di vista, porta solo opportunità. Lasciamo loro, invece, uno strascico negativo riguardo l’open innovation, che invece sembra pervadere la nostra società. Un clima di precarietà per il quale anche quelle rare volte che si progetta qualche cosa a medio periodo poi il tutto viene immediatamente disatteso sempre per una logica di corto periodo. Quando parlavo in termini di comunicazione valoriale, basta guardare l’effetto che hanno avuto le comunicazio- ni televisive e dei media in generale sulla filiera food – Masterchef e così via – e la risposta nelle iscrizioni pres- so gli istituti alberghieri che fino a cinque-dieci anni fa stavano per morire. Ovviamente non si deve ripercorre- re sempre la stessa strada, cosa che tra l’altro fa perdere anche di credibilità. Operando a Bologna con degli istituti tecnici e profes- sionali, uno dei progetti più noti a livello nazionale è il DESI, una sorta di “via italiana al sistema duale”, na- to nel 2014, ancor prima che esistesse l’Alternanza Scuola-Lavoro, come descritta dalla Buona Scuola, che si è ispirata anche al nostro modello. Quando sono andato due mesi in Germania, ad Ingolstadt, a studiare il loro sistema, ho potuto verificare come il loro sistema sia profondamente diverso. Non lo si può replica- re, non avrebbe senso, anzi sarebbe ridicolo. Quando si va nel centro di formazione dell’Audi, dove si vedono tremila ragazzi tra i quindici e i sedici anni, dove la scelta di indirizzo va di pari passo con la mobilità terri- toriale che noi abbiamo solo all’università, dove si vede una presenza femminile del 50%, dove le apprendiste, che magari vanno due volte la settimana dall’estetista, non hanno alcun timore ad infilare la mano senza guan- to nella scatola del cambio, che è ricca di un grasso che anche al quinto lavaggio non si toglie facilmente, ecco lì si capisce il valore che è stato dato ad un determinato la- voro, a una determinata competenza. Noi siamo ancora dietro questa sciocca dicotomia del sa- pere e della formazione di due livelli per cui l’istituto tec- nico professionale da noi rappresenta l’ultima scelta, quel- la residuale se proprio non si è riusciti a fare niente altro nella vita o vengono riconosciute scarse capacità. Come Paese dovremmo lavorare, investire anche in ter- mini di comunicazione, per far comprendere nella nostra società, quale valore e utilità la matematica, l’ingegneria, l’informatica e il digitale abbiano per disegnare il nostro futuro. Che poi, va detto, per il 99% dei nostri ragazzi è il presente quotidiano in termini di utilizzo, appunto, degli strumenti, degli smartphone, dei social ecc., di cui spesso ignoriamo le enormi potenzialità inesplorate. Ogni volta che presento il nostro percorso DESI alle fami- glie otteniamo un riscontro molto positivo perché verifi- co, oltre chiaramente alla preoccupazione di assicurare un lavoro a tre anni al proprio figlio, come cadano determi- nate barriere e pregiudizi verso le aziende ed il lavoro in fabbrica che inevitabilmente ci sono. E non dimentichia- moci che stiamo parlando della Motor Valley, un territo- rio unico in Italia, dove per esempio possiamo avere an- che nelle fabbriche automotive una presenza femminile del 30-40-50% a seconda dei casi. Ho interagito con molte aziende operanti in regioni meri- dionali, capisco benissimo il diverso valore, la diversa per- cezione, tant’è vero che il nostro unico cruccio al momento NOI IN DUCATI COMPETIAMO CON HONDA, CHE HA UN BUDGET 50 VOLTE SUPERIORE AL NOSTRO. COME FACCIAMO? IL NOSTRO PUNTO FORTE STA NELLA CAPACITÀ DI ANDARE OLTRE GLI SCHEMI, FACCIAMO DI NECESSITÀ VIRTÙ. NON È UN CASO SE IN HONDA I PROGETTISTI SONO PER METÀ ITALIANI. VENGONO A PRENDERLI QUI

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