Civiltà del Lavoro, n. 1/2019
CIVILTÀ DEL LAVORO I - 2019 77 FORUM in questo percorso è di non avere inserito ancora nessuna ragazza. Questo perché negli istituti professionali la pre- senza femminile è minima, sono scuole solo maschili, di fatto. In altri progetti collaboriamo con ITS, per esempio a Fornovo, con Dallara. Quando possiamo scegliamo in- gegneri donne perché hanno abilità e capacità specifiche e anche perché crediamo molto nella diversity all’inter- no del gruppo di progetto, quindi con differenti approcci e prospettive. Abbiamo imparato che arricchiscono, non tanto per una visione illuminata, quanto proprio per un’e- sperienzialità, per una pratica, per un approccio. Infatti, abbiamo anche due o tre elementi nella scuderia corse. Chiaramente abbiamo a che fare con un gap formativo enorme rispetto alle esigenze professionali, importante, ma che è storico. Io mi sono laureato nell’87 in giurispru- denza e consideravo scandaloso potermi laureare senza aver sostenuto una prova scritta. Il deficit di competen- ze e capacità parte veramente da lontano ed ancora oggi abbiamo un gap. D’altro lato, invece, vedo degli operatori scolastici, dei dirigenti scolastici che veramente, nonostan- te la situazione sia immobile a livello nazionale e istitu- zionale, si adoperano con spirito missionario. La dirigente scolastica del principale istituto tecnico con cui collaboro gestisce contemporaneamente almeno nove progetti co- me il nostro e ha introdotto quest’anno anche l’insegna- mento sperimentale di filosofia nel suo istituto. Come dicevamo, tutti noi dobbiamo avere conoscenze e formazione in ambito informatico o digitale, ma ovviamen- te se poi l’abbiniamo anche con una visione, una prospet- tiva più ampia, riusciamo a sfruttarne tutte le potenzialità. Noi lavoriamo con dei ragazzini i quali, a fronte di enormi carenze a livello “umanistico” figlie della scelta scolastica che hanno fatto, sarebbero in grado di montare e smon- tare il motore di una moto Gp in mezza giornata con tut- te le abilità tecniche e manuali necessarie. Faccio un esempio, noi competiamo con l’Honda, che ha un budget cinquanta volte superiore al nostro, un rappor- to di cinquanta a uno. Tutti gli analisti sono giapponesi, il 50% dei progettisti sono italiani e vengono a prenderli in Ducati, in Aprilia e così via. Il nostro punto forte è la capacità di andare fuori dagli schemi, facendo spesso di necessità virtù nella giungla italiana. Basandoci su questo dovremmo iniettare anche le capacità e competenze più tecniche, che sino a ieri in gran parte in Italia erano vissute come elementi rudi, sen- za utilità o nobiltà. Anche nella nostra azienda come in altre non c’è una cor- relazione stretta tra l’età anagrafica e l’apertura o la chiu- sura rispetto alla novità, è un fatto puramente personale, valoriale. È chiaro che le aziende che innovano, sono ef- fettivamente quelle dove c’è una leadership illuminata, e soprattutto che guarda a medio-lungo termine, che pen- sa non solo alla redditività aziendale, ma anche a concet- ti non necessariamente ampi di responsabilità sociale, e che per questo è disposta a investire. Facciamo investi- menti importanti in formazione in azienda perché le isti- tuzioni scolastiche a volte non forniscono le competenze che ci necessitano. Faccio un esempio in un processo che non è produttivo, ma riguarda il recruitment: il colloquio vis-à-vis con il can- didato ormai lo facciamo in meno dell’1% dei casi. Que- sto per dire che tutti i processi aziendali vengono comple- tamente stravolti a partire dagli strumenti a disposizione (li avessimo avuti venti anni fa!), frutto delle nuove tec- nologie e che presentano aspetti di enorme positività, i quali vanno chiaramente pilotati; se non lo facciamo noi lo faranno altri. L’accesso alle competenze, alle informazioni, oggi è tal- mente rapido e immediato, democratico, trasparente, che veramente chi si oppone o lo ignora si trova come Don Chisciotte con i mulini a vento. È destinato ad essere fuori o a restare comunque nella sua nicchia in brevissimo tempo. MAURIZIO SELLA Pensavo al tema della resistenza al cambiamento. Eppure c’è qualche esempio al contrario: i telefonini. In questo gli italiani sono i campioni mondiali, credo che oggi ci siano in giro 75 milioni di sim su 57 milioni di italiani. Perché questo straordinario successo? Insieme ai giapponesi, fra i grandi paesi, siamo i maggiori utilizzatori di questi ap- parecchi, forse perché è una innovazione estremamente comprensibile che dà dei risultati immediati, che tutti ca- piscono e utilizzano. Bisognerebbe cominciare a raccontare le innovazioni in un modo un po’ più familiare, facendo vedere non tanto la complessità dei processi – molti sono effettivamente complicati – ma lo straordinario risultato che si può otte- nere nella vita quotidiana. La percezione dell’evoluzione dell’innovazione è imme- diata, parlo a noi comunicatori, occorre mettere assieme tecnici e comunicatori per cercare di dare un’immagine dell’innovazione più semplice, immediatamente utilizza- bile, più vantaggiosa. Lascerei questa suggestione finale e poi riassumerei le due o tre cose da fare, che in parte sono già state dette. Oggi la rete dei centri di competenza e degli Innova- tion Hub esiste, bisogna fare uno sforzo per raccontarli, »
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