Civiltà del Lavoro, n. 2/2019

30 Civiltà del Lavoro maggio 2019 PRIMO PIANO Questo è uno dei compiti che ci siamo presi come mi- nistero. Con il dicastero dello Sviluppo economico abbia- mo messo in piedi una commissione congiunta che lavora esattamente su questo tema, cioè le competenze tecniche, la cultura tecnica d’impresa. Ovviamente loro lavorano per quanto riguarda le professioni e quant’altro, noi invece vo- gliamo creare un movimento di opinione che rivaluti il pre- stigio di fare una professione di tipo tecnico. Fin quando non cambieremo il modo di intenderlo, avremo questi problemi e l’industria italiana non può fare a meno di queste competenze. Poco fa lei accennava all’esigenza di tenere in piedi in una situazione di equilibrio dinamico sia il settore del pubblico che il privato. Al netto della vostra scelta mol- to decisa in favore delle politiche neokeynesiane, quan- to è effettivamente possibile integrare il privato con il pubblico, soprattutto in ambito culturale? Ricordo che qualche anno fa vennero fatti, proprio per iniziativa del Sole 24 Ore, gli Stati Generali della Cultu- ra, che misero insieme gli imprenditori – che qualcuno in modo forse un po’ frettoloso chiama mecenati – e il settore pubblico, al quale viene delegata la promozio- ne della cultura. Per partire le devo spiegare la visione. Se penso alla Pub- blica amministrazione mi piace immaginarla all’inglese o al- la francese, quindi una Pubblica amministrazione dove chi va a lavorarci è come se si sentisse investito di un compito di natura superiore. Quindi, quando si mette a fare le cose, queste devono avere una rilevanza, una qualità e anche un prestigio decisamente almeno comparabili a ciò che viene realizzato dal settore privato. Dico questo perché il concet- to di Pubblica amministrazione in Italia non è esattamente così. Un primo passaggio, dunque, è ridare dignità e, soprat- tutto, il contraltare della dignità, cioè avere delle aspetta- tive sulla Pubblica amministrazione che, a mio avviso, non ha abbastanza parametri con i quali viene misurata e non ci sono delle azioni conseguenti. Quindi ci vogliono meno scuse e più performances da parte della Pubblica ammini- strazione. Le parlo di tutto il territorio nazionale, di tutti i ministeri. È un concetto complessivo, è come ci si pone nei confronti del cittadino. Parliamo del mio ministero. Io ho una stima di circa mezzo milione di luoghi fra case, edifici, siti archeologici che in Ita- lia sarebbero meritevoli di attenzione. Non esiste una stati- stica del genere, lo dico subito, ma è un ordine di grandez- za. Alcuni sono minori, altri maggiori o dei cippi o, ancora, dei complessi molto più grandi. La verità è che lo Stato non avrà mai tutte le risorse, ma soprattutto non avrà mai l’at- tenzione sufficiente per valorizzare al meglio questo im- menso patrimonio. È un dato di fatto. Anche se avesse le risorse, il problema è l’attenzione. Faccio un esempio, si parlava di autonomia differenziata. Uno dei temi che stiamo discutendo con le regioni riguar- da i musei, io mi trovo in questa situazione. Il ministero ha circa 500 musei che controlla direttamente, in Italia ci so- no 5mila musei, molti sono civici, alcuni ecclesiastici, priva- ti e poi noi. Questo vuol dire che, tolti i musei autonomi che sono circa una cinquantina tra il primo e il secondo li- vello, mi rimangono 450 musei che sono: il palazzo nobi- liare in Valtellina, l’incisione rupestre in Val Camonica, poi un sito come Brera. Ho spiegato che se succede qualcosa a Brera, che mi piac- cia o meno, la gente verrà a chiedere al ministro della cul- tura che cosa sta succedendo. Se accade qualcosa a Pom- pei, vengono da me, se accade agli Uffizi vengono da me. Quando dico che non me ne occupo e che dipende dal- la regione, non è una risposta accettabile, vogliono vedere cosa il governo fa per preservare dei siti, delle opere d’arte che hanno un valore nazionale. C’è un altro livello. Con grande onestà intellettuale dobbia- mo capire che da Roma nessun funzionario che voglia fare carriera vorrà dedicare la propria professionalità ad aprire tutte le mattine il palazzo nobiliare che sta in Valtellina. Chi va lì capisce che quello è un cul de sac. A questo punto perché noi dobbiamo a tutti i costi occu- parci anche di queste situazioni che non sono considera- te a livello nazionale? Il ministro francese della cultura ge- stisce direttamente trentacinque musei, tutto il resto è sul territorio. Una cosa molto buona è questo meccanismo degli “Amici di”. Il fatto di avere degli “Amici del Museo”, del sito archeo- logico, dell’opera d’arte o l’accademia, come nel caso dei Lincei, secondo me aiuta chi si occupa di cultura perché tiene in relazione con il territorio, quindi con il proprio am- biente di riferimento e con la contemporaneità ed evita il Mi piace pensare a una Pubblica amministrazione dove chi va a lavorarci è come se si sentisse investito di un compito di natura superiore​

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