Civiltà del Lavoro, n. 2/2019
35 Civiltà del Lavoro maggio 2019 do dei Cavalieri del Lavoro per diversi motivi, anzitutto cul- turali, ma non solo. C’è anche un tema fondamentale di competitività e di va- lorizzazione del patrimonio, non solo artistico e culturale del Paese, ma anche industriale del nostro sistema Paese. Vorrei ricordare che circa un paio di anni fa, nel corso del convegno di Firenze, approfondimmo uno studio realizza- to da Boston Consulting Group nel quale si evidenziava in maniera molto chiara quale fosse l’impatto antieconomico della reputazione, della credibilità del Paese sul valore ag- giunto del made in Italy. Non dimentichiamo che anche nei settori nei quali l’Italia ha una posizione di leadership indiscussa dal punto di vista della qualità e anche della quota di mercato – per esempio nicchie nella tecnologia e nella meccanica fine, nicchie im- portanti nel settore del design, del lusso, della moda e dell’alimenta- re – scontiamo un 15-20% di price positioning che perdiamo come Paese, come sistema delle impre- se, come capacità di fare investi- menti, come gettito fiscale e co- me capacità di remunerare meglio le nostre professionalità. Il lusso nel mondo, nonostante la grande qualità del made in Italy, è made in France; l’alimentare nel mondo ancora una volta è più francese che italiano, non c’è vi- no italiano infatti che possa essere venduto al prezzo di una media bottiglia francese, pur avendo la nostra qualità sicu- ramente niente da invidiare, anzi, al contrario. Così vale per tante altre cose che produciamo in Italia. Per non parlare della tecnologia, un settore che tutti sotto- valutano quando parlano del made in Italy, ma non dimenti- chiamo che questo è un Paese che esporta moltissima tec- nologia di grande qualità. Tuttavia, il made in Germany e il made in Swisse fanno il 15-20% di prezzo in più. Questo vuol dire che noi dobbiamo ridare alla credibilità, alla reputazione del Paese un’attenzione molto più impor- tante e sistemica, con un punto centrale del rilancio della capacità complessiva di competere. Da cosa dipendono in gran parte la reputazione e la nostra credibilità? Dal modo in cui noi interagiamo a livello internazionale, dal modo in cui facciamo diplomazia economica, dal modo in cui go- verniamo noi stessi. Ma dipende anche dal modo in cui noi governiamo e trattiamo le nostre città, il nostro patrimo- nio artistico, ambientale, culturale. Abbiamo più del 70% del patrimonio artistico e culturale nel mondo a casa nostra e lo trattiamo nel modo peggiore possibile. Da qui abbiamo iniziato questo ragionamento dicendo: valorizzare il patri- monio artistico culturale del nostro Paese cosa vuol dire? Proteggerlo anzitutto, poi valorizzarlo perché continuare ad investire su questo patrimonio rappresenta un’imprescin- dibile necessità se vogliamo davvero recuperare credibilità. Che immagine diamo ai clienti che vengono da tutto il mon- do a visitare le nostre città, vedendo quanto sono sporche e disastrate? Come tuteliamo i nostri beni culturali? I turi- sti fanno la fila per vederli e non ci riescono perché i musei sono chiusi e quando li vedono non sono nelle condizioni in cui dovrebbero essere. Tutto questo noi lo paghiamo, per venire alla questione eco- nomica, in termini di price positioning, in termini di gettito fiscale e di revenue per le nostre imprese, quindi, in miliar- di di euro l’anno. C’è un valore economico molto importante nel modo in cui go- verniamo i nostri beni artistici e culturali. Iniziai questo percorso quando ero presidente di Confin- dustria, allora era ministro Giulia- no Urbani, e con Vittorio Sgarbi e qualche nostro sovrintenden- te cominciammo a fare dei ragio- namenti proprio su questi temi. Sicuramente chi ha avuto a che fare con le sovrintendenze sa che è il terreno più accidentato, più complesso e conflittuale d’Italia. Se pensiamo alla Pubblica amministrazione come a un luo- go terribile, quello è il più difficile di tutti. Una riforma è ve- ramente indispensabile ed è un’area nella quale dobbiamo riprendere ad investire. È Il tema fondamentale sul quale noi ci misuriamo: quale sarà la prossima generazione di cura- tori e sovrintendenti se da anni non investiamo in questo settore? Chi si occupa di questo patrimonio se addirittura arriviamo a discutere se la storia dell’arte debba essere in- segnata o meno nei nostri licei? Se un Paese come il nostro si pone queste domande e con- tinua a registrare tali arretratezze, abbiamo problemi seri davanti a noi. Quindi siamo ben contenti di continuare a collaborare. Anche l’intervento del privato a sostegno dell’i- niziativa pubblica, con il governo e con la guida del pubbli- co è assolutamente fondamentale. I Cavalieri del Lavoro lo hanno fatto nel passato, lo fanno oggi, lo faranno sempre nel futuro, chiunque sia al governo. È un dovere che avvertiamo dal punto di vista anzitutto civi- le e sociale e poi, naturalmente, è un’esigenza dal punto Anche nei settori nei quali l’Italia eccelle, lusso, design, agroalimentare, scontiamo un 15-20% di price positioning dovuto a scarsa reputazione del sistema Italia PRIMO PIANO
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