Civiltà del Lavoro, n. 2/2019

37 Civiltà del Lavoro maggio 2019 Come non capire che la Cina ha una visione imperialistica ed egemonica? Che da venti anni rappresenta il concorrente numero uno del mondo occidentale? Come non compren- dere che ha fatto della concorrenza sleale il suo elemento fondamentale per cui, lavorando sul dumping ambientale e sociale, ha continuato a erodere quote di mercato signi- ficative ai nostri sistemi Paese? Certo, rappresenta un’op- portunità per chi riesce a posizionarsi su settori e segmenti nei quali l’unicità – e questo vale per alcuni pezzi del made in Italy – può rappresentare un elemento distintivo. Ma at- tenzione, abbiamo dei problemi colossali: protezione dei marchi, protezione del made in Italy, dei diritti brevettua- li e delle proprietà intellettuali, sui quali registriamo deficit colossali sia come Paese e che come Europa. Il dumping sociale è una strada che tutti i paesi nel mon- do, nella storia del proprio sviluppo, hanno affrontato ma lo hanno poi corretto perché la democrazia di quei paesi consentiva ai movimenti sindacali di riequilibrare le distor- sioni in una prima fase di dumping sociale. In un paese con assenza di democrazia, nel quale i carri ar- mati nelle province continuano ad esistere, il riequilibrio nel medio-lungo periodo dal punto di vista del dumping sociale non c’è e non ci sarà. Se non immaginiamo qual è la nuova direzione della competizione internazionale perdiamo com- pletamente il senso di riferimento. Oggi gli Stati Uniti stanno facendo una politica assoluta- mente miope e di breve periodo; hanno bisogno di riequili- brare un sistema manifatturiero che nei decenni scorsi, ap- profittando delle distorsioni del cambio, ha esternalizzato completamente la produzione nei paesi in via di sviluppo, trasformando il proprio ceto medio in una serie di banco- nisti, di fast food o di retailer, quindi a basso livello di sala- rio. Abbiamo visto che la compressione del ceto medio ha determinato la spinta che poi ha portato Trump al succes- so elettorale. Dal punto di vista degli americani, riequilibra- re il peso manifatturiero è una necessità indispensabile. Il presidente Trump va in giro per il mondo a dire: venite ad investire qui. Quando abbiamo aperto il nostro stabilimen- to negli Stati Uniti, il governatore dello Stato del Wiscon- sin ha preso un aereo ed è venuto in Italia a parlare con noi dicendo: perché non investi nel Wisconsin e vuoi anda- re in Pennsylvania? Ci ha convinto e siamo andati da loro. Ognuno di noi investe in Italia e in altri paesi, ma l’attenzio- ne che riceviamo dai nostri governatori, di qualunque parte d’Italia, non è assolutamente comparabile alla corsa all’attra- zione degli investimenti che stanno facendo negli Stati Uniti. L’America ha un’agenda: riequilibrare la capacità manifattu- riera del paese, che si era completamente deindustrializzato. La Cina ha un’altra agenda: industrializzarsi per conquista- re quote di mercato e, soprattutto, per mettere il sistema globale sotto il governo cinese. L’Africa è stata già compra- ta, il nostro mercato, il nostro punto di riferimento è stato comprato. Adesso c’è l’Europa. Se questa è la dimensione del confronto, con un continen- te come la Cina di certo non possiamo non dialogare, non commerciare – perché il commercio è la prima garanzia per la pace e la stabilità – ma non possiamo essere così stupidi da continuare ad offrirci invece che aprirci. C’è una differen- za fondamentale fra l’essere un mercato aperto e un mer- cato offerto, noi siamo per i mercati aperti, ma con regole di fair trade e naturalmente di fair competition. Essere of- ferti vuol dire: venite, fate quello che volete, se nel frattem- po ci trattate male, va bene lo stesso. Così non funziona. Quando ci si approccia alla Cina e si pensa “Italia First”, come se fossimo l’America, c’è una perdita secca di reputazione. Oggi la dimensione del confronto è continentale, con la Cina non possiamo non dialogare ma c’è una differenza fondamentale fra l’essere un mercato aperto e un mercato offerto. Noi siamo per i mercati aperti Gli allievi del Collegio Universitario dei Cavalieri del Lavoro Lamaro Pozzani presenti al workshop di Matera PRIMO PIANO

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