Civiltà del Lavoro, n. 2/2019

38 Civiltà del Lavoro maggio 2019 PRIMO PIANO Abbiamo già visto gli errori che ha fatto la Comunità europea nel passato. Ad esempio, siamo tutti convinti che la responsabilità sociale sia un valore fondamentale, che la sostenibilità ambientale sia irrinunciabile per fare un’impre- sa che possa avere successo e futuro; ma avere iper-regola- mentato la materia ambientale in Europa, consentendo poi alle imprese europee, in particolare ad alcune imprese chi- miche, di spostarsi a un metro dal confine dell’Europa per poi riesportare liberamente i prodotti che non potevano produrre a livello europeo, questo ha distrutto interi setto- ri della chimica, ha creato una concorrenza sleale straordi- naria, non ha assolutamente messo sotto controllo il tema della salvaguardia ambientale che, evidentemente, è globale. La dimensione di questi problemi è continentale, quindi noi abbiamo bisogno di una svolta fondamentale, con cui af- frontare sia le scelte di politica economica industriale, che le stesse scelte di costruzione della nuova Europa. Siamo alla vigilia delle elezioni europee e mai come ora abbiamo bisogno di avere un’Europa più forte, più unita, più coesa, capace di essere un soggetto politico oltre che economico. Se non capiamo questo punto, non abbiamo nessuna possibilità di garantirci né pace, né benessere, né prosperità. Sul piano industriale la competizione è quella continentale, anzi, intercontinentale; sul piano della stabilità del governo delle grandi dinamiche, anche di pace e di di- plomazia internazionale, quella è la dimensione minima nella quale noi possiamo stare.Ma per stare in quella dimensio- ne, e qui torniamo al tema della credibilità e della reputa- zione, da questo punto di vista, abbiamo bisogno di avere una consistenza di linea, di proiezione e di orientamento. La stabilità della legislatura è da sempre stato un grande de- siderio del sistema delle imprese, nessun imprenditore è co- sì stupido da volere un Paese instabile, in nessuna parte del mondo. La stabilità della legislatura, però, è una condizione necessaria ma non sufficiente perché le cose si facciano. Vorrei ricordare che nel corso degli ultimi vent’anni que- sto Paese ha avuto almeno quattro occasioni di grandissi- mo cambiamento, sprecate in gran parte o del tutto. Anno 2001, governo Berlusconi; 2008, secondo governo Berlu- sconi; governo Monti e per una certa finestra di tempo go- verno Renzi. Quattro volte in vent’anni questi governi han- no avuto la possibilità, o per le maggioranze parlamentari o per altro, di fare riforme radicali in tempi brevi. La riforma delle pensioni fatta da Monti è durata una mattinata, negli anni precedenti abbiamo speso anni per fare una riforma delle pensioni. Quindi, sono stati momenti straordinari in cui si poteva cambiare il Paese. La stabilità della legislatura è fondamentale per garantire la tenuta, l’orizzonte, la fer- mezza di una politica del tempo, senza i quali è difficile fare riforme serie e importanti. Quando parliamo di politiche neokeynesiane in un Paese che ha bisogno disperatamente di investire sulle proprie capacità di riqualificazione urbana, di bonifica ambientale, di risanamento idrogeologico, di collegamento con i mer- cati, le politiche neokeynesiane sono esattamente l’oppo- sto di quello che stiamo vedendo. Non voglio mancare di rispetto al nostro ministro, del quale condivido moltissime delle cose che ha detto sul suo mini- stero, però non posso non dire che queste non sono poli- tiche neokeynesiane, ma sono politiche paleo-assistenziali. Pensare di fare il reddito di cittadinanza vuol dire contri- buire ad un millimetro in più di infrastrutture? Quanto la- voro in più creeremmo se mettessimo veramente mano alle infrastrutture?

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