Civiltà del Lavoro, n. 2/2019

39 Civiltà del Lavoro maggio 2019 Nessun imprenditore è così stupido da volere un Paese instabile. La stabilità della legislatura, però, è una condizione necessaria ma non sufficiente perché le cose si facciano Sul piano della credibilità internazionale, che figura farem- mo se domani mattina ci fosse un cambiamento di gover- no e arrivasse qualcuno che straccia il contratto fatto con la Cina dicendo che non serve più? Un contratto con la Francia l’abbiamo fatto, un contratto con l’Europa l’abbiamo fatto, quindi non possiamo oggi dire: stracciamoli perché non servono più. Peraltro, quello non è un tema del Piemonte, così come il Mezzogiorno non è un tema solo del meridione, sono entrambi temi del Paese. Noi abbiamo bisogno di collegarci con i mercati con i qua- li operiamo, altrimenti siamo tagliati completamente fuori. Non abbiamo nessuna possibilità di competere. Noi siamo ben contenti della stabilità e non è nostro compi- to esprimere valutazioni politiche, ma è nostro dovere espri- mere valutazioni sulla coerenza delle politiche industriali. Queste parole evocano fantasmi del passato, non è politi- ca intervenire nei settori, ma sicuramente è politica creare i fattori con i qua- li possiamo competere e sono politiche che vanno in qualche modo risco- perte e ridefinite, anche in un quadro di coeren- za sul piano delle scelte di politica economica. Che il mondo andasse verso una fase di rallen- tamento lo sapevamo da tempo, non avevamo bisogno di aspettare che questo ac- cadesse; della capacità di non crescere nel nostro Paese, anzi, l’incapacità a reggere il passo degli altri paesi europei, sapevamo da tempo. Quando competiamo a livello inter- nazionale, le dinamiche inflattive devono essere cancellate dalle capacità di crescita delle imprese. Se le imprese non crescono non c’è possibilità di cancellare questi costi, per- diamo quote; se le imprese perdono le quote le perde an- che il Paese, quindi ci stiamo avviluppando. Abbiamo bisogno di riscoprire una forte capacità di ripren- dere le riforme sociali, le riforme del mercato del lavoro, ancora incompiute; non possono tornare indietro, devono andare in avanti. Noi dobbiamo rendere il mercato del lavo- ro libero, dobbiamo rendere i nostri lavoratori capaci di sa- per promuovere se stessi, di essere imprenditori di se stessi, perché dispongono di un bagaglio di cultura e di professio- nalità adeguato per potersi difendere. Queste sono le mo- derne società industriali nelle quali dobbiamo competere. Non siamo un Paese che ha un deficit di diritti del lavoro, al contrario abbiamo un deficit di libertà di lavoro. È un pas- so in avanti che dobbiamo assolutamente compiere con- tinuando ad investire sulla formazione, sulle università, sul nostro patrimonio artistico culturale. Dobbiamo ripren- dere ad investire, su infrastrutture che pensano e su infra- strutture che pesano. La rivoluzione di Industria 4.0 ha avuto il grande vantaggio di aprire anche agli occhi dei cittadini quello che le impre- se già sapevano: le fabbriche devono diventare sempre di più intelligenti e in queste il lavoro fisico è destinato a ridur- si sempre di più. A me è piaciuta molto l’apertura del mi- nistro sulla riscoperta dei mestieri. Le fabbriche e il lavoro che competono nel mondo devono basarsi sempre di più sull’intelligenza e meno sul lavoro fisico. Dobbiamo saper riscoprire anche quella dimensione dei mestieri che riguarda la capacità di restaurare, di disegnare, di riconfigura- re ciò che ha alimenta- to moltissimo del nostro made in Italy. Se uno viaggia nel mon- do vede, ad esempio, co- me un museo quale il Paul Getty – che ha una bellis- sima collezione ma non comparabile con i nostri musei – abbia creato nel- la capacità di fare ricerca, restauro e studi storico-culturali il proprio punto di forza a livello mondiale. Anche il Museo archeologico nazionale di Napoli, il più gran- de museo archeologico del mondo, lavora con il Paul Getty perché loro hanno una capacità di ricerca e restauro che noi non abbiamo più. Se troviamo la voglia e la forza di reinve- stire su questi settori, recuperiamo la capacità di essere in- telligenti, molto più di quanto non siamo stati fino ad oggi. Anche questo può essere fatto in una logica più innovati- va, perché non coinvolge solo materie come lettere anti- che, restauro e archeologia, ma sono discipline anche co- me la genetica ad essere messe insieme a questi argomenti. Se creiamo intorno ai nostri grandi bacini e patrimoni cul- turali anche un incubatore che metta insieme le diverse competenze scientifiche e di ricerca sull’antico e sul futuro, noi valorizziamo quello che è il nostro unicum assoluto: il nostro patrimonio di cultura, di conoscenza che è il modo con il quale proteggiamo e difendiamo la nostra Italia. PRIMO PIANO

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