Civiltà del Lavoro, n. 3/2019

16 Civiltà del Lavoro luglio 2019 PRIMO PIANO GIORGIO BARBA NAVARETTI Ordinario di economia politica – Università di Milano Condividere i rischi rispettando le regole comuni Il problema principale è come ri- costruire un forte consenso ver- so il progetto politico, economi- co e sociale europeo. È evidente, infatti, come in questo periodo siano venute meno la fiducia e la percezione di quanto l’Europa sia importante per i paesi membri e per i cittadini. Più in generale, è difficile pensare a un’evoluzione del pro- getto europeo senza che si raggiunga una maggior profon- dità dei rapporti economici e sociali fra i singoli paesi. Ciò riconduce all’obiettivo di fondo, ovvero la possibilità di fa- re dell’Unione europea uno strumento per condividere il rischio e affrontare insieme i problemi. In questi anni sono stati fatti molti passi avanti perché, do- vendo gestire la crisi, si è intervenuti nel sistema delle rego- le e della governance, con riferimento soprattutto ai mer- cati finanziari e all’unione bancaria, ancora da completare. All’interno dell’Europa resta, tuttavia, un’asimmetria molto forte. Il nostro Governo, ad esempio, chiede maggior con- divisione e tolleranza verso quello che è il rischio implicito dell’Italia, ma questo sarà raggiungibile solo a patto di agire in un quadro di scelte politiche non dissennate. La condivi- sione dei rischi non si raggiunge in modo astratto, ma dipen- de dal comportamento dei diversi paesi e da quanto sono disposti a collaborare accettando principi e regole comuni. Da parte sua l’Italia deve ridurre l’incertezza e proporre un quadro politico istituzionale nel quale gli investitori possa- no sentirsi a proprio agio; poi occorre risolvere il dualismo del nostro sistema produttivo, spaccato fra medie impre- se che esportano e riescono a far sì che il Paese abbia una bilancia commerciale in attivo e imprese meno efficienti, non al passo con il progresso tecnologico. Ultimo ma non meno importante il vincolo del debito pub- blico, un problema grave perché limita la possibilità di adot- tare politiche espansive. E non è abbassando le tasse che lo si abbatte o che si fa crescere un’economia, un’infinità di studi ha già dimostrato che non è realistico. ADRIANO GIANNOLA Presidente Svimez L’abbandono del Sud e le colpe delle classi dirigenti La prossima agenda della politica di coesione prevede un aumento delle risorse stanziate per l’Italia, ma non è una buona notizia. Significa anzitutto che il nostro Paese invece di convergere si allontana dall’obiettivo. E, in aggiunta, il fat- to che alle regioni del Mezzogiorno, che è l’unica area abita- ta da 20 milioni di persone con questo problema, si stanno aggiungendo l’Abruzzo, le Marche e l’Umbria. Il punto è che l’Europa può fare ben poco per rovesciare questa tendenza. I fondi europei, infatti, a rigore dovreb- bero aggiungersi alla normale dotazione dei fondi ordina- ri, ma sappiamo che da tempo non è così. Non solo, se il principio della addizionalità era un obbligo (mai rispettato nel nostro caso), con la prossima Agenda europea questo obbligo scompare. Se le risorse in conto capitale stanzia- te per il Sud diminuiscono financo con la benedizione del- la Ue, ciò significa voler porre con chiarezza un aut aut tra i destini delle due aree del Paese, senza accorgersi però che indebolendo il Sud anche la sempre più ansimante locomo- tiva del Nord prima o poi rallenterà. La soluzione? L’Italia, e in partico- lare il Sud, dovrebbe essere il luo- go privilegiato in cui perseguire una politica incentrata sull’ecosostenibi- lità perché il Mediterraneo è torna- to nuovamente centrale nelle rotte internazionali. Eppure le grandi navi in transito invece di attraccare in un nostro porto preferiscono arrivare a Rotterdam o ad Amburgo. Lo fan- no perché i porti del Mezzogiorno non sono attrezzati. Un governo che spreca questa enorme potenzialità e non in- veste sulle proprie infrastrutture è il primo responsabile di questa situazione. Se dieci anni fa avessimo dragato il por- to di Taranto, oggi l’hub cinese del Pireo starebbe in Italia. Stiamo sprecando una rendita di posizione. Restituire all’I- talia un ruolo nel Mediterraneo non è un “favore” fatto al Sud, ma il segno di una politica che guarda all’interesse del Paese intero, specie se teniamo conto che i mercati del fu- turo si trovano in Africa. Da noi tuttavia si preferisce discu- tere di altro: le classi dirigenti del Nord dimostrano una gra- ve miopia e quelle del Sud una inerte ignavia, entrambe ne porteranno la responsabilità in una prospettiva storica.

RkJQdWJsaXNoZXIy NDY5NjA=