Civiltà del Lavoro, n. 3/2019

Civiltà del Lavoro luglio 2019 del premier Giuseppe Conte e del ministro del Tesoro Gio- vanni Tria indirizzata alla Commissione. Con l’assestamen- to di bilancio il governo ha certificato un miglioramento dei conti pubblici nel 2019 superiore a 6 miliardi, dovuto a maggiori entrate tributarie e contributive per 3,5 miliardi, e a dividendi straordinari per 2,7 miliardi. Con il decreto legge l’esecutivo ha poi accantonato 1,5 miliardi su “quota l00” e “reddito di cittadinanza”. In totale 7,6 miliardi di euro che bastano a realizzare un miglioramento del deficit struttu- rale per 0,42 punti percentuali e un disavanzo in rapporto al pil che scenderà al 2,04%. Infine, nella loro lettera Conte e Tria assicurano che il risanamento continuerà nel 2020. “L’apertura di una procedura – ha sottolineato il presidente della Commissione Europea Pierre Moscovici – non sareb- be stata un bene né per l’Italia né per l’Europa. E non è mai stato questo l’obiettivo della Commissione. Noi dobbiamo far rispettare delle regole e l’Italia ha preso delle misure so- stanziali tali da rendere, in questa fase, la procedura non più necessaria”. Gli impegni sottoscritti da Conte e Tria saran- no valutati con “estremo rigore” dalla nuova Commissione presieduta dalla tedesca Ursula von der Leyen a ottobre. ​ BANKITALIAEILRISCHIODI “ESPANSIONERESTRITTIVA”. In un involontario rimpallo di interventi, a rimarcare l’intrec- cio tra i destini d’Italia e d’Europa è anche il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco in occasione della presen- tazione della 125esima Relazione annuale, tenuta lo scorso 31 maggio. “Saremmo stati più poveri senza l’Europa, lo di- venteremmo se dovessimo farne un avversario”, spiega, li- berando il campo da ogni possibile tentativo di addossa- re a Bruxelles le colpe dei ritardi nazionali. Nelle 26 pagine del documento vengono registrati tutti i principali aspetti congiunturali e strutturali dell’economia nazionale. Fa, per esempio, riferimento al “grave” gap tecnologico italiano e spiega che si tratta di un fenomeno legato a doppio filo a una cronica mancanza di competitività sul mercato globa- le. L’Italia che si presenta all’Europa è un Paese tecnologi- camente in affanno. “Quelli che oggi sono talvolta percepiti come costi dell’appartenenza all’area dell’euro – chiarisce il governatore – sono, in realtà, il frutto del ritardo con cui il Paese ha reagito al cambiamento tecnologico e all’apertu- ra dei mercati a livello globale. La specializzazione produt- tiva in settori maturi ha esposto l’economia alla concorren- za di prezzo di quelle emergenti. […] Sta a noi maturare la consapevolezza dei problemi e affrontarli, anche con l’aiu- to degli strumenti europei. Altri hanno saputo farlo in mo- do efficace”. I ritardi nell’automazione della produzione, nello sviluppo di nuove reti di telecomunicazione, nell’offerta di servizi digi- tali da parte della Pubblica amministrazione, sono allo stes- so tempo effetto e causa di una struttura produttiva fram- mentata, in gran parte composta da aziende piccole con un alto grado di sovrapposizione tra proprietà e gestione. Nel 2017 la spesa per ricerca e sviluppo del settore privato era allo 0,8% del pil, meno della metà della media dei paesi dell’Ocse. Un rapporto che diventa ancora più magro se si guarda alle aree del Mezzogiorno, dove vive circa un terzo della popolazione italiana e si produce quasi un quarto del pil. Al Sud c’è anche un ritardo tecnologico da colmare. “La quota del valore aggiunto riferibile all’economia digitale – denuncia Visco – è inferiore di oltre tre punti a quella del Centro Nord”. Visco, infine, alza lo sguardo dalle tabelle riflesse sul presen- te della stretta congiuntura economica e indica il pericolo di tendenze demografiche destinate a indebolire la capaci- tà produttiva del Paese. “Da qui al 2030, senza il contributo dell’immigrazione, la popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni diminuirebbe di tre milioni e mezzo, calerebbe di ulteriori sette nei successivi quindici anni. Oggi, per ogni cento persone in questa classe di età ce ne sono 38 con almeno 65 anni; tra venticinque anni ce ne sarebbero 76. Queste prospettive sono rese più preoccupanti dall’inca- pacità del Paese di attirare forze di lavoro qualificate dall’e- stero e dal rischio concreto di continuare, anzi, a perdere le nostre risorse più qualificate e dinamiche”. Di fronte a questo scenario non bastano, anzi rischiano di acutizzare i danni, politiche espansive basate esclusivamen- te sul deficit. Visco parla di “espansione restrittiva” perché all’aumentare del deficit e del debito, aumenterebbero i tas- si e “peggiorerebbe il clima di fiducia delle famiglie e delle imprese”. Le istituzioni europee attraversano una fase sto- rica se non avversa senz’altro complessa, lo spirito comu- nitario ha perso slancio ingrigito dalle burocrazie, il valore di un’unione pacificata s’è smarrito nelle pieghe di memorie troppo brevi e sguardi schiacciati sul presente, tutto vero. Eppure se l’Europa non sta bene, l’Italia che ora si presen- terà a Bruxelles ha molto da lavorare per dirsi in salute. PRIMO PIANO

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