Civiltà del Lavoro, n. 3/2019

41 Civiltà del Lavoro luglio 2019 PRIMO PIANO Se pressoché tutti riconoscevano i vantaggi dell’Unio- ne europea, non erano altrettanto disposti ad accettar- ne i vincoli. Questa situazione persiste e ha assunto tinte ancora più fosche con la Brexit e con l’accentuarsi delle spinte nazio- naliste, per cui, a seconda dei paesi, vengono prima gli ita- liani, i francesi, gli ungheresi. I cittadini dei singoli Stati ri- vendicano la prerogativa di decidere per sé, approfittando però dei benefici che la cittadinanza europea comporta: la fine dei conflitti bellici, la moneta unica, la semplificazione della circolazione delle persone e degli scambi commercia- li, la libertà dei giovani di spostarsi e conoscere nuove lin- gue e nuove culture. Cosa si può fare perché il sogno di un’Europa unita non tra- monti? Non penso che esista una ricetta sicura: il panora- ma storico è molto complesso, le differenze economiche e culturali tra gli stati membri sono tante e a volte enor- mi, risultato di un allargamento dell’Unione che ha signifi- cato più un ampliamento geografico che un’integrazione. Anche per questo, il mio punto di vista personale è che sa- rebbe utile riprendere in considerazione l’ipotesi di un’Euro- pa a due velocità, in cui un gruppo di testa di Stati membri proceda in maniera più spedita verso gli obiettivi dell’Unio- ne, lasciando ai più dubbiosi la possibilità di aggregarsi in un secondo momento. Certamente questa non è la migliore delle prospettive in termini di inclusività, ma quanto meno permetterebbe di superare le criticità del momento e di passare all’azione. Se l’accordo tra tutti i paesi si è raggiunto solo in alcune ma- terie e a costo di lunghe trattative e di un impoverimen- to delle normative, l’Europa a due velocità permetterebbe invece di liberare le ambizioni e di superare l’immobilismo decisionale, che non solo è dannoso di per sé, ma presta anche il fianco alle critiche delle correnti antieuropeiste, rinvigorendole. Abbiamo bisogno di un’Europa forte e rappresentativa, al- trimenti non saremo in grado di giocare un ruolo da pro- tagonisti nei nuovi contesti economici e sociali globali, do- ve i piccoli Stati contano sempre meno. Abbiamo bisogno di un’Europa coesa, che possa sedersi ai tavoli delle trattative mondiali vedendosi riconosciuta co- me interlocutore unico e credibile sia dalle potenze stori- che come gli Stati Uniti e la Russia, sia dalle potenze emer- genti come la Cina. Abbiamo bisogno di un’Europa proattiva, capace di disegna- re una strategia politica e operativa valida per fronteggia- re temi caldi come la sicurezza e le migrazioni. A proposito di queste ultime si parla spesso di “emergenza” e si cerca- no soluzioni temporanee, mentre si tratta di un fenomeno perdurante, che necessita di un piano di intervento siste- matico e condiviso su scala internazionale. Serve una politica di accoglienza seria per le tante persone che arrivano nei nostri paesi fuggendo dalle guerre o cer- cando un futuro migliore. Così come serve uno sforzo co- mune per risollevare le sorti delle terre di origine dei mi- granti, quelle africane in primis. Un’impresa non semplice, che presuppone una conoscenza approfondita di un con- tinente immenso e sfaccettato, che racchiude una enorme diversità di lingue, etnie, religioni, condizioni ambientali ed economiche. L’Europa e l’Occidente potrebbero contribu- ire all’avvio di processi democratici nelle nazioni africane più instabili e proiettarle sul mercato globale. Si aprirebbero così prospettive di sviluppo economico pro- mettenti, che potrebbero stimolare anche gli investimen- ti delle nostre imprese con la nascita di nuovi business e la formazione e l’impiego della manodopera e dei profili pro- fessionali locali. Questi obiettivi ambiziosi possono concretizzarsi solo se l’Europa smetterà di ripiegarsi su se stessa e sui contrasti interni e saprà agire come un soggetto politico compatto, autorevole e lungimirante. Per questo sarebbe bene riprendere il processo costituen- te con maggiore convinzione e determinazione, ma soprat- tutto con la reale volontà di essere cittadini europei prima che cittadini italiani, tedeschi o spagnoli. Sarebbe in fondo una dimostrazione di maturità riconoscere gli errori com- messi e rimettersi al lavoro perché una grande Europa uni- ta non resti un’utopia. Ripartiamo dalla Costituzione. Profilo ANGELO MICHELE VINCI è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2011. Ha fondato e guida Masmec, azienda leader nella meccatronica. Opera con 190 dipendenti, tutti con un background tecnico scientifico. Le sue macchine per collaudi e i suoi sistemi automatici sono installati in Europa, Stati Uniti e Cina. Ha diversificato l’attività nel biomedicale sviluppando sistemi di navigazione d’avanguardia e workstation biotech

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