Civiltà del Lavoro, n. 1/2020

Roma, Musei Vaticani - Scala elicoidale di Giuseppe Momo 48 Civiltà del Lavoro febbraio 2020 Se il museo non ci fosse, Torino, i suoi esercenti e gli abitanti, sarebbero più poveri. Sembra una ovvietà, eppure spesso il tema diventa controverso, esposto a radicalismi ideologicamente orientati a una malintesa purezza del fat- to culturale rispetto a quello economico. MUSEI E SVILUPPO LOCALE: LO STUDIO DELL’OCSE Che si tratti di discussioni sterili lo ha messo in chiaro anche l’Ocse - Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che, in collaborazione con l’Icom - International Council of Museums, ha pubblicato lo scorso dicembre uno studio dal titolo “Culture and Local Development: Maximi- sing the Impact. A guide for local governments, communi- Quanto vale un museo e che impatto può generare per il proprio territorio? Spesso considerata una questione intoccabile, in nome di una malintesa purezza del fatto culturale rispetto a quello economico, la capacità degli enti museali di generare valore è oggi un tema sempre più studiato. Con esiti sorprendenti ties and museums”. I musei, dicono gli economisti guidati da Lamia Kamal-Chaoui, vanno considerati come parte di un ecosistema di innovazione locale. Invece di luoghi chiu- si, statici, animati da forze centripete, i decisori dovrebbero imparare a riconoscere in essi dei luoghi in grado di con- taminare il territorio. Accanto ai posti di lavoro e all’attrattività territoriale, secon- do l’Ocse esistono altri significativi effetti di medio e lungo termine generati dalle attività museali, come per esempio la diffusione di tecnologie o la creazione di nuovi prodot- ti. “Una delle funzioni iniziali dimenticate di molti musei – si legge nel report – è il supporto per gli imprenditori loca- li attraverso la conservazione di disegni e prototipi. Molti musei artigianali e industriali sono stati creati da imprese locali. Oggi, il problema è sapere se questi spazi sono so- lo custodi di una memoria industriale o se possono esse- re organizzati per supportare innovatori locali attraverso la condivisione delle collezioni”. I musei promuovono an- che l’innovazione attraverso la ricerca e il lavoro scientifi- co relativi alla conservazione e al restauro delle collezioni. C’è poi il contributo dei musei sul fronte della rigenerazio- ne urbana. Sono sempre più frequenti i casi in cui struttu- re pubblico-private nascono da interventi di recupero di spazi abbandonati, in disuso o in stato di degrado. È il caso del nuovo polo culturale di Prato con il Museo del Tessu- to, nato dalla riqualificazione di un’antica fabbrica di lavo- razione del tessuto, del Museo M9 nel cuore di Mestre, o della Centrale Montemartini a Roma, la cui riqualificazione ha portato alla conservazione di un pezzo importante del- la storia industriale della capitale. Sta diventando un caso di scuola anche il Farm Cultural Park dell’isola di Favara, in Sicilia, dove una coppia siciliana è ri- uscita a trasformare un centro storico spento in un colo- ratissimo avamposto sul futuro. Ispirato al Palais de Tokyo di Parigi e al celebre quartiere londinese di Camden Town, il museo sta restituendo un rinnovata centralità alla picco- la isola grazie a mostre itineranti di scultura, pittura e fo- tografia e installazioni permanenti che la stanno rendendo un polo d’attrazione turistica. Guardando all’estero è impossibile non citare la Tate Mo- dern di Londra, nata dalla vecchia Bankside Power Station attraverso un intervento di trasformazione magistrale de- gli architetti Herzog & de Meuron. Nel cuore di un quartie- re industriale completamente dismesso, una galleria d’arte diventa il simbolo del rinnovamento di un’intera area. Co- sì come lo è stato a Parigi il Centre Pompidou nell’area de- gradata delle Halles, come è successo con il Guggenheim per Bilbao, e come ha di recente dimostrato il Louvre con l’installazione di un suo “satellite” a Lens, città ex-mineraria rivitalizzata grazie all’arte.

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