Civiltà del Lavoro, n. 3/2020

42 Civiltà del Lavoro giugno • luglio 2020 PRIMO PIANO Massimo MOSCHINI Non basta anticipare nanza, serve creare ricchezza Non è il debito a doverci preoccupare ma il modo in cui verrà utilizzato. La straordinaria emissione di titoli messa in campo per far fronte alla crisi provocata dal coronavirus fa- rà crescere inevitabilmente il debito pubblico, ma secondo Massimo Moschini, presidente e amministratore delegato di Laminazione Sottile, non è questo che deve spaventare. “Quel che conta – afferma – è che il debito cresca per de- stinare risorse a investimenti produttivi e non per sostenere la spesa corrente”. E aggiunge: “Se non ci impegniamo per aumentare la produttività e la ricchezza del Paese, non po- tremo elevare il nostro welfare agli standard tedeschi che hanno un Pil pro-capite maggiore del 40% di quello italiano”. La sua azienda è tra i principali player mondiali nella pro- duzione di laminati in alluminio e leghe. Quale impatto ha avuto il lockdown sulla vostra attività? Per il momento non ne abbiamo risentito, anzi inaspettata- mente abbiamo registrato un incremento degli ordinativi. In- fatti circa il 70% dei nostri prodotti è destinato agli imballaggi alimentari con lunga scadenza (come scatolame per la con- servazione di pesce o carni), tappi e chiusure per acqua, vino e alcolici ovvero all’imballaggio farmaceutico; tutti settori non colpiti dalla pandemia, come purtroppo è accaduto ai mercati collegati alla catena della ristorazione e dei prodotti monouso. Nulla è cambiato? Certo che qualcosa è cambiato. L’incertezza circa l’evolu- zione della pandemia ha inciso sulla pianificazione della do- manda. Ad esempio, facendo eccezione per i grandi gruppi, i programmi di acquisto dei nostri clienti si sono trasforma- ti in “ordini” spot a breve termine. Con la conseguenza che l’orizzonte temporale di visibilità è passato da una media storica di sei mesi a una attualità di 30-45 giorni. Se consideriamo che la durata del nostro ciclo produttivo è di circa 30 giorni, è facile comprendere l’en- tità dello sforzo organizzativo che è in atto per adattare il nostro sistema produttivo alle nuove esigenze del mercato. Tra Recovery Fund, Mes, strumenti della Bei e altre misu- re, dal dopoguerra a oggi nessun governo ha mai potuto contare su tante risorse. Quali le priorità da cui partire? Lo Stato finora si è mosso bene, ha messo in campo molti soldi. Ora è necessario affrontare e risolvere l’eccessivo diva- rio fra Nord e Sud e la scarsa competitività del sistema Pae- se. Non è sufficiente anticipare finanza, ma occorre investire per ridurre le diseguaglianze, creare ricchezza e realizzare be- ni e servizi che qualcuno voglia comprare. Se non facciamo questo, all’orizzonte ci aspetta un inevitabile impoverimento. Ha avuto modo di valutare il cosiddetto “Piano Colao”. Ci sono dei punti che trova particolarmente interessan- ti e che consiglierebbe di adottare? Il piano è ricco di ottime indicazioni. Mi stanno a cuore so- prattutto le misure per la formazione e per la ricerca, per- ché sono il nostro futuro. Detto questo, quello che serve è un cambio culturale della classe dirigente, sia all’interno del mondo imprenditoriale che della Pubblica amministrazione. In che senso? Nel senso che l’aver considerato la produzione della ric- chezza quasi una colpa ha generato comportamenti inap- propriati nell’una e nell’altra compagine. La burocrazia che rallenta il nostro Paese si basa su que- sto pregiudizio. Auspico finalmente un rapporto di leale e fattiva collaborazione fra impresa e Pubblica amministra- zione. Entrambe devono consapevolmente e responsabil- mente collaborare nel perseguimento anche di obiettivi economici e di sviluppo. È pur vero che senza una coordinata e semplificata norma- tiva la stessa Pubblica amministrazione è talvolta ingessata nel suo pur necessario compito di “controllo”. Il momento che stiamo vivendo ci chiama in causa tutti. Mi stanno a cuore soprattutto le misure per la formazione e per la ricerca, perché sono il nostro futuro

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